2019-04-14
Haftar manovrato dai sauditi. In palio il controllo di gas e petrolio
Interesse di Ryad è dominare i prezzi energetici, eliminare l'influenza dell'islam politico e non dare spazio ai jihadisti.Usa, sostegno all'Italia in cambio di un impegno più convinto in Siria. Si vuole evitare la soluzione militare. Il timore che la guerra riattivi i flussi migratori. Lo speciale comprende due articoli.La mossa offensiva di Khalifa Haftar sembra aver sorpreso anche alcuni dei suoi sostenitori oltre che gli interlocutori e i nemici. Questi pensavano che l'avanzata su Tripoli avesse l'obiettivo limitato di ottenere maggior peso nella conferenza di pacificazione interna sotto egida Onu e non di eliminare la fazione avversaria. Capire perché Haftar sia andato oltre il limite e se i poteri esterni che lo sostengono glielo abbiano concesso o meno è rilevante per individuare una strategia di (ri)stabilizzazione. Tento qui un'ipotesi. Sono sinceri o Francia e Russia, mentono sostenitori di Haftar che ora lo invitano a calmarsi? Ho la sensazione che siano abbastanza sinceri e che la Francia, avendo messo a disposizione di Haftar consiglieri militari e sostegni aerei, sia in notevole imbarazzo. Gli Emirati (Uae) e l'Egitto sono silenziosi, ma questi non fanno una mossa che non sia concordata con l'Arabia saudita. Ciò sostiene l'ipotesi che Haftar abbia preso la decisione di offensiva totale con il consenso, o su istruzione, del principe Mohammed Bin Salman. Se così, ciò vuol dire che Ryad ha trovato motivi per accelerare la conquista della Libia, probabilmente senza concordarlo, o non del tutto, con Mosca e Parigi. Se verosimile, perché la strategia saudita ha preso un azzardo mandando Haftar a compiere un'azione rischiosa, incrinando le relazioni con Parigi e Mosca e mettendo in tensione quelle con gli Stati Uniti? Washington, infatti, ha un'alleanza privilegiata con i sauditi, ma non può rompere del tutto con la Turchia, ancora nella Nato pur in modo sempre più sfumato, e con l'Algeria che, insieme al Quatar e alla Tunisia, sostengono la fazione di Fayez al-Serraj? Il fatto che l'America abbia lasciato il presidio della Libia, apparente via libera ad una soluzione militare, ma inviti Haftar a fermarsi, in base al recente comunicato congiunto dei ministri degli Esteri del G7, mostra imbarazzo. Potrebbe essere stato anche lo stesso Haftar a chiedere a Ryad copertura (e soldi) per chiudere rapidamente la questione libica. Il presidio di gran parte della Libia ha costi che eccedono le sue capacità. Il suo apparato militare è molto dipendente da mercenari. Forse ha temuto che, sapendolo i suoi nemici, una soluzione negoziale lo avrebbe imbrigliato in una posizione lunga, alla fine perdente. Poiché ha bisogno di ricevere i soldi del petrolio, ma questi sono gestiti dall'ente nazionale libico (Noc) che è l'unico legittimato a incassare i proventi ed è nelle mani di Serraj, il cui governo è riconosciuto dall'Onu, è realistico pensare che una tregua prolungata comporti la sconfitta finale di Haftar stesso, motivandolo a chiudere in fretta e con violenza la questione, anche logica di allungamento dei tempi via guerra di frizione per cui i clan vicini a Serraj hanno deciso di combattere nonostante la loro inferiorità militare. Se così, ciò non toglie però la rilevanza maggiore dell'interesse saudita ad accelerare la conquista. Perché? L'incertezza sulle forniture energetiche dalla Libia, combinata con il calo di quelle venezuelane e le probabili sanzioni statunitensi contro quelle iraniane a fine maggio, stanno alzando il prezzo del petrolio. Washington non vuole che questo vada oltre una certa soglia. E, stranamente, anche la Russia (forse per mantenere almeno un livello di intesa con l'America) che ha un accordo, pur a scadenza, con Ryad per la determinazione del prezzo stesso. Ma Ryad sembra voler un prezzo elevato per fare cassa a breve, non può ridurre troppo la produzione propria per evitare una frizione forte con Washington e quindi destabilizza la Libia per ottenere l'effetto. Se fosse così, l'obiettivo di Haftar potrebbe essere limitato dall'interesse di breve termine dei sauditi: ci serve un po' di casino, poi torna a fare il bravo e ti pagheremo noi la tregua. Ma non credo sia così, o solo questo il punto. Da sempre i sauditi cercano di prendere il controllo del petrolio e gas libici e algerini. Ora che l'Algeria è in trambusto, l'operazione potrebbe diventare più incisiva e sistemica, forse motivo delle nuove preoccupazioni della Francia e della sua ri-convergenza con Italia (e Germania). Inoltre, il Sudan è anche in effervescenza e la Tunisia è meno stabile di quanto appaia. Ryad ha certamente tre interessi: dominare totalmente il prezzo del petrolio, eliminare l'influenza dell'islam politico (al potere in Turchia, Tunisia, ecc.) che ne vuole sostituire il potere e non dare spazio all'insorgenza jihadista lasciando senza presidio qualche territorio. Se così, allora la conquista rapida della Libia sarebbe un episodio di una strategia molto più ampia. Difficilmente vincerebbe, anche perché si ingaggerebbero iraniani e cinesi in opposizione, ma probabilmente destabilizzerebbe un'area ampia contro gli interessi di Francia e Italia nonché Stati Uniti. In questa ipotesi la soluzione è una forte compattazione del G7 (che sembra in atto) e un suo chiarimento dissuasivo con Ryad.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/haftar-manovrato-dai-sauditi-in-palio-il-controllo-di-gas-e-petrolio-2634546303.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="usa-sostegno-allitalia-in-cambio-di-un-impegno-piu-convinto-in-siria" data-post-id="2634546303" data-published-at="1757664256" data-use-pagination="False"> Usa, sostegno all’Italia in cambio di un impegno più convinto in Siria Mentre attorno a Tripoli si continua a combattere (nelle ultime ore soprattutto nel Sud della capitale e a suon di raid aerei), il governo italiano ha creato un «gabinetto di crisi» per la Libia. Principale obiettivo: evitare che il caos metta in crisi il sistema migratorio. L'ha annunciato il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, al termine di un incontro venerdì sera con i ministri degli Esteri, Enzo Moavero Milanesi, e della Difesa, Elisabetta Trenta, oltre al sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Giancarlo Giorgetti, e ai vertici dei servizi segreti. Roma punta all'asse con Washington. Leggendo tra le righe dell'intervista rilasciata al Corriere della Sera dal senatore repubblicano Lindsey Graham, molto vicino al presidente Usa Donald Trump e da domani in Italia, si intuisce la disponibilità Usa a sostenere gli sforzi italiani nella mediazione in Libia in cambio di un maggiore impegno italiano in Siria dopo il ritiro Usa. Insomma, esercito italiano in Siria per aiutare a stabilizzare l'area come segnale di continuità nelle relazioni tra il nostro Paese e l'alleato americano. Il premier Conte ha preso in mano il dossier libico, di cui discuterà domani a Roma con il vicepremier e ministro degli Esteri del Qatar, Mohammmed Bin Abdulrahman Al Thani. Ieri al Fatto quotidiano ha confermato il contatto con l'entourage del generale Khalifa Haftar, a cui ha ribadito la «ferma opposizione a una deriva militare». Ma dopo l'offensiva dell'uomo forte della Cirenaica su Tripoli, la capitale controllata dal governo alleato dell'Italia e guidato da Fayez Al Serraj, «c'è il serio rischio che si sviluppi una crisi umanitaria», ha detto il premier: sono già almeno 13.500 gli sfollati dall'inizio delle ostilità. Conte ha anche rivendicato un'azione diplomatica su Germania (con la cancelliera Angela Merkel che ha esplicitamente preso posizione contro l'attacco di Haftar in una dichiarazione che suona da avvertimento alla Francia) e Usa per evitare una soluzione militare. L'atteggiamento italiano in Libia è segnato da tre elementi: no a una soluzione militare, atteggiamento antifrancese e migrazioni come prima preoccupazione della crisi libica. Quest'ultimo punto è stato confermato da Conte al Fatto quotidiano: «In caso di conflitto armato, potrebbero interrompersi le rotte libiche interne di migranti provenienti da altri Paesi, in particolare dell'Africa subsahariana. Ma da Paese perlopiù di transito, la Libia diventerebbe un Paese di partenza delle migrazioni. Questo metterebbe a dura prova un sistema di accoglienza che non funziona ancora a livello europeo». Ieri Conte è tornato sulla crisi libica spiegando che «il ruolo dell'Italia in Libia è quello di un Paese facilitatore di un processo di stabilizzazione e pacificazione dell'intero territorio». Per questo Roma continua a tessere i rapporti sia con Haftar sia, attraverso l'ambasciatore a Tripoli Giuseppe Maria Buccino Grimaldi, con Serraj. Impossibile non notare come nel vertice da cui è nato il «gabinetto di crisi» con focus sui migranti sia stato escluso il vicepremier e ministro dell'Interno Matteo Salvini, che da giorni lavora con il vicepremier libico Ahmed Maiteeq, uomo forte di Misurata e garante del governo Serraj. Al Fatto quotidiano Conte ha mandato un segnale chiaro al Viminale: «Il dossier libico lo coordino personalmente da Palazzo Chigi». Messaggi per Salvini arrivano anche dall'altro vicepremier Luigi Di Maio, che ieri ha detto no a iniziative di singoli ministri, e dal ministro Trenta, che intervistata dal Corriere della Sera esclude un intervento militare. «Serve intelligenza, compostezza, dialogo. E serve avere testa, non la testa dura», ha detto la Trenta. Si riferisce a Salvini? «A chi pensa di giocare in proprio senza rendersi conto della delicatezza del momento», ha risposto.
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