
Il 25 aprile anche quest'anno è stato inondato dai soliti fiumi di retorica, tra parole inutili e rituali stanchi anche nella loro scemenza. Uno straordinario campionario radical snob cui non poteva mancare Roberto Saviano.Il 25 aprile? È il salame. Con le focacce. E anche il vino. Soprattutto tanto vino, evidentemente. Lo scrittore Maurizio Maggiani su Repubblica centra subito il problema, oltre che la bottiglia: stamattina mi sono svegliato, e ho trovato il sauvignon. O bella ciao, barbera rossa la trionferà. Così la scampagnata della Resistenza è potuta andare in scena anche quest'anno, accompagnata dai soliti fiumi di retorica, in mezzo a parole inutili e rituali stanchi, anche nella loro scemenza. Una lapide imbrattata, un tafferuglio anarchico, un buffone al politico di turno (quest'anno, ovviamente, va di moda Virginia Raggi) e i soliti furbi che a Milano fischiano la Brigata ebraica, ormai un classico, un po' come i neonati che si fanno la cacca nel pannolino. Soltanto che questi ultimi puzzano un po' di meno.Il merendino sinceramente democratico, immancabile fuori porta della Liberazione, si è svolto come da copione. Secondo tradizione. Non è mancato proprio nulla. Formule vuote comprese. E così abbiamo di nuovo scoperto che il 25 aprile è stato il giorno del «riscatto» (presidente Sergio Mattarella), «frutto di sacrifici« (presidente del Senato, Elisabetta Casellati), una «festa per la democrazia» (premier Giuseppe Conte) e persino un valore (vicepremier Luigi Di Maio). Ma chi lo avrebbe mai detto? Se, per ipotesi, qualcuno avesse confuso il 25 aprile con un cocomero o un tempio indù, ecco, farà bene a ricredersi, se non altro per non dare un dispiacere alle nostre massime autorità istituzionali, che si sono tante impegnate. È un valore. Un riscatto. Una festa per la democrazia. O al massimo una focaccia con il vino, come ha precisato per l'appunto lo scrittore Maggiani, in una pagina di illustri pareri raccolti in un numero da collezione di Repubblica che ieri mattina anticipava su carta la successiva indigestione retorica della piazza.Nel meraviglioso campionario del quotidiano, infatti, abbiamo scoperto in rapida successione che il 25 aprile è, fra le altre cose: l'»emancipazione della donna» (Simonetta Agnello Horby, scrittrice); «la differenza tra moria e memoria» (Alessandro Bergonzoni, attore) che ci impone di «ricordarsi di far stimare le vittime» (mo' me lo segno, direbbe Massimo Troisi); la «resistenza europea» (Guido Crainz, storico); «un fiore prezioso» (Serena Dandini, conduttrice tv); «la presa della Bastiglia» (Maurizio Ferraris, filosofo); «un inseguimento tosto» (Roberto Vecchioni, cantante); «il ricordo di gesta gloriose» (Antonio Scurati, scrittore); «il ricordo di gioia sfrenata» (Dacia Maraini, scrittrice); «il velo che coprì gli eroi» (Alberto Melloni, storico); e «un giorno di gioventù e meraviglia»(sempre Maurizio Maggiani, scrittore. Incredibilmente prima e non dopo il vino). Purtroppo la pagina del quotidiano a un certo punto finiva (e gli intellettuali italiani pure, tanto è vero che Repubblica è stata costretta a prenderne in prestito un paio dalla Francia), altrimenti avremmo potuto scoprire tante altre cose interessanti sul 25 aprile. Perché per esempio la presa della Bastiglia e non la conquista del Palazzo d'Inverno? Perché l'emancipazione della donna e non la conquista dello spazio? O le nuove frontiere della bioetica? E oltre al salame e alle focacce non si sarebbe potuto apparecchiare anche qualcos'altro? Per dire: un cacio e pepe alla garibaldina? Una frittata in salsa di Cln? L'abboffata, in ogni caso, è garantita. Almeno quella di luoghi comuni. Sempre su Repubblica, infatti, viene pure scomodato un ragazzino di 17 anni che si è guadagnato l'intervista d'ordinanza annunciando la partecipazione al suo primo 25 aprile, ovviamente dopo essere sceso in piazza al seguito di Greta. Non sa nulla di nulla, lo ammette. Però ha scoperto una verità sconvolgente: durante il fascismo non è vero che i treni arrivavano puntuali, erano i ferrovieri che non potevano segnare i ritardi. Voi capite che uno così, per restare in tema, è già sul binario giusto.Avanti, popolo: poco poco che s'impegna costui mi diventa, come niente, un altro Roberto Saviano. Anche se, bisogna ammetterlo, stavolta lo scrittore di Gomorra ha dato il meglio di sé prendendosela a sorpresa con un bersaglio inaspettato. Chi? Il ministro dell'Interno Matteo Salvini, ovviamente. Che ci volete fare? A lui Salvini fa l'effetto drappo rosso alla corrida: appena lo vede, carica. E se non lo vede, carica lo stesso. Ieri, per dire, il vicepremier ha scelto di andare a Corleone, per dare un segnale nella lotta contro la mafia, e per togliersi anche dalle piazze delle bandiere rosse, dove sarebbe diventato motivo di attacchi e scontri, rendendo la cronaca del 25 aprile assai più funesta di quella che è stata. Ma niente, a Saviano questa scelta non è andata giù. In effetti: come si permette Salvini? Andare a Corleone? Parlare di lotta alla mafia? Dire che la legalità viene prima di tutto? Poco ci mancava che a Saviano venisse un coccolone.In effetti, capiamo l'imbarazzo: se il ministro dell'Interno è contro la mafia per dargli torto come si fa? Si dà ragione alla mafia? Per fortuna per il momento Saviano non è stato costretto a raggiungere questo livello perché ha scoperto prove inoppugnabili della collusione di Salvini con le cosche. Quest'ultimo, infatti, nel 2015 fece una conferenza stampa (non vi sfugga: una conferenza stampa) in un hotel (udite bene: un hotel), dove tre anni prima (state attenti: tre anni prima) avevano dormito una notte alcuni killer al servizio dei clan. Non è pazzesco? Non è clamoroso? Non è una prova inconfutabile anche della colpevolezza di Armando Siri? E guardate che non è tutto: i killer delle cosche, oltre a dormire tre anni prima in un hotel in cui tre anni dopo passerà Salvini, nemmeno «pagarono il pernottamento». Che screanzati, non vi pare? Vabbeh fare i killer. Vabbeh lavorare per le cosche. Ma lasciare il conto da pagare… Non è troppo? Magari, per dire, si sono bevuti pure la Coca Cola dal frigobar senza dichiararlo alla reception. E Salvini, tre anni dopo, è passato di lì, a fare una conferenza in quello stesso hotel, dove loro non hanno pagato il conto, senza sentirsi un po' a disagio? Ma non vi pare terribile? Indecente? Per fortuna c'è Saviano a denunciare questi scandali. Chissà, magari pagherà lui pure il conto della Coca Cola. E pure quello del vino. Così potranno continuare a ubriacarsi felici e non solo di parole, lui, Maggiani e tutti gli altri. O bella ciao. Per i salami non preoccupatevi, ce ne sono fin troppi in giro in giorni come questi.
Zohran Mamdani (Ansa)
Il pro Pal Mamdani vuole alzare le tasse per congelare sfratti e affitti, rendere gratuiti i mezzi pubblici, gestire i prezzi degli alimentari. Per i nostri capetti progressisti a caccia di un vero leader è un modello.
La sinistra ha un nuovo leader. Si chiama Zohran Mamdani e, anche se non parla una sola parola d’italiano, i compagni lo considerano il nuovo faro del progressismo nazionale. Prima di lui a dire il vero ci sono stati Bill Clinton, Tony Blair, José Luis Rodriguez Zapatero, Luis Inàcio Lula da Silva, Barack Obama e perfino Emmanuel Macron, ovvero la crème della sinistra globale, tutti presi a modello per risollevare le sorti del Pd e dei suoi alleati con prime, seconde e anche terze vie. Adesso, passati di moda i predecessori dell’internazionale socialista, è il turno del trentaquattrenne Mamdani.
Antonio Forlini, presidente di UnaItalia, spiega il successo delle carni bianche, le più consumate nel nostro Paese
Ursula von der Leyen (Ansa)
Sì al taglio del 90% della CO2 entro il 2040. Sola concessione: tra due anni se ne riparla.
L’Europa somiglia molto al gattopardo. Anzi, a un gattopardino: cambiare poco perché non cambi nulla. Invece di prendere atto, una volta per tutte, che le industrie europee non riescono a reggere l’impatto del Green deal e, quindi, cambiare direzione, fanno mille acrobazie che non cambiano la sostanza. Per carità: nessuno mette in dubbio la necessità di interventi nell’ambiente ma, fatti in questo modo, ci porteranno a sbattere contro un muro come abbiamo già ampiamente fatto in questi anni.
Ansa
L’aggressore di Milano aveva avuto il via libera dal Tribunale di Brescia nel 2024.
È la domanda che pesa più di ogni coltellata: come è stato possibile che, nel dicembre 2024, il Tribunale di Sorveglianza di Brescia - competente anche per Bergamo - abbia dichiarato «non più socialmente pericoloso» Vincenzo Lanni, l’uomo che lunedì mattina, in piazza Gae Aulenti, ha colpito una donna sconosciuta con la stessa freddezza di dieci anni fa? «La cosa che mi ha più colpito», spiega Cinzia Pezzotta, ex avvocato di Lanni, alla Verità, «è che abbia ripetuto le stesse parole di quando aveva aggredito due anziani nell’estate del 2015. Anche allora si era subito accertato che stessero bene, come adesso».






