2020-08-02
Gualtieri e i giornali amici del pateracchio giubilano per il Pil che crolla del 12,4%
Il ministro: «Calo inferiore al previsto». Marco Travaglio esulta: «Meno peggio noi di altri». Invece rischiano di chiudere 270.000 aziende.Nel Dittatore dello stato libero di Bananas, di Woody Allen, il protagonista maschile, imbranatissimo, viene lasciato dalla ragazza. Disperato, le chiede perché. E lei, feroce: «Perché sei un immaturo: intellettualmente, emotivamente, e anche sessualmente». E lui, non comprendendo il giudizio tombale: «Sì, però, per il resto…». Ecco, anche davanti ai dati catastrofici dell'economia italiana, c'è chi si rifugia in un patetico «sì, però, per il resto…».Occorre ricordare agli smemorati che, già prima del Covid, l'ultimo trimestre 2019 (il primo riferibile al governo M5s-Pd-Leu-Italia viva) era stato negativo, e la maggior parte delle previsioni accreditavano di un segno meno anche il primo trimestre 2020: morale, anche in condizioni normali è molto probabile che saremmo tecnicamente entrati in recessione, grazie alle ricette giallorosse. Poi, il lockdown lungo e generalizzato, e la ripartenza tardiva e male organizzata, hanno fatto il resto. E così, il primo trimestre si è chiuso con un pesante -5,4%, mentre il secondo ha fatto segnare un tracollo senza precedenti (-12,4% rispetto al trimestre precedente e -17,3% in termini tendenziali). Con questo risultato, il Pil italiano fa registrare il valore più basso dal primo trimestre 1995, periodo di inizio dell'attuale serie storica. E Alberto Bagnai (Lega) ha fatto notare che per trovare un flusso di Pil come quello di questo trimestre (356,6 miliardi) bisogna risalire addirittura al secondo trimestre del 1990.Eppure c'è chi sembra consolarsi. Il Fatto Quotidiano esulta perché Francia e Spagna, nel secondo trimestre, hanno subìto una performance ancora più negativa (rispettivamente meno 13,8% e meno 18,5%), dimenticando però che a Parigi c'è il centrosinistra macronista, e a Madrid la fotocopia ancora peggiore della nostra coalizione giallorossa, Socialisti più Podemos, praticamente la variante spagnola di Pd e grillini. Nondimeno, Marco Travaglio, nel suo fondo di ieri, corre in soccorso dell'esecutivo e imbelletta il nostro insuccesso economico con un'acrobazia verbale, parlando di «dati meno peggiori di altri Paesi». La sua penna nobilita il vecchio adagio qualunquista: accontentarsi del «meno peggio».Non scherza nemmeno Repubblica, secondo cui «il Pil crolla ma l'Italia non è più la pecora nera d'Europa». Così, dove servirebbero infermieri e barellieri, arrivano invece professori bocconiani sorridenti, tipo Francesco Daveri: «Forse ci siamo fasciati la testa troppo presto».Partecipa al surreale party Roberto Gualtieri in persona: «Questi dati, pur negativi a causa della pandemia, indicano una flessione meno grave di quanto atteso e testimoniano la possibilità per l'Italia di proseguire nel percorso di ripresa». Ora, è comprensibile che un ministro cerchi di spargere ottimismo, ma nella frase di Gualtieri ci sono purtroppo tre svarioni. Primo: l'economia andava già male, sotto la sua guida, prima del contagio. Secondo: il percorso di ripresa non va «proseguito», ma va iniziato, perché per ora siamo sottoterra. Terzo: è letteralmente incredibile che Gualtieri parli di un calo «meno grave di quanto atteso». Proprio lui, infatti, nello sconcerto generale, il 2 marzo ipotizzò uno stanziamento nell'ordine dei 3,6 miliardi: l'equivalente di un caffè, rispetto a ciò che poi sarebbe stato necessario. Non solo: il 24 marzo, si limitò a prevedere una contrazione del Pil «nel 2020 di qualche punto percentuale, grave ma gestibile». Detto con chiarezza: non aveva capito niente. Abbiamo assistito a una clamorosa sottovalutazione e a un imperdonabile ritardo (gli stessi purtroppo verificatisi anche dal punto di vista sanitario), accompagnati dall'illusione di poter distinguere tra un «prima» (l'emergenza medica) e un «dopo» (l'emergenza economica), quando invece le cose andavano affrontate in parallelo. Il giorno stesso in cui Boris Johnson ha accettato la necessità del lockdown, ha riconosciuto ai lavoratori dipendenti Uk l'80% del loro stipendio (fino a 2.500 sterline), e agli autonomi l'80% del loro fatturato dell'anno prima. Il Giappone ha stanziato subito quasi un trilione di dollari. Una cifra impressionante: tradotta in modo meno criptico, è un uno seguito dodici zeri, 1.000 miliardi, la metà del Pil annuale italiano. La Germania ha messo in campo solo a marzo, come prima tranche, tra interventi diretti e garanzie, 1.100 miliardi di euro. E gli Usa di Donald Trump hanno stanziato già a fine marzo una cifra monstre, 2.000 miliardi di dollari, il più grande pacchetto di stimolo mai realizzato, tra aiuti alle imprese, e un assegno diretto agli individui (1.200 dollari a testa) e alle famiglie (2.400 dollari per una coppia, più 500 per ciascun figlio: ad esempio, quindi, 3.400 dollari per marito, moglie e due figli). Tutto finito nei conti correnti (o in assegni) quasi in tempo reale. È questo che fa sperare (per l'Anglosfera e altri Paesi) una ripresa a V (rapida discesa, rapida risalita), e invece fa temere per buona parte dell'Europa continentale un preoccupante andamento a L (rapida discesa, e poi stagnazione). E per l'Italia il peggio rischia di arrivare. Per le imprese, con l'apocalisse fiscale del 16 settembre (seguita dalle scadenze di novembre), e per i lavoratori con lo sblocco dei licenziamenti. Morale: finito il «metadone», si rischia uno tsunami di fallimenti e di posti di lavoro destinati a saltare. Pensando a queste scadenze, pure il bocconiano Daveri, sentito da Repubblica, ammette: «Non è certo il momento di suonare la fanfara».A tutti suggeriremmo di leggere la previsione di Confcommercio, che parla di 270.000 imprese a rischio e di 1 milione di posti di lavoro in pericolo. Dubitiamo che a qualunque persona ragionevole venga in mente di festeggiare.