2022-11-24
Quando il Giappone insegnava calcio (a modo suo) al mondo: il caso di «Holly e Benji»
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La vittoria della compagine nipponica contro la Germania ai mondiali ha riportato la mente di molti spettatori alle gesta viste nell’anime, che ha forgiato l’immaginario di una generazione.«Il calcio è un gioco semplice: 22 uomini rincorrono un pallone per 90 minuti, e alla fine la Germania vince», diceva l'ex campione inglese, ora commentatore sportivo, Gary Lineker. Un mito, quello dell'inossidabilità della compagine teutonica, parzialmente incrinatosi dopo la sconfitta per 2-1 subita contro i peones giapponesi. Nazione antica e ricca, il Giappone, ma in ambito calcistico veramente l'ultima arrivata. Alla generazione degli anni Ottanta, tuttavia, l'impresa è apparsa meno incredibile, dato che sugli schermi qualcosa del genere la si è già vista. Non fra giocatori in carne e ossa, ma fra calciatori di carta. Parliamo di Holly e Benji, il manga giapponese, poi diventato un famoso anime, in cui, nel settembre 1988, viene già descritta la finale dell’International Junior Youth Tournament, competizione riservata alle nazionali Under 15, in cui la nazionale nipponica guidata da Oliver Hutton sconfigge proprio la Germania. Anche per l'assenza di star locali in carne e ossa – quello che più ci si è avvicinato è stato sicuramente Hidetoshi Nakata, già scudettato con la Roma di Fabio Capello – quando dici Giappone e calcio, per tutta una massa di persone in Oriente e in Occidente, dici sicuramente Holly e Benji. O Capitan Tsubasa, come preciseranno subito i filologi della cultura del Sol levante. Prodotto e realizzato dal 1983 al 1986 dalla Tsuchida Production, il cartone – che debuttò su Italia 1 nel 1986 - si compone di 128 episodi che portano sullo schermo le avventure di Tsubasa Ozora (Oliver Hutton, nella versione italiana), il giovane fuoriclasse del calcio protagonista del manga spokon omonimo ideato da Yoichi Takahashi nel 1981. Non si tratta del primo spokon (cioè di un manga ad ambientazione sportiva) che ottiene successo in occidente. Pensiamo alle avventure delle due giovani pallavoliste, Mimì Ayuara e Mila Hazuki, protagoniste di due serie molto conosciute, al manga e anime ambientato nel golf intitolato Tutti in campo con Lotti, all'improbabile cestista ritratto in Gigi la trottola. Complice la maggiore popolarità del calcio in Europa, tuttavia, il successo di Holly e Benji resta tuttora imparagonabile con qualsiasi altra produzione simile. Si tratta di un prodotto che avvicinò moltissimo i giovani giapponesi al calcio, ma che – cosa meno scontata – ottenne lo stesso effetto anche da noi, dove il pallone era già popolarissimo di suo. Per anni, nei campetti improvvisati delle nostre città, si sono potuti sentire ragazzi che cercavano di effettuare – con risultati il più delle volte catastrofici – la «catapulta infernale» dei gemelli Derrick, due dei protagonisti dell'anime famosi per i loro colpi acrobatici. E quanti calciatori in erba sono scesi in campo arrotolandosi le maniche fino alla spalla per imitare Mark Lenders? La peculiarità di Holly e Benji è del data proprio da queste stranezze tipicamente giapponesi, calate in uno sport così familiare al pubblico occidentale. C'erano quindi le acrobazie da ninja dei Derrick o del portiere Ed Warner, ma anche il rigoroso e formale senso della gerarchia che portava dei bambini a rivolgersi al loro compagno più rappresentativo sempre con la qualifica di «capitano». C'era la ricerca, molto zen, del «colpo segreto». O, ancora, gli spietati e durissimi allenamenti da codice penale inflitti ai giovanissimi atleti da parte di allenatori vagamente dittatoriali. Alcuni aspetti strambi del cartoon, poi, sono entrati di diritto nell'immaginario collettivo: pensiamo solo al campo di gioco, dalle apparenti dimensioni spropositate e dal terreno convesso (i protagonisti impiegavano puntate intere a sgroppare da una parte all'altra, con la porta avversaria inizialmente non visibile all'orizzonte); o alla storia tragica, ma anche grottesca, di un Julian Ross, talentuoso quanto delicato, che a causa di una malattia cardiaca poteva giocare solo pochi minuti a partita, ogni volta rischiando la morte.Come per molti anime, anche nel caso di Capitan Tsubasa l'adattamento italiano ha portato a modifiche radicali, quanto meno nei nomi, come nel caso paradigmatico del protagonista Tsubasa/Hutton. L'adattamento italiano fu successivamente ripreso, con minimi cambiamenti, nell'edizione francese e in quella spagnola. Curioso anche il fatto che il titolo italiano affiancasse a Oliver Hutton il portiere Benjamin Price (Wakabayashi Genzo, nella versione originale), che in realtà nella serie non avrà affatto un ruolo paragonabile a quello di Holly. Evidentemente gli adattatori si erano basati solo sulle prime puntate, in cui molto si insiste sul rapporto tra i due. A ben vedere, Holly e Benji rappresenta un riuscito esempio di egemonia culturale alla maniera tipica dei giapponesi, che anche in altri ambiti sono soliti far propri i tratti culturali di altre civiltà (in questo caso il calcio), rimodellandoli al loro misura e finendo per esportarli persino a quei popoli dai quali essi stessi avevano preso spunto. Ed è così che più di una generazione di ragazzini che poteva vedere in casa propria Maradona, Platini, Baggio o Baresi, ha finito per scendere in cortile con una palla e imitare le gesta di Ozora Tsubasa.
Romano Prodi e Mario Draghi (Ansa)