Entra nel vivo la battaglia per il rinnovo dei vertici di Agcom, l'autorità garante per le comunicazioni. A giugno il governo gialloblù di Giuseppe Conte dovrà designare il sostituto di Angelo Marcello Cardani, nominato nel 2012 quando c'era ancora Mario Monti. Per la presidenza già da mesi sono iniziate le manovre e si parla di Marco Bellezza, consigliere e fedelissimo del ministro per lo Sviluppo economico Luigi Di Maio, nonché avvocato difensore di Facebook. In ogni caso il nuovo numero dovrà passare il voto parlamentare e poi il decreto del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, ma c'è una nomina in Agcom che non sarà toccata, quella del segretario generale insediato nell'aprile 2016 e in scadenza alla fine del 2019. Stiamo parlando di Riccardo Capecchi, nominato dall'ex presidente del Consiglio Matteo Renzi e con un lungo curriculum tra le fila del Partito democratico. Ma ora c'è il rischio che quella nomina possa finire alla Corte dei conti, con il rischio di danno economico per lo Stato.
Capecchi non è un personaggio qualunque: lettiano di ferro, fa parte di quella schiera di storici «vedroidi», gli ascari dell'ex premier scaricato da Renzi nel 2014, ovvero i partecipanti a quel think tank chiamato Vedrò di moda tanti anni fa. Di quella passerella estiva in Trentino Alto Adige non c'è più traccia, il sito non c'è più, anche perché tutti i partecipanti hanno fatto carriera. Capecchi era tesoriere di Vedrò, una kermesse che annoverava sponsor di livello come Eni, Lottomatica, Edison e molti altri ancora: fu perquisito dalla Guardia di finanza durante l'inchiesta del Mose anche se non risultava indagato.
Prima di arrivare in Agcom il segretario generale, come da curriculum sul sito ufficiale dell'Autorità, è stato dirigente generale della presidenza del Consiglio del governo di Romano Prodi, poi è entrato in Poste italiane, diventando nel 2012 amministratore delegato e direttore generale di Poste energia spa. Il senatore pentastellato Elio Lannutti gli ha dedicato il 17 luglio del 2018 un'interrogazione parlamentare, mettendo in risalto la mancanza di requisiti per il ruolo che gli era stato assegnato nel 2016. Tra le critiche mosse, oltre a una vicenda di un volo di Stato usato impropriamente nel 2007, ci sarebbe soprattutto la mancanza dei requisiti richiesti per il posto in Agcom, dato che Capecchi per Lannutti non era «alto dirigente», ma solo un dirigente intermedio di Poste Italiane. Non solo. Lannutti sostiene anche che Capecchi all'epoca fosse ancora presidente di Consorzio drive, un conflitto di interessi in violazione di legge che comporta la decadenza dall'incarico. L'ex tesoriere di Vedrò ha poi spiegato di essersi dimenticato di comunicare le dimissioni dal Consorzio che si occupa di veicoli elettrici, ma da visura camerale risulta essere stato in carica fino al 31 agosto del 2018, quando era già segretario generale di Agcom da oltre due anni: da qui il possibile danno erariale.
In Agcom da tempo è stata sollevata la questione sugli effettivi requisiti di Capecchi per il ruolo di segretario generale. Lo scorso anno i sindacati interni hanno consegnato documenti sulla questione. È stato anche deciso di chiedere un parere al Consiglio di Stato, che non è bastato a sedare i contrasti all'interno dell'Autorità, anche perché la richiesta di parere non è ancora arrivata a Palazzo Spada.
Non solo. Sembra che l'Anac (Autorità nazionale anticorruzione) abbia aperto un altro procedimento, per un incarico dato a Capecchi da Poste italiane nei due anni precedenti alla sua assunzione in Agcom: cosa espressamente vietata da uno dei decreti attuativi della legge Severino. Chissà che cosa ne penserà Raffaele Cantone.





