2023-06-06
Stiamo con la guardia che finisce in cella solo per averci difeso
Massimo Zen ha tentato di fermare due ladri e uno è morto Per la giustizia italiana è colpevole. Per noi no. E va aiutato. Il vigilante a poche ore dall’ingresso in carcere: «In questi anni sono spariti tutti». Lo speciale contiene due articoli.Io sto con Massimo. Io sto con la guardia giurata. Io sto con chi cerca di fermare i ladri e non con i ladri. Vi pare strano? Io sto con Massimo perché lui sta per andare in galera. Condannato a nove anni di carcere per avere sparato a un bandito in fuga che, dopo aver svaligiato svariati bancomat, cercava di investirlo. Cercava di ucciderlo.«Potevamo tirarlo giù come un birillo», ha detto durante il processo uno dei malviventi, quello sopravvissuto. L’altro è morto. Avevano rubato, stavano scappando inseguiti dai carabinieri, hanno visto Massimo e volevano investirlo. Potevano tirarlo giù come un birillo. Invece sono stati fermati. Uno è stato ucciso da un proiettile. Massimo si è difeso. È sopravvissuto. Una colpa abbastanza grave da mandarlo in carcere. Nove anni e sei mesi. È la giustizia italiana. Ed è per questo che io sto con Massimo. E non con la giustizia italiana.È il 22 aprile del 2017. Due giostrai nomadi assaltano quattro bancomat a Vedelago, in provincia di Treviso. E scappano. Massimo Zen, 52 anni, di Cittadella, guardia giurata di grande esperienza, vent’anni in divisa, sempre impeccabile, è in servizio ed è in contatto con i carabinieri che li stanno inseguendo. Quando si accorge che i banditi si dirigono a tutta velocità verso di lui, pensa di dare una mano alle forze dell’ordine: mette la sua auto di traverso sulla strada per bloccare la fuga. Loro non si fermano. Lui spara. Uno dei nomadi, Manuel Major, muore.Arriva il processo. Appello. Condanna. Si va in Cassazione. Passano sei anni. La Procura generale (cioè l’accusa) chiede alla Cassazione di annullare tutto perché «l’evento si sviluppò nel contesto di un’attività lecita, seppur rischiosa, che aveva determinato una situazione che imponeva una reazione». Invece la Cassazione non annulla. Conferma la condanna: nove anni e sei mesi. Massimo deve andare in galera. Per un’«attività lecita», in una situazione che «imponeva una reazione». Se non avesse reagito, forse l’avrebbero ucciso i delinquenti. Invece ha reagito. E così è lo Stato a ucciderlo. Io sto con Massimo perché lo Stato non sta con lui. E la giustizia neppure. Io sto con Massimo perché, se uno fa la guardia, deve cercare di fermare i ladri. E non è possibile che nei tribunali le guardie perdano e i ladri vincano sempre. Io sto con Massimo perché la sua azienda gli aveva promesso che l’avrebbe difeso e invece l’ha lasciato a spasso, costretto ad affrontare i processi senza alcun sostegno e a vivere con il sussidio di disoccupazione. Io sto con Massimo perché la politica che gli aveva promesso aiuto, l’ha abbandonato. Io sto con Massimo perché ora telefona agli onorevoli e quelli non rispondono. Io sto con Massimo perché è rimasto solo mentre aspetta il taxi che lo porta in carcere.«Ho salutato mio figlio e i miei genitori anziani e malati», ha raccontato al Corriere Veneto. «E ho preparato le crocchette per i miei cani». Dice che in carcere studierà per diventare istruttore cinofilo. Meglio gli animali, in fondo, di certi uomini. Almeno non tradiscono. Io sto con Massimo perché, a chi gli chiede se rifarebbe quello che ha fatto, risponde di no. E confessa che oggi «girerebbe la testa dall’altra parte». Io sto con Massimo perché sei anni fa non ha girato la testa dall’altra parte. Io sto con Massimo perché, se le guardie girano la testa dall’altra parte, i delinquenti la fanno da padroni. Ed è proprio quello che sta succedendo nel nostro Paese. Io sto con Massimo perché stiamo devastando l’Italia con queste norme e con questa giustizia, che mettono sempre sotto accusa chi difende la legge e non chi la viola, che permettono tutto ai criminali e si accaniscono con chi vuol fermarli. E mi fa ridere leggere che il Dipartimento di pubblica sicurezza sta pensando di prevenire i reati con Giove, un sistema di analisi automatizzata che sarebbe capace di prevedere dove avvengono i reati.Io sto con Massimo perché credo che la sicurezza debba essere affidata agli uomini e non agli algoritmi. I quali algoritmi, per la verità, a volta sparano pure loro. Ma solo cazzate. Io sto con Massimo perché oggi, al ministero, tutti stanno con gli algoritmi della sicurezza e invece, con gli uomini della sicurezza, non ci sta più nessuno. Ieri la Verità ha pubblicato un dossier di Serenella Bettin da far accapponare la pelle: ogni anno ci sono 6.000 agenti indagati, quasi tutti costretti a pagarsi da soli le spese processuali. C’è chi è finito a processo per omicidio stradale perché inseguiva i ladri e i ladri si sono schiantati durante la fuga. Un poliziotto è stato costretto a farsi misurare il pene per essere scagionato dalle accuse di una arrestata.Il problema non sono i più delinquenti. Ma chi prova a fermarli. Ecco: io sto con Massimo perché, invece, continuo a pensare che il problema siano i delinquenti e non chi prova a fermarli. Perché contino a pensare che chi prova a fermarli vada sostenuto. E che, se nel provare a fermarli, ci scappa una manganellata di troppo, come nel caso dei vigili di Milano, o una pedata, come nel caso del carabiniere di Livorno, o anche uno sparo, come nel caso di Massimo, pazienza. Ce ne faremo una ragione. È un male, si capisce, ma è un male minore di quello che provocano i criminali. Ai quali criminali nessuno torcerebbe un capello se rimanessero a casa loro a guardare la tv o a giocare a briscola, invece di andare in giro a delinquere.Io sto con Massimo, in fondo, soprattutto per questo: perché lui non avrebbe mai sparato a quei nomadi malviventi se quei nomadi malviventi non avessero prima rubato e poi tentato di investirlo. Io sto con Massimo perché lui è stato costretto a reagire (Procura dixit) a una situazione che non aveva scelto, né voluto, a differenza dei ladri che quella situazione l’hanno provocata. E perché lui ha rischiato la vita per difenderci, mentre i delinquenti da sempre rischiano la vita per offenderci. Perciò tutte le persone ragionevoli, oggi, non possono che essere con Massimo, insieme a me. Per cercare di tirarlo fuori da quella cella a cui non dovrebbe mai essere stato condannato.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/guardia-finisce-in-cella-2661006079.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="con-la-divisa-si-diventa-un-bersaglio-se-tornassi-indietro-non-lo-rifarei" data-post-id="2661006079" data-published-at="1686058515" data-use-pagination="False"> «Con la divisa si diventa un bersaglio, se tornassi indietro non lo rifarei» Massimo Zen sta per entrare in carcere. Lo raggiungiamo al telefono pochi attimi prima che lo passino a prendere. Lui è la guardia giurata di Cittadella, Comune in provincia di Padova, che il 22 aprile 2017 reagì a un commando di malviventi che stava per compiere l’ennesimo assalto a un bancomat, nel trevigiano. Il quarto nella stessa notte per l’esattezza. Zen esplose due colpi. Il primo colpì il cofano del mezzo dei ladri, l’altro centrò mortalmente uno dei banditi: Manuel Major, un giostraio. Settimana scorsa la Cassazione ha confermato la condanna per Zen a nove anni e sei mesi di carcere. Come ci si rapporta a un uomo che ha fatto il proprio dovere, quello di difendersi e difendere, e sta per entrare nel braccio dei condannati? Proviamo a fargli qualche domanda.Massimo, tra poco passano a prenderla.«Sì, li sto aspettando. Ma sono in ritardo, come tutte le cose in Italia. Li aspettavo sabato ma di sabato lo Stato non lavora. Ho preparato i vestiti, il minimo necessario, sistemato alcune cose qui a casa e tra un po’ me ne andrò».Se lo aspettava? «Sinceramente no. Anche perché la Procura generale di Cassazione aveva detto di rinviare tutto in appello e, invece, non hanno rinviato».Perché, secondo lei? «Non lo so. Non abbiamo ancora le motivazioni».È una condanna che arriva dopo sei anni. «Sì, durante i quali ho sempre dovuto arrangiarmi. L’azienda è sparita, sono stato lasciato solo. E le spese legali me le sono caricate sulle mie spalle».Ma lei, in questi anni, ha continuato a lavorare? «Sì, fino a dicembre 2021, fino a quando non mi hanno tolto i titoli e ritirato l’arma». Quel tragico giorno, che è successo? «Avevamo sentito alla radio che c’era un assalto a un bancomat da parte di una banda di malviventi. E ritengo su disposizione dei carabinieri, abbiamo cercato di fermarli. I ladri hanno cercato di investirmi. Nelle deposizioni, i due arrestati dicono: “Potevamo farlo volare come un birillo”». Ma loro sono ancora in carcere? «Non lo so, non posso saperlo».Se tornasse indietro, lo rifarebbe? «Se guardo alla mia coscienza e alla mia divisa sì, lo rifarei. Ma se guardo quello che ho passato e quello che sto passando e considerando le leggi che ci sono in Italia, mi girerei dall’altra parte».Ne vale la pena? Sulla Verità pubblichiamo un dossier sulle forze dell’ordine che hanno le mani legate. «Esattamente. Io ero vigilante privato ma se penso al carabiniere a Vicenza....Ti indagano per atto dovuto. Atto dovuto cosa? Ha sparato a una persona che aveva aggredito le forze dell’ordine». Ho parlato con qualche suo collega che mi ha detto che la cosa migliore è far finta di niente e lasciarli andare. «Brava. Sì. A chi diamo la colpa, poi, se le città non sono sicure? Tanto non vieni tutelato. Per cosa poi. Per 1.300, 1.500 euro al mese? Rimani da solo. Spariscono tutti».Lei quanto prendeva? «Io arrivavo a 1.500 euro, ma dopo 20 anni di servizio. Un vigilante, all’inizio, prende 1.100 euro al mese».Ha figli? «Sì, uno grande. E la mia compagna che rimane da sola».Adesso in carcere cosa farà? «Studierò. Devo finire i corsi da addestratore cinofilo».La spaventa finire in prigione? «Sì perché non so cosa troverò. Purtroppo in Italia è così. Perché tu possa difenderti, prima devono spararti».Se non la uccidono. «Già. Ma qualunque divisa indossi sei un bersaglio».Vuole dire qualcosa al ministro Carlo Nordio. «Anche se dico qualcosa, non ha nessun peso. Sono deluso da questa giustizia».