2019-10-24
Gli indios non hanno dèi, ma demoni che si venerano con i sacrifici umani
In un'epoca in cui i riti amazzonici entrano in Vaticano pubblichiamo un estratto dell'ultimo libro della storica Angela Pellicciari. Con il racconto dei culti malvagi che gli evangelizzatori si trovarono davanti nel Nuovo mondo.Nel 1519 Hernán Cortés (1485-1547) invia all'imperatore Carlo V, Carlo I di Spagna, alcuni magnifici esemplari dell'oreficeria azteca realizzati in oro, argento e pietre preziose. Albrecht Dürer, il più grande artista del Rinascimento tedesco, così descrive lo stupore che lo pervade quando questi manufatti gli vengono mostrati: «Lungo la mia vita, non ho visto nulla che colpisse tanto il mio cuore come questi oggetti. Sono opere realizzate con un'arte meravigliosa» [...].Dopo aver incontrato solo popoli primitivi, nel 1519 gli spagnoli si imbattono in un grande impero, una civiltà millenaria, creata in Messico dai maya e dagli aztechi. Grandi città, un complesso sistema viario, acquedotti, profonde conoscenze astronomiche e matematiche, una scrittura di tipo ideografico, grande maestria artistica. [...]Quella azteca è una società molto religiosa nel senso che la fede permea tutti gli aspetti della vita individuale e statale. [...] All'inizio del Cinquecento l'imperatore Montezuma, massima autorità civile e religiosa, governa su 371 popoli, che sono però perennemente in guerra gli uni contro gli altri. Occasione della guerra è la perenne ricerca di prigionieri e di schiavi da sacrificare agli dèi. I sacrifici umani, il vero asse portante della cultura e della religione azteca, diffusi ovunque e praticati in ogni tempo dell'anno per onorare le diverse divinità del panteon politeista, diventano sacrifici di massa a Tenochtitlán in onore del potente Huitzilopochtli, il dio del sole e della guerra, massima divinità azteca che, per continuare a fare il suo lavoro nel cielo, ha bisogno di un numero esorbitante di cuori umani estratti palpitanti dal petto dei sacrificati. Juan de Zumárraga, primo arcivescovo del Messico, così scrive al Capitolo francescano di Tolosa: gli indios «hanno l'abitudine di sacrificare in questa Città del Messico ai suoi idoli più di 20.000 cuori umani».[...] Il soldato Bernal Díaz del Castillo così racconta i l'esplorazione dello Yucatan nel 1517: in un'isoletta «abbiamo trovato due case ben lavorate, davanti a ogni casa c'erano alcuni gradini da cui si accedeva a degli altari, su quegli altari c'erano idoli di figure malvagi. Lì in quella notte erano stati sacrificati cinque indios, i cui petti erano stati squarciati, le braccia e le gambe tagliate, le pareti delle case erano piene di sangue». Poco lontano, altro orrore. Durante una ricognizione nelle vicinanze di Tenochtitlán i soldati si imbattono in «templi in cui erano stati sacrificati uomini e ragazzi, e le pareti e gli altari dei loro idoli erano pieni di sangue, e i cuori offerti agli idoli; hanno anche trovato coltelli di selce con cui aprono i corpi per estrarne il cuore. Pedro de Alvarado ha detto che tutti quei corpi erano senza braccia e senza gambe, e che gli indios hanno spiegato che li avevano tagliati per mangiarseli [...]».CALENDARIO DI SANGUEL'anno azteco è diviso in 18 mesi di 20 giorni l'uno. Sahagún fa una descrizione dettagliata di come i sacrifici si svolgono a seconda dei mesi: nel primo mese «venivano sacrificati molti bambini», nel secondo «uccidevano e scuoiavano molti schiavi e prigionieri», nel terzo «uccidevano molti bambini» e «quelli che si erano vestiti con la pelle dei morti scuoiati il mese precedente, se li toglievano». Tralasciamo di specificare come si svolgessero le feste religiose nel resto dell'anno ricordando che la classe sacerdotale era numerosissima, che a volte i sacerdoti mangiavano i cuori dei sacrificati e che lasciavano crescere i loro capelli ungendoli con inchiostro e sangue. [...]Accanto a un credo religioso tanto cruento gli indios onorano la figura di Quetzalcoatl, gemello antagonista del dio della notte Tezcatlipoca, definito «uomo giusto, santo e buono», che in un tempo immemorabile era venuto da Oriente e verso Oriente se ne era andato dopo aver constatato che i messicani non accoglievano la sua predicazione. Quetzalcoatl aveva «insegnato con il buon esempio e con la predicazione il cammino della virtù, sottraendo gli indios ai vizi e ai peccati, dando leggi e una buona dottrina». A suo riguardo Sahagún racconta una profezia interessante: Quetzalcoatl sarebbe tornato «in un anno che si chiamerà Ce Acatl, la sua dottrina sarebbe stata accolta e i suoi figli avrebbero posseduto la terra». Alcuni segni caratterizzano il tempo del ritorno: a tornare da Oriente sarà un uomo «dall'aspetto grave, bianco e con la barba». Il giorno in cui questo succederà sarà la fine del dominio azteco. Ce Acatl, l'anno profetizzato, è il 1519.Cortés arriva in Messico nel 1518 inviato dal governatore di Cuba, Velázquez, che nelle Istruzioni gli ricorda: «il motivo principale per cui le loro altezze permettono che si scoprano nuove terre» è l'evangelizzazione; «fate di tutto» perché gli indiani sappiano «che c'è un solo Dio creatore del cielo e della terra». [...]Bernal Díaz racconta che Cortés appena arrivato nello Yucatan fa celebrare la prima messa sull'isola di Cozumel. Vedendo che all'interno del tempio di quella località c'erano immagini di idoli spaventosi, il capitano dice agli indios presenti che, se volevano essere nostri fratelli, «dovevano togliere da quella casa gli idoli che c'erano perché erano molto cattivi, li portavano a fare un grande sbaglio, non erano dei ma spiriti cattivi che mandavano all'inferno le loro anime; che al posto degli idoli mettessero un'icona di Maria e la croce». Alla risposta degli indios che quelli erano dei buoni, che non si sarebbero azzardati a toglierli e che se lo avessimo fatto noi ci sarebbero capitate grandi sventure, Cortés ordina di togliere gli idoli, fa costruire un altare su cui pone una croce e l'icona di Maria e fa celebrare messa. Tutto questo sotto l'occhio attento degli indigeni presenti.Nella sua avanzata Cortés si comporta sempre allo stesso modo: fa alleanza con gli indios che incontra, li catechizza al meglio che può, denuncia la malvagità dei loro idoli e li battezza. Dice di essere inviato dall'imperatore Carlo, padrone di molti regni, per castigare i cattivi e porre fine ai sacrifici umani; libera dalle prigioni gli uomini e le donne tenuti in vita fin quando non avessero raggiunto il giusto peso per essere sacrificati e mangiati; proibisce in modo assoluto i sacrifici umani e il cibarsi di carne umana.In tutte le località che raggiungono, gli spagnoli si sentono fare dagli indios lo stesso agghiacciante racconto: gli aztechi ci derubano di tutto, violentano le nostre donne più belle, prelevano ragazzi e ragazze per sacrificarli. L'arrivo di Cortés e degli spagnoli libera gli indios dall'incubo azteco. È la spaventosa situazione oggettiva delle popolazioni messicane che permette agli spagnoli di conquistare un imponente e vasto impero nel giro di pochi anni. Che permette a Cortés e ai suoi di continuare ad avanzare inesorabilmente fino alla capitale Tenochtitlán, nonostante fossero pochissimi. [...]L'avanzata di Cortés, nonostante tutti gli ostacoli e i trabocchetti che gli sono tesi, procede inarrestabile e Montezuma decide di invitarlo nella capitale. L'uomo-dio Montezuma è un imperatore che gli aztechi non possono nemmeno guardare in volto perché, quando esce dall'immenso palazzo in cui abita, tutti sono tenuti a tenere gli occhi bassi; i suoi piedi non toccano mai la terra ma solo una coltre di tappeti; colleziona uomini deformi o singolari (come più tardi farà Pietro il Grande di Russia); custodisce immense ricchezze. L'8 novembre 1519 l'accoglienza riservata a Cortés è magnifica: «Davanti a noi c'era la grande città del Messico; e noi non eravamo nemmeno 400 soldati», racconta Díaz del Castillo. Davanti all'imperatore, Cortés fa da ambasciatore del re di Spagna e della religione cristiana: «Veniamo da parte del vero Dio, morto in croce per salvarci: risuscitato il terzo giorno abita nei cieli; è lui che ha creato il cielo e la terra; al contrario, i vostri dèi sono orrendi, non sono dei ma diavoli, le loro azioni sono perfino più malvagie delle loro terrificanti immagini. Il nostro imperatore ci ha mandato qui per liberarvi dal grande errore in cui vivete e presto invierà uomini che vivono molto santamente, migliori di noi, in modo che possiate capire». A Montezuma sono già state raccontate le catechesi fatte da Cortés durante la sua avanzata ma, come ovvio, ribadisce la bontà delle divinità in cui crede.SCONTRO FINALEDopo aver scalato i 114 gradoni del tempio maggiore e visti gli idoli pieni di sangue, il capitano inizia a distruggerli con una barra di ferro volendo mettere al loro posto la croce e l'icona di Maria e Gesù. Montezuma, sommo sacerdote oltre che imperatore, acconsente a togliere gli idoli dalla cima del tempio e lascia che vengano sistemate al loro posto le icone di Maria e di San Cristobál. Gli idoli non hanno alcun potere contro gli spagnoli e Montezuma riunisce i potenti del regno, abdica, e si dichiara vassallo di Carlo I: «Se oggi i nostri dèi permettono che io sia qui prigioniero», è perché, come abbiamo sempre saputo, «come il capitano ci ha parlato di quel re e signore che lo ha mandato qui, sono certo che quello è il signore che aspettavamo». Quetzalcoatl è tornato.Nella ribellione che segue, Montezuma è ucciso e Cortés è accerchiato da ogni lato all'interno del palazzo imperiale. L'unica possibilità di scampo alla morte certa è la fuga. Scoperti casualmente, gli spagnoli e i loro alleati indios sono decimati, ma riescono comunque a uscire dal palazzo imperiale. Gli aztechi li attaccano in massa volendo impedire loro la fuga e la possibilità di vittoria è praticamente nulla perché il rapporto di forze è schiacciante. Ancora una volta al grido «Santiago y cierra, España» l'esercito di Cortés punta dritto sul comandante nemico che viene ucciso e privato dello stendardo: la battaglia è vinta.
Cristian Murianni-Davide Croatto-Andrea Carulli