
Il no alla ratifica della riforma del Meccanismo europeo di stabilità alla Camera può considerarsi una vittoria della Lega?
«Sicuramente, perché per primi, con più forza e più argomentazioni, abbiamo condotto la battaglia contro questo strumento inusuale, (per usare un eufemismo). Uno strumento nel migliore dei casi inutile e nel peggiore dannoso. C’è felicità per aver messo la parola fine a un dibattito anacronistico che stava portando via tempo ed energia ad argomenti ben più seri. Ironicamente ho scritto che il Pd voleva ripartire dal Mes con la speranza di avere di nuovo la possibilità di tornare a governare senza passare per le elezioni. Capisco che dal loro punto di vista fosse importante. Non lo era per gli italiani. Bene che il Parlamento si sia espresso».
Si riproporrà il tema Mes in futuro?
«Spero di no, è l’occasione per le istituzioni europee di mettere la parola fine su questo strumento che non è utile. Piuttosto si apra un dibattito su come sfruttare le risorse bloccate all’interno di questo meccanismo. Si tratta di circa 100 miliardi, che non sono pochi. Si potrebbe cominciare a parlare di una politica europea per gli investimenti. Nei vari tavoli che sono aperti».
A livello europeo all’interno del vostro gruppo Identità e democrazia come dialogate sul Mes? Tutti i Paesi hanno ratificato il Mes. C’è accordo?
«Nei Paesi in cui è stato approvato nessuno dei nostri partiti è stato a favore, c’è unità di intenti sul fatto che nessuno deve pagare per crisi bancarie di altri Paesi. Siano le stesse banche a pagare. Dal 2014 entrerà a regime pieno il fondo di risoluzione unica, sono 60 miliardi che servono proprio alle crisi bancarie. Soldi a cui hanno contribuito anno dopo anno le banche dell’Eurozona. Se proprio si deve si può continuare con questo meccanismo. Nel gruppo Id c’è una comunanza di intenti nel ritenere il Mes uno strumento inutile, uno strumento di coercizione usato da alcune istituzioni europee e siamo tutti d’accordo sul fatto che ai nostri bilanci nazionali farebbe comodo riprendere le quote versate fin qui».
Giancarlo Giorgetti, il ministro dell’Economia e delle Finanze di questo governo è anche uno storico e importantissimo esponente della Lega. Dice che fosse stato per lui avrebbe approvato il Mes, come se lo spiega?
«Giorgetti è un uomo intelligente, lo ha dimostrando ricordando che l’Europa non ha sempre ragione. Dopo i disastri della Troika, la sensazione è che la maggioranza dei vertici europei abbiano cercato di dare una logica e un senso diverso a questo strumento. Proponendolo in diverse salse davanti a ogni crisi. La verità è che il Mes è un tentativo raffazzonato per non voler usare strumenti che solitamente si usano sia nelle crisi bancarie sia nelle crisi del debito pubblico: le banche centrali e le tesorerie. Giorgetti ne è ben consapevole e sono convinto che avendo negoziato il Patto di stabilità, in una logica di pacchetto, visto che l’accordo non è stato pienamente soddisfacente, non era possibile per l’Italia fare un sacrificio approvando la riforma del Mes».
Sul Patto di stabilità si poteva fare di più?
«Sì. È stato fatto un piccolo passo in avanti rispetto alla vecchia struttura del Patto, ma mi pare abbastanza evidente quanto è emerso: si è comprato del tempo fino al 2027 per poi vedere come andranno le cose. Dalle prime stime tanti governi non riusciranno a rispettare le prospettive di manovra e di rientro in una situazione in cui abbiamo bisogno di tanti investimenti e interventi anche attraverso le casse pubbliche. Non credo si sia scritta la parola fine, credo ci sarà ancora un negoziato da portare avanti e credo che ci voglia flessibilità aggiuntiva per dare credibilità al Patto stesso e per evitare il rischio, come nella vecchia versione, che ci siano regole che non vengono rispettate. Credo quindi che ci sia ancora del lavoro da fare».






