Stinger terra-aria da Germania e Olanda, mitragliatrici dal Belgio. Inoltre pistole, lanciagranate e mine anticarro. Si muove anche l’Italia. E Londra pensa ai caccia.
Stinger terra-aria da Germania e Olanda, mitragliatrici dal Belgio. Inoltre pistole, lanciagranate e mine anticarro. Si muove anche l’Italia. E Londra pensa ai caccia.«Se il nostro mondo è diverso, allora anche la nostra politica deve essere diversa». Così Annalena Baerbock, ministro degli Esteri tedesco, ha presentato al Bundestag la svolta della Germania sotto il cancelliere Olaf Scholz. Dopo aver di fatto sepolto il gasdotto Nord stream 2, Berlino ha deciso di cambiare la sua politica estera e di Difesa, stanziando fondi speciali per la Bundeswehr e investimenti da 100 miliardi di euro (l’intero bilancio nel 2021 è stato di 47 miliardi di euro) per raggiungere nel più breve tempo possibile l’obiettivo Nato della spesa militare al 2% del prodotto interno lordo: probabile, dunque, l’acquisto dei jet F-35 in medio periodo.È pare della risposta all’invasione russa dell’Ucraina. «Non ci poteva essere altra risposta all’aggressione di Vladimir Putin», ha dichiarato Scholz. Il pacchetto comprende anche massicci aiuti all’Ucraina. Il governo tedesco ha autorizzato l’invio di 1.000 armi anticarro e 500 di quei missili Stinger che in questi giorni, nelle mani delle forze di Kiev, hanno creato non poche difficoltà alla flotta aerea russa. Inoltre, ha sbloccato alcuni invii da Paesi terzi che necessitavano l’autorizzazione di Berlino: i Paesi Bassi possono così inviare all’Ucraina 400 lanciagranate e l’Estonia nove obici. Ironia della sorte: questi ultimi sono dei D.30 con un calibro di 122 millimetri sviluppati in Unione sovietica a metà degli anni Cinquanta. I Paesi Bassi, inoltre, intendono consegnare 200 missili antiaerei Stinger oltre a pistole, munizioni e sistemi radar. In precedenza, il governo olandese aveva deciso di donare 4.000 proiettili di artiglieria.A questi si aggiunge il Belgio, che fornirà all’Ucraina 2.000 mitragliatrici e 3.800 tonnellate di carburante per i mezzi dell’esercito. Lo ha annunciato su Twitter il primo ministro Alexander de Croo, precisando che «un’analisi più approfondita delle richieste» militari di Kiev «continua». Dunque, altri aiuti militari potrebbero arrivare.La Danimarca ha annunciato di voler inviare 2.000 giubbotti antiproiettile e 700 borse mediche.La Francia invierà più armamenti, ha annunciato venerdì sera il presidente Emmanuel Macron, senza specificare le consegne. Il Regno Unito ha fornito finora all’Ucraina circa 2.000 missili anticarro. Ben Wallace, ministro della Difesa, ha però escluso l’ipotesi di un supporto aereo: «Significherebbe che la Nato dichiara guerra alla Russia», ha dichiarato.In Europa centrale si segnalano la Repubblica Ceca, che ha inviato munizioni per un valore di 1,5 milioni di euro e altre armi per 7,6 milioni di euro sono attese a breve. La Polonia ha promesso munizioni difensive. La Slovacchia, invece, ha annunciato l’esportazione di forniture mediche e due kit per lo sminamento per un valore totale di 1,7 milioni di euro.Infine, ci sono gli Stati Uniti, che sul piatto hanno messo 350 milioni di dollari in aiuti militari «per aiutare l’Ucraina ad affrontare le minacce corazzate, aeree e di altro tipo», ha spiegato Antony Blinken, segretario di Stato. Il Pentagono e il dipartimento di Stato hanno spiegato che il pacchetto include missili anticarro, armi leggere, equipaggiamento, varie munizioni e anche sistemi antiaerei.«L’Italia manderà armi non letali cioè mezzi di equipaggiamento, giubbotti, elmetti», ha dichiarato Giorgio Mulé, sottosegretario alla Difesa. La decisione verrà presa probabilmente domani. In ogni caso, per spedire gli Stinger serve un decreto legge alla luce di una legge del 1990 che prevede il divieto di esportare armi verso Paesi in guerra salvo «diverse deliberazioni» del Consiglio dei ministri (da ratificare comunque in Parlamento).
La poetessa russa Anna Achmatova. Nel riquadro il libro di Paolo Nori Non è colpa dello specchio se le facce sono storte (Getty Images)
Nel suo ultimo libro Paolo Nori, le cui lezioni su Dostoevskij furono oggetto di una grottesca polemica, esalta i grandi della letteratura: se hanno sconfitto la censura sovietica, figuriamoci i ridicoli epigoni di casa nostra.
Obbligazionario incerto a ottobre. La Fed taglia il costo del denaro ma congela il Quantitative Tightening. Offerta di debito e rendimenti reali elevati spingono gli operatori a privilegiare il medio e il breve termine.
Alice ed Ellen Kessler nel 1965 (Getty Images)
Invece di cultura e bellezza, la Rai di quegli anni ha promosso spettacoli ammiccanti, mediocrità e modelli ipersessualizzati.
Il principe saudita Mohammad bin Salman Al Sa'ud e il presidente americano Donald Trump (Getty)
Il progetto del corridoio fra India, Medio Oriente ed Europa e il patto difensivo con il Pakistan entrano nel dossier sulla normalizzazione con Israele, mentre Donald Trump valuta gli effetti su cooperazione militare e stabilità regionale.
Le trattative in corso tra Stati Uniti e Arabia Saudita sulla possibile normalizzazione dei rapporti con Israele si inseriscono in un quadro più ampio che comprende evoluzioni infrastrutturali, commerciali e di sicurezza nel Medio Oriente. Un elemento centrale è l’Imec, ossia il corridoio economico India-Medio Oriente-Europa, presentato nel 2023 come iniziativa multinazionale finalizzata a migliorare i collegamenti logistici tra Asia meridionale, Penisola Arabica ed Europa. Per Riyad, il progetto rientra nella strategia di trasformazione economica legata a Vision 2030 e punta a ridurre la dipendenza dalle rotte commerciali tradizionali del Golfo, potenziando collegamenti ferroviari, marittimi e digitali con nuove aree di scambio.
La piena operatività del corridoio presuppone relazioni diplomatiche regolari tra Arabia Saudita e Israele, dato che uno dei tratti principali dovrebbe passare attraverso porti e nodi logistici israeliani, con integrazione nelle reti di trasporto verso il Mediterraneo. Fonti statunitensi e saudite hanno più volte collegato la normalizzazione alle discussioni in corso con Washington sulla cooperazione militare e sulle garanzie di sicurezza richieste dal Regno, che punta a formalizzare un trattato difensivo bilaterale con gli Stati Uniti.
Nel 2024, tuttavia, Riyad ha firmato in parallelo un accordo di difesa reciproca con il Pakistan, consolidando una cooperazione storicamente basata su forniture militari, addestramento e supporto politico. Il patto prevede assistenza in caso di attacco esterno a una delle due parti. I governi dei due Paesi lo hanno descritto come evoluzione naturale di rapporti già consolidati. Nella pratica, però, l’intesa introduce un nuovo elemento in un contesto regionale dove Washington punta a costruire una struttura di sicurezza coordinata che includa Israele.
Il Pakistan resta un attore complesso sul piano politico e strategico. Negli ultimi decenni ha adottato una postura militare autonoma, caratterizzata da un uso esteso di deterrenza nucleare, operazioni coperte e gestione diretta di dossier di sicurezza nella regione. Inoltre, mantiene legami economici e tecnologici rilevanti con la Cina. Per gli Stati Uniti e Israele, questa variabile solleva interrogativi sulla condivisione di tecnologie avanzate con un Paese che, pur indirettamente, potrebbe avere punti di contatto con Islamabad attraverso il patto saudita.
A ciò si aggiunge il quadro interno pakistano, in cui la questione israelo-palestinese occupa un ruolo centrale nel dibattito politico e nell’opinione pubblica. Secondo analisti regionali, un eventuale accordo saudita-israeliano potrebbe generare pressioni su Islamabad affinché chieda rassicurazioni al partner saudita o adotti posizioni più assertive nei forum internazionali. In questo scenario, l’esistenza del patto di difesa apre la possibilità che il suo richiamo possa essere utilizzato sul piano diplomatico o mediatico in momenti di tensione.
La clausola di assistenza reciproca solleva inoltre un punto tecnico discusso tra osservatori e funzionari occidentali: l’eventualità che un’azione ostile verso Israele proveniente da gruppi attivi in Pakistan o da reticolati non statali possa essere interpretata come causa di attivazione della clausola, coinvolgendo formalmente l’Arabia Saudita in una crisi alla quale potrebbe non avere interesse a partecipare. Analoga preoccupazione riguarda la possibilità che operazioni segrete o azioni militari mirate possano essere considerate da Islamabad come aggressioni esterne. Da parte saudita, funzionari vicini al dossier hanno segnalato la volontà di evitare automatismi che possano compromettere i negoziati con Washington.
Sulle relazioni saudita-statunitensi, la gestione dell’intesa con il Pakistan rappresenta quindi un fattore da chiarire nei colloqui in corso. Washington ha indicato come priorità la creazione di un quadro di cooperazione militare prevedibile, in linea con i suoi interessi regionali e con le esigenze di tutela di Israele. Dirigenti israeliani, da parte loro, hanno riportato riserve soprattutto in relazione alle prospettive di trasferimenti tecnologici avanzati, tra cui sistemi di difesa aerea e centrali per la sorveglianza delle rotte commerciali del Mediterraneo.
Riyadh considera la normalizzazione con Israele parte di un pacchetto più ampio, che comprende garanzie di sicurezza da parte statunitense e un ruolo definito nel nuovo assetto economico regionale. Il governo saudita mantiene l’obiettivo di presentare il riconoscimento di Israele come passo inserito in un quadro di stabilizzazione complessiva del Medio Oriente, con benefici economici e infrastrutturali per più Paesi coinvolti. Tuttavia, la gestione del rapporto con il Pakistan richiede una definizione più precisa delle implicazioni operative del patto di difesa, alla luce del nuovo equilibrio a cui Stati Uniti e Arabia Saudita stanno lavorando.
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