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2022-07-10
Il grano va su e i coltivatori giù: in piazza
Ansa
È l’uovo di Colombo, intesa come capitale dello Sri Lanka: oltre una certa soglia di povertà scoppiano le rivolte. In quella che era la mitica isola di Ceylon, cuore del buddismo e terra eletta per il the, hanno cacciato a furor di popolo il presidente Gotabaya Rajapaska, si è dimesso il primo ministro Ranil Wickremesinghe ed è guerra civile. Lo Sri Lanka è, come dicono gli economisti, «il canarino nella miniera». Segnala una doppia imminente esplosione di grisù: quella del debito dei Paesi poveri che potrebbe innescare una crisi mondiale e quella alimentare perché continua la speculazione sul grano con i prezzi delle materie prime agricole che non accennano a diminuire. Tradotto nel nostro carrello della spesa significa: pasta più 20,5%, farina più 18,7, pane 9,6, riso più 13, burro più 23,3, latte più 8,5, uova più 12,3, pollo più 18,6, olio di semi più 70,3%.
C’è stata due giorni fa una fiammata del 6% nelle quotazioni del grano tenero che ha spiegato al mondo, anche se l’Occidente troppo impegnato sul fronte, anche della propaganda, della guerra in Ucraina fa finta di non vedere, che ad affamare l’Africa e mezza America del Sud non sono i silos pieni di Odessa, ma la speculazione.
È in atto nel mondo uno scontro tra due modelli agricoli. Da una parte ci sono le multinazionali che vogliono iperprodurre a costi sempre più bassi e affidano alla finanza il compito di generare il valore aggiunto, dall’altra ci sono gli agricoltori più evoluti che difendono il valore agricolo. Così a molte migliaia di chilometri da Colombo ci sono altre proteste.
Gli allevatori olandesi al confine con la Germania continuano il loro presidio contro le decisioni del governo di Mark Rutte che vuole abbattere le soglie di emissione di azoto del 75% condannando a morte la zootecnia olandese. Hanno reagito in 40.000, bloccando con i trattori tutte le strade d’Olanda, poi hanno portato la protesta al confine con la Germania nelle pianure del Linburgo dove è concentrata gran parte degli allevamenti. Lì c’è un luogo simbolo: Waalserberg dove si incontrano Olanda, Germania e Belgio. La protesta degli agricoltori olandesi (agli allevatosi si è unito tutto il comparto agricolo col rischio che in Europa manchino ortaggi e frutta tropicale che passano tutti per l’Olanda) è stata raccolta da quelli tedeschi preoccupati per i costi lievitati e che accusano il governo di Olaf Scholz di boicottare la zootecnia.
C’è un caso politico che dalle stalle passa ai piani alti dell’Europa. Perché olandese è Franz Timmermans, vicepresidente della Commissione, che con il Farm to fork ha dichiarato guerra alla zootecnia e all’agricoltura in generale che secondo l’Ue è la prima fonte di inquinamento e ha sdoganato in Europa il consumo di insetti e di carne di alligatore del Nilo come alternative proteiche. Timmermans, sempre con i soldi dei contribuenti europei, sta finanziando i progetti per la produzione della carne e del latte sintetici da cellule staminali rifermentate. In Germania il neoministro agricolo Cem Özdemir - verde e vegano convinto che, inseguito da uno scandalo finanziario, per qualche tempo riparò negli Stati Uniti alla corte di Michelle Obama, prima pasionaria contro il consumo di carne - è anch’egli in lotta contro gli allevamenti.
Sul fronte agricolo l’Europa si avvia a vivere una stagione difficilissima perché ormai la politica agricola comune è stata impostata sulla riduzione di produzione. Questo espone i consumatori, ma anche i produttori europei, a rincari di prezzi iperbolici che sono spinti dalle multinazionali. È il caso del grano dove il mercato si sta biforcando: da una parte il grano duro (quello per fare la pasta per capirci) continua ad avere incrementi severi, dall’altra il grano tenero (quello interessato dal conflitto ucraino) è entrato in una fase di incontrollata volatilità.
Per quanto riguarda l’Italia sul duro abbiamo cali produttivi di almeno il 20% che ci imporranno di importare almeno 2,5 milioni di tonnellate in più. I prezzi del duro stanno sopra i 580 euro a tonnellata. Per il tenero a livello mondiale si sono registrati una settimana fa dei cali di prezzo perché il possibile sblocco del grano ucraino (rappresenta meno del 10% dell’export mondiale) ha innescato una tendenza ribassista.
Ma la quantità di grano immessa non serve a placare la fame. La speculazione ha usato questo ribasso come un’esca: appena i 53 Paesi più poveri del mondo si sono affacciati sul mercato per comprare grano, il future è tornato a salire e due giorni fa stava a 893,25 dollari a tonnellata con un rialzo su base annua del 56,25% e un balzo del 6% in ventiquattr’ore. Evidente dimostrazione di come sia la speculazione finanziaria a far lievitare i prezzi agricoli.
L’indice Fao a giugno ha raggiunto il valore di 154,2, per tre quarti dei Paesi poveri è un livello insostenibile. Il rincaro dei cereali mese su mese è del 27,6%, il lattiero caseario sale del 24,9%, lo zucchero dell’8,9%, la carne del 12,6% ed i grassi vegetali del 34,3%. È il canto del canarino dello Sri Lanka.
Nello Sri Lanka esplode la rabbia per il carovita. Il presidente fugge
Scarsità di petrolio, mancanza di elettricità e generi alimentari, un’inflazione record. Gli elementi che facevano presagire come la situazione dello Sri Lanka stesse per precipitare c’erano tutti e il malcontento era stato espresso da tempo dalla popolazione. Alla fine, la situazione è esplosa. Migliaia di persone hanno invaso il palazzo presidenziale nella capitale Colombo e sono almeno 34 i feriti, di cui due gravi. Bersaglio delle proteste, il presidente Gotabaya Rajapaksa, al quale viene addebitata la gravissima crisi.
Rajapaksa e i suoi collaboratori si aspettavano una rivolta e non sono certo stati colti di sorpresa, tanto è vero che il presidente era «stato spostato» in un luogo sicuro in previsione della manifestazione. Del resto, era da marzo che si susseguivano proteste - per la maggior parte pacifiche - per chiedere le sue dimissioni. L’insofferenza è peggiorata nelle ultime settimane quando è stato deciso un razionamento della benzina che ha costretto alcuni servizi essenziali, come le scuole, a chiudere.
La fuga di Rajapaksa ha ovviamente innescato una reazione a catena. Poche ore dopo l’occupazione del palazzo, sono state annunciate le dimissioni del primo ministro Ranil Wickremesinghe. Secondo il suo staff, la decisione è stata presa dopo le richieste dei leader dei partiti presenti in Parlamento, che ora intendono formare un governo di unità nazionale, per provare a placare gli animi. Per quanto riguarda invece Rajapaksa, una fonte della Difesa ha tenuto a precisare che «è sempre lui il presidente ed è protetto da un’unità militare».
Come si diceva, dunque, solo dopo l’allontanamento del presidente dal Palazzo, quest’ultimo è stato occupato. I canali televisivi locali hanno mostrato le immagini di centinaia di persone che si arrampicavano sui cancelli della residenza presidenziale nel cuore di Colombo. Alcuni manifestanti, avvolti nelle bandiere nazionali, hanno fatto irruzione nelle stanze gridando slogan contro Rajapaksa. Fuori dall’edificio si erano unite alla rivolta migliaia di persone. Lo Sri Lanka, che conta 22 milioni di abitanti, è stato colpito dalla peggiore crisi dal 1948, anno dell’indipendenza dal Regno Unito, tanto che il governo è stato costretto a chiedere assistenza alimentare ai Paesi vicini. Pur se i fattori scatenanti sono molteplici (l’impatto del Covid-19 sull’economia turistica, i tagli al bilancio pubblico), sulla stabilità del Paese ha influito la guerra tra Russia e Ucraina. Il conflitto ha fatto contrarre le esportazioni di tè dello Sri Lanka e affossato l’industria nazionale del turismo che si stava riprendendo dopo la pandemia. L’arrivo di turisti russi e ucraini, i più numerosi a visitare l’isola, si è infatti bloccato. La Sri Lanka tourism development authority ha riferito che circa 20.000 ucraini e russi erano arrivati nel gennaio 2022, rappresentando più di un quarto del totale dei visitatori. Per quanto riguarda il tè, le esportazioni verso Russia e Ucraina, fondamentali per il mercato del prodotto, hanno subito un drastico calo. Di contro, il 45% delle importazioni di grano da parte dell’isola proveniva dalle due parti in conflitto. Per quanto riguarda i carburanti, tema più dolente, il Paese non è in grado di importarli a causa dell’indebitamento della compagnia petrolifera di Stato, Ceylon, che ha cumulato debiti per 700 milioni di dollari. «Nessun Paese al mondo è disponibile a fornirci carburante», aveva detto nei giorni scorsi il premier dimissionario. Proprio per questo, il governo aveva inviato due ministri in Russia nel tentativo di negoziare la fornitura di petrolio greggio a prezzi scontati. Ormai, però, la situazione è degenerata.
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Una fiammata del 6% in poche ore. Situazione esplosiva dall’Asia all’Ue, dopo le proteste in Olanda tocca alla Germania. A causare il rialzo dei prezzi sono i titoli gestiti dalla finanza. E gli allevatori contestano la politica di demonizzazione della zootecnia.In Sri lanka la crisi peggiore dall’indipendenza nel 1948. Assaltata la residenza di Gotabaya Rajapaksa.Lo speciale contiene due articoli.È l’uovo di Colombo, intesa come capitale dello Sri Lanka: oltre una certa soglia di povertà scoppiano le rivolte. In quella che era la mitica isola di Ceylon, cuore del buddismo e terra eletta per il the, hanno cacciato a furor di popolo il presidente Gotabaya Rajapaska, si è dimesso il primo ministro Ranil Wickremesinghe ed è guerra civile. Lo Sri Lanka è, come dicono gli economisti, «il canarino nella miniera». Segnala una doppia imminente esplosione di grisù: quella del debito dei Paesi poveri che potrebbe innescare una crisi mondiale e quella alimentare perché continua la speculazione sul grano con i prezzi delle materie prime agricole che non accennano a diminuire. Tradotto nel nostro carrello della spesa significa: pasta più 20,5%, farina più 18,7, pane 9,6, riso più 13, burro più 23,3, latte più 8,5, uova più 12,3, pollo più 18,6, olio di semi più 70,3%. C’è stata due giorni fa una fiammata del 6% nelle quotazioni del grano tenero che ha spiegato al mondo, anche se l’Occidente troppo impegnato sul fronte, anche della propaganda, della guerra in Ucraina fa finta di non vedere, che ad affamare l’Africa e mezza America del Sud non sono i silos pieni di Odessa, ma la speculazione. È in atto nel mondo uno scontro tra due modelli agricoli. Da una parte ci sono le multinazionali che vogliono iperprodurre a costi sempre più bassi e affidano alla finanza il compito di generare il valore aggiunto, dall’altra ci sono gli agricoltori più evoluti che difendono il valore agricolo. Così a molte migliaia di chilometri da Colombo ci sono altre proteste. Gli allevatori olandesi al confine con la Germania continuano il loro presidio contro le decisioni del governo di Mark Rutte che vuole abbattere le soglie di emissione di azoto del 75% condannando a morte la zootecnia olandese. Hanno reagito in 40.000, bloccando con i trattori tutte le strade d’Olanda, poi hanno portato la protesta al confine con la Germania nelle pianure del Linburgo dove è concentrata gran parte degli allevamenti. Lì c’è un luogo simbolo: Waalserberg dove si incontrano Olanda, Germania e Belgio. La protesta degli agricoltori olandesi (agli allevatosi si è unito tutto il comparto agricolo col rischio che in Europa manchino ortaggi e frutta tropicale che passano tutti per l’Olanda) è stata raccolta da quelli tedeschi preoccupati per i costi lievitati e che accusano il governo di Olaf Scholz di boicottare la zootecnia. C’è un caso politico che dalle stalle passa ai piani alti dell’Europa. Perché olandese è Franz Timmermans, vicepresidente della Commissione, che con il Farm to fork ha dichiarato guerra alla zootecnia e all’agricoltura in generale che secondo l’Ue è la prima fonte di inquinamento e ha sdoganato in Europa il consumo di insetti e di carne di alligatore del Nilo come alternative proteiche. Timmermans, sempre con i soldi dei contribuenti europei, sta finanziando i progetti per la produzione della carne e del latte sintetici da cellule staminali rifermentate. In Germania il neoministro agricolo Cem Özdemir - verde e vegano convinto che, inseguito da uno scandalo finanziario, per qualche tempo riparò negli Stati Uniti alla corte di Michelle Obama, prima pasionaria contro il consumo di carne - è anch’egli in lotta contro gli allevamenti. Sul fronte agricolo l’Europa si avvia a vivere una stagione difficilissima perché ormai la politica agricola comune è stata impostata sulla riduzione di produzione. Questo espone i consumatori, ma anche i produttori europei, a rincari di prezzi iperbolici che sono spinti dalle multinazionali. È il caso del grano dove il mercato si sta biforcando: da una parte il grano duro (quello per fare la pasta per capirci) continua ad avere incrementi severi, dall’altra il grano tenero (quello interessato dal conflitto ucraino) è entrato in una fase di incontrollata volatilità. Per quanto riguarda l’Italia sul duro abbiamo cali produttivi di almeno il 20% che ci imporranno di importare almeno 2,5 milioni di tonnellate in più. I prezzi del duro stanno sopra i 580 euro a tonnellata. Per il tenero a livello mondiale si sono registrati una settimana fa dei cali di prezzo perché il possibile sblocco del grano ucraino (rappresenta meno del 10% dell’export mondiale) ha innescato una tendenza ribassista. Ma la quantità di grano immessa non serve a placare la fame. La speculazione ha usato questo ribasso come un’esca: appena i 53 Paesi più poveri del mondo si sono affacciati sul mercato per comprare grano, il future è tornato a salire e due giorni fa stava a 893,25 dollari a tonnellata con un rialzo su base annua del 56,25% e un balzo del 6% in ventiquattr’ore. Evidente dimostrazione di come sia la speculazione finanziaria a far lievitare i prezzi agricoli. L’indice Fao a giugno ha raggiunto il valore di 154,2, per tre quarti dei Paesi poveri è un livello insostenibile. Il rincaro dei cereali mese su mese è del 27,6%, il lattiero caseario sale del 24,9%, lo zucchero dell’8,9%, la carne del 12,6% ed i grassi vegetali del 34,3%. È il canto del canarino dello Sri Lanka. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/grano-su-coltivatori-giu-piazza-2657640711.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="nello-sri-lanka-esplode-la-rabbia-per-il-carovita-il-presidente-fugge" data-post-id="2657640711" data-published-at="1657432661" data-use-pagination="False"> Nello Sri Lanka esplode la rabbia per il carovita. Il presidente fugge Scarsità di petrolio, mancanza di elettricità e generi alimentari, un’inflazione record. Gli elementi che facevano presagire come la situazione dello Sri Lanka stesse per precipitare c’erano tutti e il malcontento era stato espresso da tempo dalla popolazione. Alla fine, la situazione è esplosa. Migliaia di persone hanno invaso il palazzo presidenziale nella capitale Colombo e sono almeno 34 i feriti, di cui due gravi. Bersaglio delle proteste, il presidente Gotabaya Rajapaksa, al quale viene addebitata la gravissima crisi. Rajapaksa e i suoi collaboratori si aspettavano una rivolta e non sono certo stati colti di sorpresa, tanto è vero che il presidente era «stato spostato» in un luogo sicuro in previsione della manifestazione. Del resto, era da marzo che si susseguivano proteste - per la maggior parte pacifiche - per chiedere le sue dimissioni. L’insofferenza è peggiorata nelle ultime settimane quando è stato deciso un razionamento della benzina che ha costretto alcuni servizi essenziali, come le scuole, a chiudere. La fuga di Rajapaksa ha ovviamente innescato una reazione a catena. Poche ore dopo l’occupazione del palazzo, sono state annunciate le dimissioni del primo ministro Ranil Wickremesinghe. Secondo il suo staff, la decisione è stata presa dopo le richieste dei leader dei partiti presenti in Parlamento, che ora intendono formare un governo di unità nazionale, per provare a placare gli animi. Per quanto riguarda invece Rajapaksa, una fonte della Difesa ha tenuto a precisare che «è sempre lui il presidente ed è protetto da un’unità militare». Come si diceva, dunque, solo dopo l’allontanamento del presidente dal Palazzo, quest’ultimo è stato occupato. I canali televisivi locali hanno mostrato le immagini di centinaia di persone che si arrampicavano sui cancelli della residenza presidenziale nel cuore di Colombo. Alcuni manifestanti, avvolti nelle bandiere nazionali, hanno fatto irruzione nelle stanze gridando slogan contro Rajapaksa. Fuori dall’edificio si erano unite alla rivolta migliaia di persone. Lo Sri Lanka, che conta 22 milioni di abitanti, è stato colpito dalla peggiore crisi dal 1948, anno dell’indipendenza dal Regno Unito, tanto che il governo è stato costretto a chiedere assistenza alimentare ai Paesi vicini. Pur se i fattori scatenanti sono molteplici (l’impatto del Covid-19 sull’economia turistica, i tagli al bilancio pubblico), sulla stabilità del Paese ha influito la guerra tra Russia e Ucraina. Il conflitto ha fatto contrarre le esportazioni di tè dello Sri Lanka e affossato l’industria nazionale del turismo che si stava riprendendo dopo la pandemia. L’arrivo di turisti russi e ucraini, i più numerosi a visitare l’isola, si è infatti bloccato. La Sri Lanka tourism development authority ha riferito che circa 20.000 ucraini e russi erano arrivati nel gennaio 2022, rappresentando più di un quarto del totale dei visitatori. Per quanto riguarda il tè, le esportazioni verso Russia e Ucraina, fondamentali per il mercato del prodotto, hanno subito un drastico calo. Di contro, il 45% delle importazioni di grano da parte dell’isola proveniva dalle due parti in conflitto. Per quanto riguarda i carburanti, tema più dolente, il Paese non è in grado di importarli a causa dell’indebitamento della compagnia petrolifera di Stato, Ceylon, che ha cumulato debiti per 700 milioni di dollari. «Nessun Paese al mondo è disponibile a fornirci carburante», aveva detto nei giorni scorsi il premier dimissionario. Proprio per questo, il governo aveva inviato due ministri in Russia nel tentativo di negoziare la fornitura di petrolio greggio a prezzi scontati. Ormai, però, la situazione è degenerata.
In alto a sinistra una «Rettungsboje» tedesca. Sotto, la boa Asr-10 inglese e i rispettivi esplosi
Nei mesi della Battaglia di Inghilterra, iniziata nel luglio 1940 dopo la rapida caduta della Francia, la guerra aerea fu l’essenza della strategia da entrambe le parti. La Luftwaffe, con i suoi 2.500 velivoli in condizioni operative, superò inizialmente la Royal Air Force, che in quel periodo iniziò un enorme sforzo industriale per cercare di ridurre il «gap» numerico e tecnologico (nacquero in quel periodo i fortissimi caccia Hawker «Hurricane» e Supermarine «Spitfire» che saranno decisivi per l’esito finale della battaglia). Se le fabbriche sfornavano centinaia di velivoli al mese (i tedeschi con i Messerschmitt Bf 109, gli Heinkel 111 e i Dornier Do17), i comandi delle due aviazioni non potevano formare altrettanti piloti in così poco tempo, rendendo la figura dell’aviatore un bene preziosissimo da preservare il più possibile viste le ingenti perdite in battaglia. Un aspetto così delicato in un momento così drammatico per l’esito della guerra fu affrontato per primo dagli alti comandi della Luftwaffe. La necessità era quella di salvare il più alto numero di equipaggi in un teatro di operazioni principalmente localizzato nello specchio di mare della Manica, sopra il quale nel picco dei combattimenti dell’agosto 1940 volavano quotidianamente oltre 1.500 aerei.
La soluzione per il salvataggio degli aviatori in caso di ammaraggio con sopravvissuti venne da un ex asso della Grande Guerra, il generale di squadra aerea Ernst Udet. L’ufficiale, secondo solamente al «Barone Rosso» Manfred von Richtofen per numero di abbattimenti, era stato da poco nominato responsabile per la logistica e gli appalti della forza aerea del Terzo Reich. Fu nel picco delle operazioni dell’estate 1940 che Udet sviluppò la sua idea: una boa «abitabile», posizionata nei tratti di mare statisticamente più soggetti agli ammaraggi e ancorata al fondale. I piloti potevano leggerne la posizione sulle carte aeronautiche in dotazione. Di forma esagonale, la «Rettungsboje» (letteralmente boa di soccorso) aveva una superficie abitabile di 4 metri quadrati. Lo scafo aveva un’altezza di 2.5 metri ed era sovrastato da una torretta finestrata di ulteriori 1,8 metri. Verniciata in giallo, presentava una visibile croce rossa (standard della Convenzione di Ginevra) sui lati della torretta. All’interno dello scafo potevano trovare alloggio sicuro quattro aviatori, con due cuccette a castello ancorate alla struttura per rimanere stabili nel mare agitato. Riscaldata da una stufa ad alcool, la boa offriva razioni d’emergenza e acqua ma anche cognac, sigarette e carte da gioco. Negli armadi erano presenti il kit di primo soccorso ed abiti asciutti, mentre le comunicazioni erano fornite da una radio ricetrasmittente. All’interno c’erano anche una pompa per eventuali falle e un canotto per raggiungere i soccorsi una volta giunti nei pressi della boa. Completavano l’equipaggiamento razzi di segnalazione e una macchina per i fumogeni di emergenza. Il personale ospitato dalle boe poteva resistere protetto dall’ipotermia e dai marosi anche per una settimana nell’attesa che un idrovolante di soccorso o una nave li raggiungesse.
Circa 50 furono le «Rettungsbuoje» dislocate nella Manica, contribuendo al salvataggio di un numero imprecisato di aviatori. Gli inglesi realizzarono un mezzo simile nello stesso periodo, seppure molto differente nella forma. La boa ASR-10 (Air Sea Rescue Float) assomigliava molto ad un motoscafo, seppur priva di propulsore. Era studiata per facilitare l’accesso da parte dei naufraghi in balia delle onde, con la poppa digradante verso l’acqua. L’equipaggiamento era molto simile a quello della boa tedesca. Dipinta in rosso e arancio vivaci, fu realizzata in 16 esemplari ancorati nel braccio di mare tra Inghilterra e Francia tra il 1940 ed il 1941. Oggi un esemplare è conservato presso lo Scottish Maritime Museum.
Le boe tedesche, dopo la fine della Battaglia di Inghilterra, furono spostate presso le Channel Islands, il piccolo arcipelago occupato temporaneamente dai tedeschi e utilizzate come punti di vedetta o di difesa dopo essere state munite di una mitragliatrice. A causa della loro vulnerabilità furono quasi tutte affondate dagli aerei della Raf. Un esemplare recuperato nel 2020 dopo essere rimasto per decenni arenato e insabbiato a Terschelling nelle isole Frisone occidentali è conservato al «Bunkermuseum» dell’isola olandese.
Ernst Udet, dopo l’esito infausto della Battaglia d’Inghilterra per la Luftwaffe, già in preda all’alcolismo cadde in depressione. Si tolse la vita a Berlino il 17 novembre 1941, forse anche per le conseguenze della pressione psicologica che Hermann Göring esercitò sull’ufficiale dell’aeronautica addossandogli la responsabilità della sconfitta.
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Stanno comparendo in diverse città italiane, graditi soprattutto alle giunte di centro sinistra e in particolare ai fanatici delle zone con limitazione di traffico a 30kmh. Basta una nottata e grazie a una serie di tasselli inseriti nell’asfalto l’installazione è fatta. Tutto bello? Non proprio: a ben guardare la normativa riguardante tale soluzione è Incompleta, poiché In Italia non sono previsti nel dettaglio dal Codice della Strada e questo rende la loro adozione più complicata sul pano della burocrazia. In pratica, per ora la loro installazione avviene solo tramite sperimentazione autorizzata dal Ministero dei Trasporti. Ci sono poi alcune questioni tecniche: andrebbero installati soltanto sulle strade con bassa densità di traffico e, appunto, laddove il limite è già 30 km/h, e questo giocoforza li rende una soluzione praticabile soltanto in alcune zone. Inoltre, i cuscini berlinesi devono essere posizionati a una distanza tale da curve e incroci per permettere ai veicoli più grandi di potersi raddrizzare completamente dopo aver effettuato la svolta prima di valicarli. Il peggio però è altro: se chi è distratto da aver superato di poco il limite, finendoci sopra rischia di danneggiare la vettura e ciò accadrà ancora di più se essa è poco rialzata da terra. Ma se la distrazione o le condizioni psicofisiche del conducente sono alterate al punto che egli non si sta rendendo conto della sua velocità, e questa è elevata, egli può facilmente perdere il controllo, ad andare bene finendo per sbattere contro altri mezzi, peggio finendo per travolgere delle persone. E non mancano neppure i problemi di manutenzione, poiché nel tempo si usurano a causa delle pressioni ma anche dell’irraggiamento solare e degli sbalzi di temperatura. Laddove sono stati applicati in modo diffuso è in Francia e nel Regno Unito, nazioni che ne hanno definito le specifiche riprendendo a loro volta quelle tedesche. Il Dipartimento per i trasporti del Regno Unito già nel 1984 aveva fissato la pendenza massima degli elementi al 12,5% per le rampe longitudinali di ingresso e di uscita dai cuscini, ed il rapporto del 25% per le rampe trasversali laterali. Stando a quanto si trova online, la Francia prevede rampe longitudinali con pendenze molto più elevate: le rampe devono essere lunghe 20 cm per cuscini alti 5 cm (con una pendenza del 25%), 25 cm per cuscini alti 7 cm (con una pendenza del 28%). Rampe così ripide devono essere adottate con cautela: indagini condotte dal Dipartimento dei trasporti britannico hanno mostrato che, con rampe longitudinali dalla pendenza maggiore del 17%, i veicoli rischiavano di toccare il con il fondo riportando seri danni: dalla distruzione dell’impianto di scarico fino alla rottura della coppa dell’olio con annesso sversamento del fluido e inquinamento. Di conseguenza essi devono essere particolarmente ben segnalati – tipicamente con verniciature gialle – ma anche tale caratteristica tende ovviamente a degradarsi con il tempo. E stante il livello di manutenzione delle nostre strade è facile prevedere che dovremo confidare nell’attenzione di chi guida e nell’illuminazione pubblica. Una delle questioni è anche come gli automobilisti reagiscono quando si accorgono in ritardo della loro presenza: frenate improvvise e repentine deviazioni di traiettoria sono all’ordine del giorno. Stando ai dati raccolti dalle municipalità che in Europa li stanno utilizzando da tempo la velocità media di superamento dei cuscini berlinesi di è di poco superiore ai 22 km/h per larghezze di 1,9 metri, mentre sale a 30 km/h per quelli più stretti, che quindi provocano nei conducenti meno apprensione per l’impatto sotto gli pneumatici. E di conseguenza illudono che l’effetto di un attraversamento accelerato sia inferiore. Invece il botto è garantito. Pur sapendo che taluni lettori non saranno d’accordo, chi scrive pensa che la sicurezza (stradale in primis), nasca dalla cultura della consapevolezza e non dalle costrizioni. E che più una strada è sgombra, più ridotto è il rischio di fare incidenti.
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Giovanni Malagò (Getty Images)
Adesso si trova in Campania, dopo esser passata tra Lazio, Umbria Toscana, Sardegna, Sicilia e Calabria. Molte regioni verranno ripercorse di nuovo, in lungo e in largo. Il 26 gennaio tornerà invece, dopo 70 anni esatti dalla Cerimonia d’Apertura dei Giochi, a Cortina d’Ampezzo e concluderà il suo tragitto a Milano facendo il suo ingresso allo Stadio di San Siro, la sera di venerdì 6 febbraio 2026. 10.000 tedofori la stanno conducendo tra volti noti e persone comuni. I primi volti noti dello spettacolo e dello sport sono il cantante Achille Lauro, Flavia Pennetta, icona del nostro tennis, vincitrice degli US Open 2015 e di 4 Billie Jean King Cup e Francesco Bagnaia, due volte campione del mondo di MotoGP e una in Moto2. Tantissimi altri ancora e altri ce ne saranno. Anche perché la storia del Viaggio della Fiamma è piena di leggende, come Muhammad Alì ad Atlanta 1996, Cathy Freeman a Sydney 2000 e poi ancora la fondista Stefania Belmondo, ultima tedofora di Torino 2006 vent’anni fa nell’ultima edizione invernale italiana, dopo le frazioni di altri campioni olimpici azzurri come Alberto Tomba, Manuela Di Centa, Silvio Fauner e Deborah Compagnoni (nella foto di copertina). Quattro anni prima, invece, l’intera squadra statunitense di hockey maschile del “Miracolo sul ghiaccio” di Lake Placid 1980 che accese il braciere di Salt Lake City 2002 tra la commozione del pubblico statunitense.
La fiamma olimpica nasce con le prime olimpiadi nell'antica Grecia, dove il fuoco sacro ardeva in onore degli dèi durante i Giochi originali. La tradizione moderna è stata reintrodotta con l'accensione del braciere ai Giochi Olimpici di Amsterdam nel 1928 e la prima staffetta della torcia a Berlino nel 1936. Le torce di #MilanoCortina2026 sono un omaggio al design italiano con uno stile che mette al centro la fiamma. Eleganti. Iconiche. Sostenibili. Si chiamano Essential e portano con sé lo spirito dei Giochi che verranno.
La fiamma paralimpica partirà invece il 24 febbraio 2026 e si concluderà il 6 marzo 2026, giorno della cerimonia di apertura dei Giochi paralimpici all’Arena di Verona. Sfilerà nelle mani di 501 tedofori per 2.000 chilometri in 11 giorni. “La fiamma paralimpica verrà accesa il 24 febbraio a Stoke Mandeville in Inghilterra, storico luogo di nascita dello sport Paralitico - dichiara Maria Laura Iascone, Ceremonies Director di Fondazione Milano Cortina 2026 -. L’arrivo in Italia coinciderà con l’inizio di un viaggio che focalizzerà l’attenzione e l’entusiasmo verso le Paralimpiadi, amplificandone i messaggi di rispetto e inclusività, e generando un volano di entusiasmo, attesa e partecipazione intorno agli atleti paralimpici”. Dopo l'accensione nel Regno Unito, la fiamma paralimpica animerà 5 Flame Festival dal 24 febbraio al 2 marzo a Milano, Torino, Bolzano, Trento e Trieste, con la cerimonia di unione delle Fiamme il 3 marzo a Cortina d’Ampezzo. Dal 4 marzo, la fiamma raggiungerà Venezia e Padova, per fare il suo ingresso il 6 marzo all’Arena di Verona per la cerimonia di apertura dei Giochi paralimpici.
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