2021-10-22
I bilanci comunali truccati di Orlando «scoperti» 48 ore dopo i ballottaggi
Leoluca Orlando (Getty images)
Il sindaco pd di Palermo indagato per falso in atto pubblico con altri 23 tra assessori e dirigenti. La Gdf avrebbe accertato numerose irregolarità nei quattro anni dal 2016 al 2019. Lui è sdegnato: «Per me parla la mia storia»«Il sospetto» informò durante la sua ruggente stagione antimafia «è l’anticamera della verità». Una dettagliata inchiesta della Procura, invece no. «A casa!» lo infilza il leader della Lega, Matteo Salvini. «Non mi dimetto!» replica con sdegno l’interessato: Leoluca Orlando, 74 primavere, due decadi da sindaco di Palermo, fresca tessera del Pd, indagato con l’accusa di aver falsificato per anni i bilanci del comune. «Per me parla la mia storia» si difende. Una minaccia più che un assunto. Storia manettara e di ultrasinistra, la sua. Con un rovello: l’antifascismo. Difatti, lo scorso sabato, Orlando si scapicolla nella capitale per manifestare contro l’assalto alla Cgil. Prima fila. Fianco a fianco con il segretario nazionale, Maurizio Landini. Il sindaco prorompe: «Bisogna isolare i rigurgiti fascisti». Chiede al governo di sciogliere Forza nuova e affini: «È una dichiarazione di guerra e dobbiamo evitare la guerra». Condottiero intrepido. Paladino senza macchia. Supremo interprete di democrazia e diritti. Fulgido simbolo di rettitudine e legalità. Quattro giorni più tardi, il sindaco riceve però un avviso di conclusione delle indagini, assieme a 23 fra ex assessori, dirigenti e capi area. A urne appena sigillate. Passate 48 ore dai ballottaggi per le amministrative. «Prima del voto va a manifestare con la Cgil, appena dopo il voto viene indagato. Che stranezze a sinistra…» maramaldeggia Salvini. Comunque sia: l’accusa è di «falso materiale commesso da pubblico ufficiale in atto pubblico». Sarebbero farlocchi, accusano i pm palermitani, i bilanci presentati per quattro anni di fila: dal 2016 al 2019. «Entrate sovrastimate». Per trarre in inganno il Consiglio comunale e far approvare il bilancio di previsione. Ma i magistrati contestano pure i rendiconti di gestione. Altri falsi sarebbero stati escogitati con le partecipate. Ad esempio l’Amat, azienda del trasporto pubblico. Scrivono i magistrati: i debiti del comune, nel 2016, erano «quantificati falsamente in soli 197.000 euro, a fronte di crediti della società privi di impegni di spesa pari a 8 milioni 890.000 euro». L’inchiesta parte da una segnalazione della Corte dei conti nel 2018. I giudici contabili trovano gigantesche anomalie e violazioni, poi segnalate alla procura. Si scopre così che, in alcuni casi, il pareggio sarebbe stato una chimera. Ancora nel 2016: il bilancio segnava un saldo positivo di 55 milioni di euro, piuttosto che una perdita di 35 milioni. Il Comune quindi avrebbe dovuto aprire una procedura di predissesto. Di conseguenza: taglio dei fondi, blocco delle assunzioni, spese ridotte. Proprio mentre, in quel periodo, l’ennesimo mandato volgeva al termine e Orlando si preparava alla rielezione. Debiti cancellati, invece. Incassi sovrastimati, dunque: multe, tasse, tributi vari. Uscite sottostimate, quindi: come per la raccolta rifiuti. Tutti numeri necessari per far rimanere in piedi la baracca, accusano i pm.Per il sindaco più longevo della storia repubblicana è davvero un momentaccio. Mancano ormai pochi mesi alla fine del suo sesto (non è un refuso: sesto) mandato. Un ventennio di incontrastato potere gattopardiano sta per finire malamente. Orlando è ormai da un semestre senza maggioranza. La città è paralizzata. Il Consiglio continua a rinviare da mesi perfino la discussione sul piano triennale delle opere pubbliche. Sono a rischio 250 milioni di fondi pubblici, già stanziati. Il sindaco, come ai bei tempi, minaccia di denunciare tutti alla Corte dei conti. Certo: viste le asprezze che gli hanno riservato i giudici contabili, magari vorrà soprassedere. Si ritrova comunque senza un soldo in cassa e perfino in minoranza. Tanto da essere costretto a puntare sull’appoggio dei sempre avversati 5 stelle. Adesso arriva anche l’inchiesta sui bilanci fantasiosi e disastrati. Anni di presunti conti truccati. Eppure, solo lo scorso 16 settembre, il Consiglio comunale approva l’iter di predissesto, dopo che è venuto fuori ufficialmente un buco di 80 milioni di euro. Seguiranno inevitabili tagli. Un piano lacrime e sangue. Poco male. Orlando, che lo scorso luglio si è riscritto nel Pd tra il tripudio generale, ha fatto due mandati di seguito. Non potrà ricandidarsi a sindaco la prossima primavera. Però già informa che, tra il lusco e il brusco, in qualche maniera ci sarà. «Mi spenderò con la mia faccia fino in fondo» dice con un annuncio che ora suona come una minaccia. E su quale spalla appoggerà il suo arrugginito spadone? «Vedremo. L’importante è che ci sia un candidato alternativo all’estrema destra. Non si possono avere rapporti con chi fa l’occhiolino alle organizzazioni fasciste». L’integerrimo partigiano Leoluca non fa nomi. Ma si riferisce chiaramente agli invasori: Fratelli d’Italia e Lega. La nemesi è arrivata con l’indagine sui bilanci comunali. Salvini ora chiede le dimissioni del sindaco. Giammai, replica l’Orlando furioso. Ma il suo eterno regno volge comunque al tramonto.
La deposizione in mare della corona nell'esatto luogo della tragedia del 9 novembre 1971 (Esercito Italiano)
Quarantasei giovani parà della «Folgore» inghiottiti dalle acque del mar Tirreno. E con loro sei aviatori della Royal Air Force, altrettanto giovani. La sciagura aerea del 9 novembre 1971 fece così impressione che il Corriere della Sera uscì il giorno successivo con un corsivo di Dino Buzzati. Il grande giornalista e scrittore vergò alcune frasi di estrema efficacia, sconvolto da quello che fino ad oggi risulta essere il più grave incidente aereo per le Forze Armate italiane. Alle sue parole incisive e commosse lasciamo l’introduzione alla storia di una catastrofe di oltre mezzo secolo fa.
(…) Forse perché la Patria è passata di moda, anzi dà quasi fastidio a sentirla nominare e si scrive con la iniziale minuscola? E così dà fastidio la difesa della medesima Patria e tutto ciò che vi appartiene, compresi i ragazzi che indossano l’uniforme militare? (…). Buzzati lamentava la scarsa commozione degli Italiani nei confronti della morte di giovani paracadutisti, paragonandola all’eco che ebbe una tragedia del 1947 avvenuta ad Albenga in cui 43 bambini di una colonia erano morti annegati. Forti le sue parole a chiusura del pezzo: (…) Ora se ne vanno, con i sei compagni stranieri. Guardateli, se ci riuscite. Personalmente mi fanno ancora più pietà dei leggendari piccoli di Albenga. Non si disperano, non singhiozzano, non maledicono. Spalla a spalla si allontanano. Diritti, pallidi sì ma senza un tremito, a testa alta, con quel passo lieve e fermissimo che nei tempi antichi si diceva appartenesse agli eroi e che oggi sembra completamente dimenticato (…)
Non li hanno dimenticati, a oltre mezzo secolo di distanza, gli uomini della Folgore di oggi, che hanno commemorato i caduti di quella che è nota come la «tragedia della Meloria» con una cerimonia che ha coinvolto, oltre alle autorità, anche i parenti delle vittime.
La commemorazione si è conclusa con la deposizione di una corona in mare, nel punto esatto del tragico impatto, effettuata a bordo di un battello in segno di eterno ricordo e di continuità tra passato e presente.
Nelle prime ore del 9 novembre 1971, i parà del 187° Reggimento Folgore si imbarcarono sui Lockheed C-130 della Raf per partecipare ad una missione di addestramento Nato, dove avrebbero dovuto effettuare un «lancio tattico» sulla Sardegna. La tragedia si consumò poco dopo il decollo dall’aeroporto militare di Pisa-San Giusto, da dove in sequenza si stavano alzando 10 velivoli denominati convenzionalmente «Gesso». Fu uno di essi, «Gesso 5» a lanciare l’allarme dopo avere visto una fiammata sulla superficie del mare. L’aereo che lo precedeva, «Gesso 4» non rispose alla chiamata radio poiché istanti prima aveva impattato sulle acque a poca distanza dalle Secche della Meloria, circa 6 km a Nordovest di Livorno. Le operazioni di recupero dei corpi furono difficili e lunghissime, durante le quali vi fu un’altra vittima, un esperto sabotatore subacqueo del «Col Moschin», deceduto durante le operazioni. Le cause della sciagura non furono mai esattamente definite, anche se le indagini furono molto approfondite e una nave pontone di recupero rimase sul posto fino al febbraio del 1972. Si ipotizzò che l’aereo avesse colpito con la coda la superficie del mare per un errore di quota che, per le caratteristiche dell’esercitazione, doveva rimanere inizialmente molto bassa.
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