2022-03-21
«Guerini un falco». «E Putin un animale». La caduta libera dell’ipocrisia italiana
Ci lamentiamo delle minacce di Mosca dopo aver lanciato insulti, spedito armi agli ucraini e piazzato i caccia in Romania.Ma non era wrestling? Suonati dalla zampata dell’orso russo, ci siamo svegliati con la sensazione che la guerra sia una cosa seria, che i videogiochi non possono essere scambiati per bombardamenti e che, nel mondo reale, alle minacce seguono reazioni poco resilienti. Bentornati dentro la Storia, verrebbe da aggiungere a beneficio di chi ha trascorso la domenica a indignarsi per le parole dell’alto funzionario del ministero degli Esteri Aleksej Paramonov. Ora è tutto un esecrare e un deplorare con un candore sospetto. Uno stringersi a coorte attorno al ministro della Difesa, Lorenzo Guerini, perché bisogna respingere «parole odiose e inaccettabili» (Mario Draghi), rimandare al mittente «farneticazioni senza senso» (Enrico Letta), non cadere «nelle continue e ripetute provocazioni» (Luigi Di Maio). A 2.300 chilometri da Kiev è relativamente facile mettersi l’elmetto e fingere stupore per la violenza verbale russa in un Paese come il nostro, ammalato di retorica e con la memoria ferma all’altro ieri. In un’intervista a Ria Novosti l’ex console di Milano (nominato cavaliere solo 4 anni fa dall’allora premier Giuseppe Conte) è andato giù piatto: «Se l’Italia prenderà altre misure contro di noi possono esserci conseguenze irreversibili», «il ministro Guerini ci chiese aiuto durante la pandemia ed ora è diventato un falco». Parole chiare, non interpretabili, che si riservano a un nemico come l’Italia ha mostrato di essere con un’escalation non equivocabile.Prima mossa: il governo ha legittimamente votato con l’Europa le sanzioni contro la Russia. Seconda mossa: sull’esempio americano il governo ha inviato alla resistenza ucraina missili Stinger, mitragliatrici Browning, bombe da mortaio 120, milioni di colpi 12.7 come da inventario dello Stato maggiore. Terza mossa: il generale Luca Goretti, capo dell’Aeronautica militare, ha annunciato di «aver autorizzato il raddoppio dei nostri Eurofighter in servizio con la Nato in Romania, a meno di 20 miglia dal confine ucraino. Basta un niente per sconfinare e trovarci in guerra». Draghi, Letta, Guerini cosa si aspettavano di ricevere, un chilo di Beluga dentro una matrioska? Non bastasse lo scenario fattuale, ecco la quarta mossa, la più infantile. A proposito di provocazioni, Di Maio, che è pur sempre il ministro degli Esteri anche se spesso se lo dimentica, in una comparsata televisiva ha definito Vladimir Putin peggio di un animale. Ecco l’exploit nella sua diplomatica interezza: «Sono animalista. Penso che tra Putin e qualsiasi animale ci sia un abisso e sicuramente quello atroce è lui. E ora sta pagando uno scotto enorme». Probabilmente preso per le orecchie alla Farnesina, il giorno dopo ha ammesso di avere «alzato troppo i toni». Ma è del tutto naturale che l’entourage del ministro Sergej Lavrov si sia segnato la gaffe a futura memoria. Ora non riusciamo a sopportare la parola «falco antirusso». Quello che stiamo evidenziando con ambigua ingenuità è lo stupore degli allocchi, di chi tira il sasso ma pretende che nessuno si accorga della mano retrattile. Siamo sempre all’armiamoci e partite, alla responsabilità limitata, ai film di Alberto Sordi, alle minacce dalla terza fila nella speranza che i nemici non le distinguano o non le prendano sul serio. Invece di rivendicare provvedimenti che evidentemente fanno male (sono stati presi proprio per questo), lo stesso Draghi si sente in dovere di «esprimere solidarietà al ministro della Difesa», come se Guerini fosse stato oggetto di una shitstorm su Twitter. Le parole di Paramonov planano come foulard nelle redazioni; stesso stupore, stesse reazioni. Per La Stampa sono «un atto di una gravità inaudita, una ritorsione senza precedenti», manco l’avessero rapito. Il direttore del Corriere della Sera, Luciano Fontana, propone un retroscena dal titolo «Cosa c’è dietro le minacce di Putin all’Italia». Secondo il Metternich di via Solferino «Putin contava sulle divisioni dell’Europa, in particolare su Germania e Italia, molto dipendenti da Mosca per quanto riguarda le forniture di gas. Ma questo non è accaduto. La posizione del governo Draghi è stata ferma e determinata, pienamente condivisa con l’Europa. Quindi la Russia alza i toni ma così dimostra il proprio isolamento e la propria debolezza». L’ipotesi starebbe in piedi se non fosse che la Germania mantiene aperti canali diplomatici seri con Mosca (nessun insulto gratuito, anzi il Bundestag ha accolto con freddezza il discorso di Vladimir Zelensky in tournée video) e che la Francia ha tenuto la compagnia di bandiera Total in Russia. Senza contare le telefonate di Emmanuel Macron allo zar con la frequenza di quelle a una fidanzata tradita. Paradossalmente, l’unico rimasto ai margini dell’isteria istituzional-mediatica nazionale è proprio il falco dem. Abituato alle risse fra le correnti del Pd, Guerini stempera l’indignazione collettiva: «Se uno invade un altro paese non gli dici bravo, ma non diamo peso alla propaganda. Incoraggiamo invece ogni passo diplomatico che metta fine alle sofferenze ucraine». Non è wrestling. E neppure la Costituzione aiuta: l’Italia ripudia la guerra, ma la guerra non ripudia l’Italia.
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)