2022-03-15
Piovono bombe sulla capitale in mezzo a chi fa la spesa o a chi cerca il primo sole
(Credit: Niccolò Celesti)
I missili russi colpiscono la città in punti casuali, facendo morti. Molti vivono ancora qui, ma presto se ne andranno. E c’è chi va al supermercato con il fucile d’assalto.Niccolò Celesti da KievProprio come nella peggiore delle situazioni che avevamo previsto, le bombe stanno cadendo sulla città. Questa mattina alle 5 siamo stati svegliati da una grande deflagrazione, per la prima volta abbiamo sentito lo spostamento d’aria fare oscillare il palazzo di 30 piani dove alloggiamo. Si contano due morti e vari feriti in una vecchia palazzina colpita in pieno da un missile, ma sotto di noi la vita scorre tranquilla. Davanti al supermercato il camion scarica le merci, le persone fanno la fila.Mezz’ora dopo un altro missile cade sull’isolato davanti. Sono sempre di più le colonne di fumo nero che si alzano in città. I bersagli non sono obbiettivi sensibili, non ci sono motivazioni per questi attacchi se non quella di generare il caos. In città ci sono ancora il 50% delle persone, molti sanno che rimarranno fino alla fine, molti invece stanno cominciando oggi a considerare la possibilità di scappare da questa città che fino a oggi sembrava quasi sicura e che se non fosse per la presenza dei checkpoint e dei tuoni bellici in una giornata di sole come oggi in alcuni momenti sembra quasi una giornata normale.In taxi ci spostiamo in un nuovo appartamento, più centrale. Il nostro collaboratore che fino ad oggi ci ha fatto da factotum, compreso da cameraman, se ne andrà domani mattina (oggi per chi legge) con la madre verso una zona più sicura del Paese. Anche lui dopo la pioggia di bombe di ieri, i cecchini e i morti di Irpin si è convinto a lasciare la città. Il nuovo appartamento è situato in un’area di grattacieli, con locali alla moda (potrebbe essere la parte di Milano dove vivono i Ferragnez) dopo aver lasciato le valigie ci spostiamo ancora verso Kurinovka, un quartiere della città abbastanza centrale, una bella zona. Qui, da poche ore, in pieno giorno e con la gente a fare provviste per la strada un missile si è schiantato sul marciapiede distruggendo tutto nell’arco di 20 metri. Arriviamo sul posto e ci sono i colleghi della stampa, anche loro nervosi dopo quanto accaduto di ieri. Il razzo ha aperto una voragine nella strada, ha accartocciato un autobus usato come sbarramento. Non sappiamo con esattezza quanti morti o feriti ci siano, ma certamente ce ne sono e mentre siamo lì ci rendiamo conto che un altro missile potrebbe cadere nello stesso punto come in qualsiasi altra parte della città.Sembra primavera a Kiev, e la gente per la strada è molta di più. Nei giardini vediamo persone sedute sulle panchine, al sole. Incontriamo una ragazza di circa 35 anni, bellissima, con il figlio per mano. Sembra che vadano a far la spesa come in un giorno qualsiasi del mese scorso, quando tutto questo non era ancora successo. Ci fermiamo a parlare con lei, le chiediamo perché sia ancora a Kiev, oggi che molti altri che ancora erano indecisi stanno iniziando a partire. Lei guarda nel vuoto, negli occhi spuntano le lacrime, ma non le fa scendere e dice: «Anche noi fra un paio di giorni andremo via». La salutiamo, pensando al dolore inimmaginabile che si possa provare sapendo di dover mettere tutto in una valigia e lasciare il proprio Paese e vedendo ciò che accade ai palazzi e alle case che finiscono in mano ai russi.Proseguendo in questa nostra passeggiata nel giorno più caldo da quando siamo qui, girando l’angolo, torniamo all’improvviso in tempo di guerra: un’altra fila, un’altra distribuzione di viveri, un’altra scena di questo momento in cui tutto sembra surreale.Ci fermiamo a vedere e capiamo, sapendo che molti supermercati sono aperti anche se con poche scorte, che questa è una distribuzione riservata a chi non ha la possibilità di fare acquisti nei negozi e anche se non c’è un controllo dell’Isee come farebbero in Italia: basta guardare questa gente per capire che sono tutte persone con pochi mezzi e che sono disponibili a fare 2-3 ore di fila per ricevere scatolette, succhi, verdura e ciò che i volontari portano con le loro auto. La fila è ordinatissima, non c’è bisogno di numeri, ognuno aspetta il proprio turno senza spingere e senza fare il furbo. Un sacchetto a testa e le persone fanno ritorno da dove sono venute.In realtà sono in tanti a mettersi in fila scendendo dai palazzi di questo quartiere che sarà uno dei primi a essere invaso in caso i russi riescano a entrare da Irpin. Nel giro di una mezz’ora la serpentina si allunga sempre di più, finiscono le scorte, ma gli abitanti restano in attesa un’altra macchina di volontari che, ci raccontano, hanno allestito questi punti in tutta la città. Kiev è una grande metropoli e in città sono rimaste persone di tutte le estrazioni sociali. La resistenza è fatta di un mix di tutti loro. Oggi, però, che abbiamo cambiato alloggio e ci troviamo in uno dei posti più ricchi della città, ci fa impressione il signore che con l’ultimo modello di Tesla e che vive nel grattacielo davanti a noi scenda dalla sua macchina per entrare al supermercato armato di un fucile d’assalto di ultima generazione. Mentre osserviamo e scriviamo sul cellulare ci arriva un messaggio di un combattente ucraino con cui siamo in contatto e che tenta di decrittare i nostri articoli. Ci chiede esplicitamente di non scrivere più nei nostri pezzi «Kiev», ma «Kyiv», perché «Kiev», ci spiegano, è la maniera russa di chiamare la città. Capiamo che la situazione sta diventando sempre più tesa e a poco vale la spiegazione che Kiev è come chiamiamo in italiano la loro capitale.