2022-05-25
Con la scusa della guerra l’Ue parte con il riarmo, ma Roma è ruota di scorta
Ursula von der Leyen (Getty Images)
Ursula Von der Leyen arringa: «L’Europa pensi alla sua Difesa». E lancia una piattaforma unica per un esercito comune. Dove, come sullo spazio, si rischia di non toccare palla.Al summit di Davos quella di ieri è stata la giornata di Ursula von der Leyen. La presidente della Commissione ha trattato due temi caldi. Quello dell’energia e quello delle armi e della Difesa unica Ue. Nel primo caso, la presidente ha escluso che si possa trovare un accordo sul divieto delle importazioni di petrolio russo. Aggiungendo un altro tassello alla confusione che vige attorno al gas e all’intera strategia energetica del Vecchio Continente. Appare ormai chiaro che Bruxelles miri a far naufragare qualunque tentativo di vero embargo sull’energia russa, salvo alimentare tutti i possibili colli di bottiglia dei sistemi di approvvigionamento. Uno schema dal punto di vista suicida che si può spiegare soltanto in un modo. Accusare la Russia colpevole di aver aver avviato la guerra di tutti i problemi strutturali dell’Europa e al tempo stesso perseguire le medesime linee indicate dalla transizione ecologica. Per spiegare un parole povere, le scelte Ue sull’energia stanno impoverendo il Continente e solo mantenendo alta la tensione sui vecchi sistemi energetici si può nascondere ai cittadini la vera entità del conto da pagare.Più o meno lo stesso ragionamento anche se esattamente di tono opposto si può fare per la Difesa unica e l’approccio dell’Ue all’industria militare. La guerra in Ucraina è non solo la riaffermazione della Nato, ma per i vertici di Bruxelles l’opportunità inaspettata di realizzare il progetto della Ced naufragato negli anni Cinquanta per via della Francia. Non a caso ieri la von der Leyen ha esclamato: «La Nato è la più forte alleanza militare del mondo e lo sarà sempre. E l’Ue non sarà mai un’alleanza militare. Ma sono profondamente convinta che da europei dobbiamo essere in grado di occuparci della nostra Difesa e di essere in grado di agire se necessario». Aggiungendo subito dopo che «come ex ministra della Difesa so molto bene quanto sia importante avere interoperabilità tra le forze armate» in modo tale che «non ci siano 17 tipologie differenti di carri armati o jet da combattimento» tra gli eserciti dei Paesi Ue, «ma uno o due, perché questo ci permette di fare economia di scala, lavorare assieme sulle componenti mancanti e anche di scambiarci il personale che è formato per pilotare quei mezzi», ha proseguito, concludendo: «Stiamo mettendo su una piattaforma nell’Unione europea per dirigere e garantire un approccio da appalto congiunto a questi enormi investimenti di cui avremo bisogno». Come sempre sui temi più delicati i vertici Ue giocano a confondere le acque. Ieri l’alto rappresentante per la politica estera, Josep Borrel, ha lanciato il suo personale allarme: «Se questa guerra non è un campanello d’allarme, non so cosa possa esserlo. Gli eserciti europei non potrebbero mantenere una guerra come quella in Ucraina per più di due settimane. Finirebbero le munizioni». Il messaggio tende a sovrapporre due piani diversi. L’eco delle munizioni porta gli ascoltatori di Borrel a pensare alle armi che i Paesi membri hanno inviato a Kiev, lasciando intendere che i magazzini si stanno svuotando e che a breve dovranno essere riempiti. In realtà nessuno - Italia compresa - ha intaccato i magazzini delle unità operative. L’ambiguità è consustanziale all’avvio di nuovi progetti e nuove armi che non saranno operative prima del 2027, data della prossima scadenza del fondo europeo di Difesa. Il che in parole povere spiega come la piattaforma cui fa riferimento la von der Leyen non serve ora ma servirà ad avviare un percorso più complesso in sinergia con gli investimenti nazionale e probabilmente tra il 2027 e il 2035 con lo sviluppo di ciò che oggi si chiama Card, coordinated annual review on defence, e serve come strumento statistico. Domani potrà avere budget diretti da gestire e far fare all’Ue il salto dell’esercito comune. Se riprendiamo le parole dell’allora ministro alla Difesa Sergio Mattarella ai tempi della guerra in Kosovo e del sottosegretario agli Esteri, Umberto Ranieri, si capisce che la spinta per una Difesa comune già allora mirava alla creazione di una unità politica. Insomma, l’Unione attraverso un esercito unico. Le missioni in Albania e a Timor Est dovevano essere il test: andare all’estero senza l’aiuto della Nato. Ovviamente gli scontri in Kosovo non furono sufficienti a scardinare gli equilibri e così si è dovuto attendere l’invasione russa per cercare di avviare quel percorso di cittadinanza che l’unione monetaria in 20 anni non ha saputo creare. Per chi scrive l’industria della Difesa è fondamentale per tenere alti gli stand tecnologici di u Paese e per tenere alti i livelli di occupazione di qualità. Adesso che i meccanismi del riarmo sono partiti dobbiamo però interrogarci su quale sarà il ruolo di Roma. Se avverrà come per l’industria dello spazio, rischiamo di dover acquistare i progetti di armamento scelti da altre nazioni. I nostri colossi saranno palyer o solo ruote di scorta. Nella missilistica di certo l’Ue userà schemi come il Twister dove il nostro Paese è ben rappresentato grazie a Mbda, ma per il carro comune o il caccia di sesta generazione che si farà? E per le fregate europee? Ecco prima di dare l’ok a Ursula forse qualcuno a Roma dovrebbe trattare il nostro ruolo. Dopo sarà tardi.
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