2021-03-07
Grillo sfotte il Pd: «Il segretario lo faccio io»
Il comico demolisce quel che resta dei dem orfani di Nicola Zingaretti e annuncia che inserirà il nome di Giuseppe Conte nel simbolo del M5s. I big si preparano per la sfida alla successione: è testa a testa tra Stefano Bonaccini e Andrea Orlando. Daniele Franceschini si tiene lontano dalla lotta.Al Pd non serve McKinsey per reclutare il segretario dopo l'addio di Zinga. Beppe Grillo, in versione total green, con un video sul suo blog ieri si è autocandidato: «Mi propongo per fare il vostro segretario elevato del Pd, mettete 2050 nel vostro simbolo, come sarà nel nostro prossimo, con Conte 2050».Al Nazareno, non hanno sense of humor, non si sono accorti che «l'elevato» li stava prendendo per fondelli. Ha seppellito con una battuta i «pidistellati» e condanna il Pd – mutilato dell'alleanza grillina e occupato dalle Sardine arrivate incuranti dei divieti da Bologna rossa sì, ma per il virus cinese - all'irrilevanza per isolamento e spocchia autoreferenziale. Caduto il tabù sovranista anti Lega, maramaldeggiati da Grillo, orfani del segretario i democrat sono dei senza fissa dimora del potere. Nicola Zingaretti ha segnato una svolta epocale. Il partito che senza aver vinto un'elezione governa da dieci anni in Italia, è fuori dai giochi. Non si pone più il fattore K di Alberto Ronchey, quando nella prima Repubblica si diceva che la presenza dei comunisti impediva l'alternanza. Oggi il Pd ha un problema di razione kappa: la sopravvivenza politica. Il governo ora si regge sulle gambe della Lega, di Forza Italia e sull'horror vacui delle truppe di Luigi Di Maio che pur di non andare a casa hanno trasformato il vaffa-day in un elogio di Luigi Einaudi. Deve averne preso atto anche Sergio Mattarella che ieri pur di non vedere le miserie terrene s'è rifugiato nella nuvola di Fuksas a rincuorare vaccinatori e vaccinandi. Il colpo che il presidente della Repubblica ha ricevuto è pesante, ma nulla traspare, e lo inquieta: si complica sia l'ipotesi di una sua rielezione sia il poter guidare la sua successione. Subisce un'urticante eterogenesi dei fini: non ha concesso il voto per stoppare il centrodestra e si ritrova col governo a trazione Forza Italia, Matteo Salvini e Giancarlo Giorgetti. Il Pd, l'ircocervo mezzo democristiano e mezzo comunista famelico di potere, ora che non tocca palla al governo è imploso. Nella lotta politica tra l'Ircocervo e il Draghi, vince il Draghi. Così Grillo s'è concesso pure lo sberleffo: «Mi ero iscritto al Pd qualche anno fa, vi ricordate alla sezione di Arzachena, poi mi dettero indietro i soldi e la tessera e Fassino fece la sua premonizione: si faccia un partito. Siamo nel caos, ma il caos è creativo». Chissà come si sente Goffredo Bettini, la levatrice del bis-Conte, che ha spinto Zinga a dichiarare «Conte sarà il leader di tutta l'aria riformista». Lui avrebbe consigliato a Nicola Zingaretti di dimettersi per farsi poi riacclamare in Assemblea avvisando il garante cinquestelle: «Le dimissioni di Zinga non sono irrevocabili». Grillo non ci ha creduto, Zingaretti è già stato archiviato e nel Pd è partito il toto-poltrone. Correranno di sicuro per la segreteria Stefano Bonaccini, presidente dell'Emilia Romagna e in odor di Sardine, sostenuto dagli ex renziani contro Andrea Orlando forse appoggiato dagli ex comunisti. Ne sapremo di più il 13 e 14 marzo quando si farà l'assemblea al Nazareno ora però occupato dai pescetti rossi. Mattia Santori ieri ha compiuto la sua marcia su Roma. È partito da Bologna che è blindata causa Covid e non si capisce perché lui si possa spostare, evidentemente agli arditi rossi è concesso uno speciale lasciapassare. Si è presentato con le truppe ittiche alla sede del Pd e pareva scandire: potevo fare di quest'aula sorda e grigia un bivacco di manipoli, mi accontento di occuparla con sacchi a pelo e tramezzini per rivendicare spazi di partecipazione. La presidente del partito Valentina Cuppi che ha le chiavi del Nazareno invece di rimproverare Santori ha accolto, unico caso nella storia, gli occupanti con «entusiasmo perché la spinta delle Sardine è nello spirito di piazza Grande». Era l'idea di Zingaretti di aprire una nutrita partecipazione via web. Santori che viene da Bologna con Lucio Dalla deve aver pensato: «Santi che pagano il mio pranzo non ce n'è sulle panchine in piazza Grande» così si è attovagliato al Nazareno e in attesa di Bonaccini coltiva ambizioni. Hai visto mai che il Pd si dia all'ittica. A cercare di agguantare la segreteria pro tempore, e poi si vede, ci sono tre ex Pci: Andrea Orlando, Roberta Pinotti in quanto donna e Angela Finocchiaro in quanto a volte ricicciano. C'è chi vorrebbe ripescare dalla galleria degli errori Walter Veltroni. Chi, a proposito di Sardine, fa il pesce in barile è Dario Franceschini che si tiene con Area-Dem, il correntone ex democristiano, distinto e distante. C'è chi tifa per una segretaria e si scalda Deborah Serracchiani che ha attraversato tutte le correnti del Pd (ci vuole la mappa del Risiko per orientarsi). Il partito tutto potere e scarsi voti però d'improvviso è solo un ologramma. Dal governo Monti a Draghi sono passati 3378 giorni, il Pd pur non avendo vinto un'elezione dal 2011 al 2021 ha governato per 2926 giorni cioè l'86,6% del tempo. Perciò fino a due mesi fa il suo sconquasso avrebbe provocato esegesi dei politologi, timori dei boiardi, palpitazioni quirinalizie. Oggi tutto scorre, come il mare per le sardine. È bastato Mario Draghi a offuscare la spocchia dei democrat, a far apparire come un esercizio di luogocomunismo l'antisovranismo e l'europeismo di facciata, è bastato sottrarre qualche poltrona per derubricare a beghe di condominio le faide del Pd. Un autentico comunista l'aveva previsto. Disse Enrico Berlinguer: «I partiti di oggi sono soprattutto macchine di potere e di clientela». Forse uno in particolare.