2019-10-27
Gli Usa uccidono il capo dell'Isis. La testa di al Baghdadi mette d'accordo pure turchi, russi e curdi
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Gli Stati Uniti hanno assicurato alla giustizia il leader terroristico numero uno al mondo. Abu Bakr al Baghdadi è morto Con queste parole, Donald Trump ha annunciato la morte del leader dell'Isis, nel corso di una conferenza stampa tenuta alla Casa Bianca. <Era il fondatore e il leader dell'Isis. La più spietata e violenta organizzazione terroristica in tutto il mondo. Gli Stati Uniti sono alla ricerca di Baghdadi da molti anni. Catturare o uccidere Baghdadi è stata la massima priorità di sicurezza nazionale della mia amministrazione>, ha proseguito il presidente americano. <È morto dopo essersi imbattuto in un tunnel senza uscita, piagnucolando, piangendo e urlando fino in fondo […] Non è morto come un eroe. È morto come un codardo>. Nel dettaglio, l'ex califfo – su cui pendeva una taglia di venticinque milioni di dollari – è rimasto ucciso nel corso di un raid aereo statunitense nella regione di Idlib, nella Siria nordoccidentale, dopo essersi fatto saltare in aria con un giubbotto esplosivo. Le conseguenze dell'uccisione di Baghdadi non sono poche. In primo luogo, questo evento produrrà delle inevitabili ripercussioni sulla politica interna americana, consentendo a Trump di avere un deciso argomento a proprio favore nella sfida con i democratici, in vista delle presidenziali del 2020. Il presidente può conseguire maggior sostegno da parte dell'opinione pubblica in generale e – nello specifico – riuscire a riconquistare il sostegno di quanti non avevano visto troppo di buon occhio il suo disimpegno siriano: a partire dai leader delle congregazioni evangeliche, da sempre preoccupati per le persecuzioni dei cristiani in loco. Non dimentichiamo, del resto, che Barack Obama si servì ampiamente dell'uccisione di Osama bin Laden (avvenuta nel 2011) nel corso della campagna elettorale del 2012. L'allora presidente democratico sbandierò a più riprese quel risultato come un trofeo, utilizzandolo per attaccare duramente il suo rivale repubblicano, Mitt Romney. I democratici sostennero infatti che quest'ultimo non avrebbe infatti avuto il fegato di ordinare un'operazione come quella che aveva portato alla morte del leader di al Qaeda, sottolineando tra l'altro che lo stesso Romney – alcuni anni prima – si fosse detto contrario <a spendere miliardi di dollari solo per cercare di catturare una persona>. D'altronde, è interessante evidenziare come sia bin Laden che Baghdadi siano stati eliminati in un anno precedente a quello della corsa per la Casa Bianca. In secondo luogo, al di là del risvolto squisitamente elettorale, Trump potrebbe adesso giocarsi questa carta anche per ribadire ulteriormente la propria posizione di disimpegno militare dallo scacchiere siriano. Il presidente americano considera infatti il Medio Oriente un'area scarsamente strategica per gli Stati Uniti e vorrebbe delegare a Vladimir Putin il compito di stabilizzare la regione, garantendo così a Washington un notevole risparmio in termini di risorse. Si tratta di una posizione che i falchi del Congresso non hanno mai granché digerito, perché ritengono che conferirebbe a Mosca un vantaggio strategico eccessivo. Con l'uccisione di Baghdadi, Trump può tuttavia adesso ribaltare la prospettiva, rivendicando – ancora una volta – la distruzione dell'Isis e il fatto stesso che Washington non abbia più ragione per essere coinvolta (almeno militarmente) in Siria. Una posizione che il presidente ha non a caso ribadito in conferenza stampa. <Voglio portare i nostri soldati a casa>, ha detto. Un dato interessante risiede poi anche nei rapporti geopolitici tra Stati Uniti, Turchia e Russia. Ankara si sarebbe infatti coordinata con Washington per portare a compimento l'operazione. <La Turchia ha scambiato informazioni e si è coordinata con gli Stati Uniti prima dell'operazione americana per uccidere il capo dell'Isis nel Nord della Siria>, ha infatti reso noto ieri il ministero della Difesa turco. L'affermazione è interessante, tanto più se si considera che Baghdadi sia stato ucciso in un raid nella regione di Idlib: l'ultima roccaforte dei ribelli siriani che, oltre ad ospitare varie sigle jihadiste, è stata finora spalleggiata militarmente proprio dalla Turchia. Quella stessa Turchia che ha intrattenuto, negli anni, rapporti quantomeno ambigui proprio con lo Stato Islamico. È quindi possibile che, in occasione del recente vertice di Sochi, Putin abbia convinto Erdogan a ritirare gradualmente il proprio sostegno militare alla roccaforte ribelle. Il Sultano, dal canto suo, potrebbe avere d'altronde tutto l'interesse ad intestarsi adesso come nuovo campione della lotta al terrorismo islamista. In questo modo, tutti avrebbero avuto la propria parte di guadagno. Erdogan ha ottenuto la zona cuscinetto da lui desiderata, Trump la testa dell'ex califfo e Putin la possibilità di prendere totalmente il controllo della stessa Idlib. Tra l'altro, la morte di Baghdadi sembra aver messo per la prima volta quasi d'accordo turchi e curdi, visto che il generale Mazloum Abdi ha parlato su Twitter di <un'operazione storica e di successo grazie a un lavoro congiunto di intelligence con gli Stati Uniti>.