
Fu il capostipite dei cibi lavorati con farine di cereali. Se ne trovano ovunque in Italia in piatti tipici diversi da zona a zona. Boccaccio li chiamava maccheroni, poi allungati e divenuti pasta. Una vera rivoluzione con la scoperta dell’America e con l’arrivo della patataAccontentiamo prima la lingua, poi il palato. Si dice lo gnocco o il gnocco? Gli gnocchi o i gnocchi? La mia vecchia maestra, fedele sacerdotessa della grammatica, non aveva dubbi: «lo» al singolare e «gli» al plurale. Chi sbagliava si trovava un segnaccio blu sul quaderno. Ma lo gnocco, cibo particolarmente ghiotto al palato - soprattutto quando è ben condito -, diventa anarchico in punta di lingua. Perfino l’Accademia della Crusca, custode dei sacri confini dell’idioma italico, ammette che c’è un’«anomalia» nella scelta dell’articolo: «lo» e «gli», sottolinea, sono le forme corrette e, al momento, più usate, ma, aggiunge, «sono stabilmente presenti nell’uso colloquiale, soprattutto nell’Italia Settentrionale, il gnocco, i gnocchi».. La Crusca ipotizza perfino che l’uso di «il» «i» arrivi a modificare la norma. Da dove deriva la parola? Due le ipotesi: o dal veneto «gnocco», bernoccolo, protuberanza, o dal longobardo knohhil, il nodo del legno.Che l’Italia sia una penisola di gnocchi (quelli che si mangiano, non quelli, che sono pure tantissimi, ai quali si rivolgeva Aldo Palazzeschi: «Pezzo di gnocco che non sei altro!), lo sanno i 60 milioni di italiani che amano la cucina tipica. Gnocchi se ne trovano ovunque, isole comprese: venti regioni con mille e più piatti di gnocchi tipici, diversi da zona a zona, da campanile a campanile. Sfogliando qualche pagina del menu gnocchesco troviamo gli gnocchi all’Ossolana con zucca patate e castagne, gli gnocchi alla Portofino con pesto, gli gnocchi fritti emiliani, i knödel altoatesini, i gnochi con la pastissada de caval a Verona, quelli alla Sorrentina, di semolino alla romana, alla siciliana, gli gnudi senesi, i malfatti di Borgotaro, gli gnocchi de lu cuntadinu nella Sabina, i triddhi leccesi, i malloreddus sardi. In certe regioni gli gnocchi diventano anticlericali: strangolapreti in Trentino, strangoiapreve in Piemonte, strangulaprievete in Campania. Il nome è antico e, dice la leggenda, allude a un parroco ingordo che quasi morì soffocato riempiendosi di gnocchi. Attenzione, però, a non confondere gli strangolapreti-gnocchi con gli strozzapreti-pasta comuni in Romagna, Toscana, Umbria, Lazio. Giuseppe Gioacchino Belli nell’800 nel sonetto La scampaggnata ironizza sull’ingordigia dei prelati per «…de strozzapreti cotti cor zughillo».Quando sono nati gli gnocchi? Secondo i poeti del carnevale veronese (tre secoli di versi, strofe, cicalate, maccaroneidi e gnoccheidi dedicati ai gnochi) furono addirittura il primo cibo lavorato dall’uomo con varie farine di cereali. Prima nacque lo gnocco, poi il pane. Per dimostrare questo primato sostengono che lo gnocco raffigura una ghianda, fatto iconico che sottolinea il passaggio dall’alimentazione frugivora a quella elaborata dell’homo sapiens. Uno di questi poeti, padre Quirico Rossi, in un poemetto sul paese di Cuccagna (1823) ribadisce: «Le querce che del sol frangono il raggio / hanno per ghiande ritondetti gnocchi / i quali giù tornando nel formaggio / (ch'altra sabbia non trovasi in que' lochi) / invitano ciascun a farne il saggio». Due storici del carnevale veronese, Marino Zampieri e Alessandro Camarda, in Sotto il segno dei maccheroni, sostengono che la primogenitura dello gnocco trova conforto nella Naturalis Historia di Plinio laddove l’antico scienziato romano testimonia che per lungo tempo le popolazioni latine si cibarono di puls (farina di cereali cotta nell’acqua) e non di pane.Nella geografia della fame che per millenni afflisse le popolazioni povere d’Italia, oltre al paese di Cuccagna c’è un’altra contrada da sogno con l’acquolina in bocca: Bengodi. Racconta Boccaccio nel Decamerone che in Bengodi «eravi una montagna di formaggio parmigiano grattugiato, sopra la quale stavan genti che niuna altra cosa facevan che far maccheroni e raviuli e cuocergli in brodo di capponi e poi gli gittavan giù e chi più ne pigliava più se n’aveva». I maccheroni di Boccaccio sono gli gnocchi. Il sinonimo dura fino all’800 quando i maccheroni-gnocchi s’allungano e diventano pasta. Ma ancora nel 1772 nella Cicalata in lode dei gnocchi, l’anonimo autore scrive che «chi mangia gnocchi è lo stesso che se mangiasse maccheroni». Concetto ribadito da Giulia Lazzari Turco, scrittrice più nota per i libri di ricette che per i romanzi. Nelle Cento specialità di cucina italiane ed estere (1908) dà la ricetta di una specialità regionale veneta, i Macaroni alla veneziana, un piatto di gnocchi. A Verona, capoluogo indiscusso dei gnochi, da quasi 500 anni, in ricordo di una terribile carestia, gli gnocchi vengono distribuiti alla popolazione in occasione del carnevale e il Papà del Gnoco, sire del baccanale scaligero, la più antica maschera certificata d’Europa, è circondato da una corte di servitori: i macaroni.Nello stesso secolo Teofilo Folengo, poeta mantovano inventore del latino maccheronico, non faceva differenza tra gnocchi e maccheroni. Nelle Maccheronee descrive un banchetto degli dei dell’Olimpo nel quale vengono serviti gnocchi di taglia XXXL: «O quantum largas opus est slargare ganassas, quando velis tanto ventronem pascere gnocco!»: se vorrai riempirti il pancione con un tale gnocco dovrai allargare parecchio le ganasce. Anche prima della scoperta dell’America e dell’arrivo della patata che rivoluziona il mondo degli gnocchi, questi troneggiavano sulle tavole rinascimentali grazie a Cristoforo Messisbugo e Bartolomeo Scappi. Erano chiamati zanzarelli ed erano multicolori: impastati con mollica di pane e latte prendevano colore a seconda dell’ingrediente in più: verdi con gli spinaci, gialli con zucca e zafferano, arancioni con la carota, bianchi con carne di pollo tritata.Nell’800 gli gnocchi di patata conquistano le tavole italiane. Sono buoni con qualsiasi tipo di condimento: con la salsa di pomodoro, col ragù alla bolognese, con il gorgonzola, con burro fuso e salvia, con la fontina fusa (gnocchi alla bava valdostani). In Toscana li chiamano topini. Ne parla Vasco Pratolini in Cronache di poveri amanti: «Gli gnocchi di patate, chiamati topini, nella confezione dei quali Leontina è altrettanto brava che nella confezione delle asole». A Roma, dove sono rigorosamente col semolino, gli gnocchi cercano di entrare in politica. Succede nel 1883 quando l’oste trasteverino Orazio Arzilli si candidò con il seguente programma politico: «Se veramente volete il vostro benessere, eleggete Orazio Arzilli. Le sue opinioni politiche sono: martedì fagioli con le cotiche, giovedì gnocchi e sabato trippa! Questi saldi convincimenti del candidato Arzilli sono sempre innaffiati da un prelibato vino di Frascati». Ebbe solo 78 voti ma l’osteria sempre piena.Vincenzo Corrado nel suo libro Cuoco galante, descrive gli gnocchi alla panna e gli gnocchi alla dama. Ma il suo grande merito è di pubblicare nel 1801 la prima ricetta italiana degli gnocchi di patata. Gli gnocchi rimangono un piatto povero fino a quando, alla fine dell’Ottocento, non entra in scena il sempiterno Pellegrino Artusi che col suo La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene li traghetta nella cucina borghese: «La famiglia de’ gnocchi è numerosa. Vi ho già descritto gli gnocchi in brodo, ora v’indicherò gli gnocchi di patate e di farina gialla per minestra e più. In proposito la famiglia de' gnocchi è numerosa», afferma l’Artusi. «Oltre a quelli in brodo vi sono quelli di patate e di farina gialla per minestra (asciutta) e quelli di semolino e alla romana per tramezzo o per contorno, e quelli di latte per dolce». Grazie ad Artusi, che suggerisce di scavarli col pollice sul rovescio di una grattugia perché prendano più sugo, gli gnocchi diventano un classico della gastronomia italiana.
Robert Redford (Getty Images)
Incastrato nel ruolo del «bellone», Robert Redford si è progressivamente distaccato da Hollywood e dai suoi conformismi. Grazie al suo festival indipendente abbiamo Tarantino.
Leone XIV (Ansa)
Nella sua prima intervista, il Papa si conferma non etichettabile: parla di disuguaglianze e cita l’esempio di Musk, ma per rimarcare come la perdita del senso della vita porti all’idolatria del denaro. E chiarisce: il sinodo non deve diventare il parlamento del clero.