2022-05-29
«Ho marchiato mister Pioli con il tricolore»
Andrea Costa (Spektrum Tattoo)
Il tatuatore Andrea Costa ha molti clienti fra gli sportivi, l’ultimo è l’allenatore del Milan campione d’Italia che non si è scomposto per l’ago: «Tranquillissimo, è un toro». Il primo fuoriclasse sul suo lettino fu il portiere Christian Abbiati. E Gianluigi Donnarumma? «Non so chi sia...»Nel suo studio di Pero (Milano), ormai, i vip sono degli habitué. Da oltre 10 anni si mettono in coda per soffrire sotto i suoi attrezzi del mestiere. I nomi noti sui quali Andrea Costa, professione tatuatore, ha lasciato il segno spaziano dal mondo dello spettacolo a quello dello sport. In particolare del calcio. Di fede rossonera, il quarantasettenne milanese ha firmato la pelle di assi del pallone quali Mario Balotelli, Wesley Sneijder, Robinho, Kevin Prince Boateng, Pato, Gianluigi Donnarumma. «Il primo fu Christian Abbiati, ex portiere del Milan», ricorda Costa, in arte Spektrum. «Ho scelto questo pseudonimo perché sono uno che si fa vedere poco, come i fantasmi. La vita mondana ha uno scarso ascendente sul sottoscritto: che tu sia un personaggio famoso o un meccanico, per me non fa alcuna differenza. Frequento chi mi fa stare bene».L’ultimo nome noto a sdraiarsi sul lettino del tattoo artist è l’allenatore campione d’Italia, Stefano Pioli, che all’indomani del trionfo si è presentato nella tana del «fantasma» per farsi disegnare sull’avambraccio sinistro il diciannovesimo scudetto milanista.Sarà stato di buon umore…«Sì, ma non abbiamo parlato granché. Sono uno che si perde poco in chiacchiere mentre lavora, faccio il mio in silenzio. Come i dottori».Era il primo tatuaggio per l’allenatore?«No, ne aveva già qualcuno».Meglio così. Non l’avrà fatta penare.«Macché, era tranquillissimo. Il mister è un toro».Cosa ci faceva a Pero?«Lo ha accompagnato il mio amico Orazio Schippani, autista storico del Milan. Gli devo tutto. Fu lui a portarmi Abbiati, al quale tatuai sul braccio il numero 32, quello che portava sulla maglia. Da quel momento cominciarono ad arrivare uno dopo l’altro tramite passaparola. Tra i protagonisti del Milan di questo scudetto è venuto Franck Kessié: mi ha chiesto un disegno a tema famigliare».Di Donnarumma, visto che lo ha avuto nel suo studio, che cosa mi dice? La frangia oltranzista della tifoseria rossonera ancora lo identifica come traditore.«Mah, non lo so…».Insomma, non ci ha perso il sonno.«Le dico la verità, non mi interessa. Non so neanche chi sia, veda lei».Ah, ecco. Mi basta. Senta, quali sono i tatuaggi più gettonati nello star system?«Vanno molto i nomi dei figli, o comunque dei parenti, le date di nascita. Tanti si fanno tatuare perfino i volti».Chi sono i clienti più assidui?«Sicuramente i calciatori. Le donne dello spettacolo vengono, ma tornano di meno per un discorso estetico: la maggior parte non ama farsi ricoprire il corpo di tatuaggi. A Philippe Mexès, anche lui ex Milan, ne ho fatti talmente tanti che alla fine siamo diventati amici. Purtroppo adesso sta in Francia. Un altro è Gué Pequeno. A Claudio Brachino ho tatuato una tigre con una croce e delle scritte, qualcosa di religioso».Si ricorda tutti i tatuaggi che fa?«Tutti no, ma quando vedo una persona con un mio lavoro sulla pelle lo riconosco subito. Anche se sono passati 20 anni. Per me i tatuaggi sono come dei figli».Passaparola a parte, si è fatto un’idea del perché il suo studio sia così battuto dai vip?«Perché gli faccio un bel lavoro, suppongo… altrimenti tornerebbero per picchiarmi (ride). No, beh, diciamo che non sono uno che fa la primadonna, nonostante mi sia fatto un nome. Vengono da me perché rispetto a tanti altri non li tratto da vip, per me sono persone qualunque. E perché a fine seduta pagano il giusto».Quanto può durare una seduta?«Dipende. A tatuare siamo in due, io mi concentro sui lavori più grossi. Si può arrivare anche alle cinque ore».Cinque ore sotto gli aghi? Roba da tortura medievale.«Eh sì. Per il cliente, ma anche per me. Lui almeno è sdraiato su un lettino, io sono piegato spesso in posizioni innaturali. Alla fine schiena, collo e braccio mi presentano il conto. Più vado avanti, più è salato».Ha idea di quanti tatuaggi farà in un anno?«Calcolando che ne faccio mediamente uno al giorno (sono lavori lunghi), siamo oltre i 300».Lei quanti ne ha? Guardandola, lo spazio disponibile parrebbe quasi esaurito.«Ho perso il conto. Un migliaio, all’incirca».Ricorda il primo?«Certo: un piccolo draghetto qui dietro. Avevo 17 anni, lo feci perché mi piaceva, ma non aveva alcun significato. Successivamente, lo coprii con un drago più grande che ora prende tutta la schiena».Ne ha uno al quale è più legato?«Sì, una scritta che ho sul collo, dedicata a mio papà che non c’è più: “My angel”».Ha avuto il piacere di tatuarlo?«Sì, il suo fu uno dei primi tatuaggi che feci. L’unico che aveva. Un folletto con un quadrifoglio in mano; sorretto da un fungo, perché amava andare per funghi».Cosa le ha insegnato?«A stare al mondo. A rispettare le persone, ad avere dei valori. In una parola: tutto».Quali sono i lavori che le dànno maggior soddisfazione?«In generale, quelli più impegnativi. Mi piacciono molto i realisti, soprattutto i ritratti delle persone care, perché so che sto dando una gioia particolare al cliente. Sento anche una maggiore responsabilità».La capita di avere paura di sbagliare?«Non me lo posso permettere. Non posso proprio permettermi di sbagliare. Le persone mi danno la pelle».Ha mai rifiutato un tatuaggio a qualcuno?«La mia filosofia è che il tatuaggio resta sul cliente e non sul tatuatore, quindi cerco sempre di soddisfare le richieste che mi fanno. Di solito rifiuto solo se penso di non poter fare un lavoro come si deve».La richiesta più strana che le hanno fatto?«Uno che voleva farsi tatuare il nome della moglie che lo aveva lasciato con sopra scritto “Ti odio”. Ecco, quella volta dissi di no. Riuscii a farlo ragionare. Alla fine cambiammo soggetto».Chissà quanti nomi di ex fidanzati avrà dovuto coprire…«Tantissimi. Non dico che capiti tutti i giorni, ma quasi. Quando arrivano qui per farsi tatuare il nome del partner, cerchiamo sempre di farli desistere, ma se insistono che possiamo dire? Io non lo farei mai, porto addosso solo quelli delle mie due figlie».Quanti anni hanno?«26 e 24 anni».Sono tatuate?«Sì».Da lei?«Sono stato obbligato. Altrimenti mi toglievano il saluto».Come cambiano i tempi… Una volta, il tatuaggio, i figli se lo facevano di nascosto dai genitori. Era un atto trasgressivo, di ribellione.«Oggi è difficile trovare qualcuno che non ne abbia uno. Ma va bene così, dai. Adesso è più un fatto legato alla moda».È una mia impressione oppure, rispetto a qualche anno fa, il tatuaggio non è più così popolare?«Per quel che posso vedere io è il contrario. La gente continua ad arrivare, devo mandarla via perché non ho posto. Parlo per me, non so gli altri, ma ringraziando Dio non ho problemi».Qual è il range di età della sua clientela?«Direi dai 16 anni fino ai 70. Una volta però venne un signore di 93 anni, voleva che gli tatuassi il volto della moglie da poco scomparsa. Ricordo ancora la pelle: bellissima. Un giovanotto».A chi viene da lei per il primo tatuaggio che suggerimento dà?«Di farlo in una zona nascosta o comunque poco visibile. Così almeno ha il tempo di abituarsi».Tra i vip che le mancano, su chi vorrebbe mettere la firma?«Checco Zalone. Mi fa morire dal ridere. Gli tatuerei una risata. Molto semplice: “Ah ah ah”».Nell’agone politico, invece, chi vedrebbe bene tatuato?«Il presidente Berlusconi. Magari ne ha già uno e non lo sappiamo. Io comunque gli farei l’Italia, lo stivale proprio. Un altro che spaccherebbe tatuato è Sgarbi».Non mi dica che gli disegnerebbe una capra.«(Ride) No… Lui è un uomo di carattere. Gli farei un bel leone».
Il Gran Premio d'Italia di Formula 1 a Monza il 3 settembre 1950 (Getty Images)
Elbano De Nuccio, presidente dei commercialisti (Imagoeconomica)
Pier Silvio Berlusconi (Ansa)