2023-08-17
Il governo regala una poltrona all’uomo che soffiò il seggio al Cav
Ulisse Di Giacomo (Imagoeconomica)
Il Consiglio dei ministri nomina Ulisse Di Giacomo subcommissario alla Sanità in Molise. Ex forzista, si batté per la decadenza di Silvio da senatore perché privo di «requisiti morali». E così gli prese il posto.C’è qualcosa che è andato storto, nei preparativi per il Berlusconi day. Mentre l’organizzazione della kermesse che si terrà a Paestum il prossimo 29 settembre, in coincidenza della data di nascita del fondatore di Forza Italia, snocciola ogni giorno numeri trionfali sull’adesione e sul numero degli ospiti (pare sia già stato raggiunto il sold-out), a livello politico una notizia degli ultimi giorni ha evidenziato una falla nella cura della memoria del Cavaliere, da parte dei suoi eredi politici. Ed è una falla non da poco, se il protagonista di uno dei peggiori voltafaccia della storia recente nei confronti del Silvio nazionale ha ottenuto una importante nomina da parte del governo.Stiamo parlando di Ulisse Di Giacomo, che è stato nominato lo scorso 3 agosto dal Consiglio dei ministri subcommissario alla Sanità della Regione Molise. Di Giacomo ha una lunga e stratificata storia politica: arrivò nell’agone da craxiano, per poi aderire al progetto azzurro tanto entusiasticamente da diventare luogotenente berlusconiano per lunghi anni nella sua terra. Qui Di Giacomo, grazie alla scelta forzista, scalò le gerarchie tanto velocemente da diventare assessore regionale alla Sanità nella giunta di centrodestra presieduta da Michele Iorio e da dimettersi anticipatamente per fare il grande salto nella politica nazionale, in qualità di senatore di Fi, nel 2008. Un fedelissimo, insomma, uno di quelli che con un termine tra il dispregiativo e l’ammirato da qualche tempo si è preso a chiamare «cacicco», per sottolinearne il potere illimitato a livello locale. Non a caso, quando si celebrò la fusione con An per dare vita al Pdl, la scelta per il coordinatore molisano non poté che cadere sui di lui. Erano gli anni dell’idillio berlusconiano di Ulisse, col Cavaliere che aveva ripreso le redini del governo nazionale e il Pdl di gran lunga il primo partito nazionale. Poi, le fortune del leader, come è noto, iniziarono a mutare, a causa dell’attacco concentrico della speculazione internazionale sui mercati e delle inchieste giudiziarie. L’ariete per espellere definitivamente Berlusconi dalla politica italiana, dopo averlo disarcionato dal governo e aver fatto naufragare il Pdl a forza di scissioni (quelle di Gianfranco Fini e dell’ex delfino Angelino Alfano) fu individuato nella legge Severino, curioso esempio di legge contra personam, architettata da chi aveva sempre accusato il destinatario della stessa di approvarsi delle leggi ad personam. Secondo le norme della Severino, dopo la condanna definitiva per frode fiscale confermata nell’agosto del 2013 dalla Cassazione, l’aula di Palazzo Madama avrebbe dovuto decidere se far decadere dalla carica di senatore il leader azzurro, cosa che avvenne nel novembre dello stesso anno dopo un iter tormentato e costellato di polemiche roventi. E di clamorosi ribaltoni, come appunto quello di Di Giacomo, che in un batter di ciglio passò dall’essere un luogotenente di Berlusconi a uno dei massimi sostenitori della sua decadenza. Cosa era successo nel frattempo? È molto semplice: il Nostro era stato messo in lista come numero 2 nel collegio senatoriale della sua Regione, dove in cima c’era naturalmente Berlusconi, capolista in più di un collegio. Una circostanza che non preoccupava più di tanto Di Giacomo, sicuro che l’opzione berlusconiana sarebbe caduta su altri territori. E invece il Cavaliere scelse proprio il Molise come collegio d’elezione, lasciando lui fuori dal Parlamento. Fin tanto che l’opzione di Berlusconi non fu resa nota dal diretto interessato, l’aspirante rieletto molisano continuò a usare parole deferenti nei confronti di Berlusconi e non mancò di presenziare alla manifestazione sulla scalinata del palazzo di Giustizia di Milano in suo sostegno. Dopo, però, lo scenario mutò repentinamente. Intanto, il progressivo allontanamento da Fi per seguire Alfano nell’effimero progetto del Ncd, prima di dare corso alla personale revanche. Con modalità non proprio simpatiche, visto che Di Giacomo, con in testa l’obiettivo di rientrare dalla finestra al Senato approfittando della Severino arrivò a farsi rappresentare dal proprio legale in Giunta per le Elezioni, sostenendo la tesi della decadenza con uno zelo tale da fargli dichiarare (come reca anche la testata della sua pagina Wikipedia) che Berlusconi non aveva i «requisiti morali» per restare in Parlamento dopo la condanna. Tesi che trovò, ovviamente, terreno fertile nei senatori della sinistra, che in Aula confermarono il voto della Giunta e defenestrarono il Cavaliere. Da quel momento Di Giacomo poté riassaporare l’agognato scranno ma sparì dai radar della galassia forzista e in generale della politica che conta, fino alla notizia della sua nomina a subcommissario, per la quale è lecito chiedere alla delegazione azzurra al governo se abbia non tanto i requisiti tecnici ma quelli morali.