2021-01-02
Giuseppi zittisce i giornalisti. E loro tacciono sul serio
Nessuna reazione dalla categoria dopo che a una collega troppo insistente è stato staccato il microfono. L'avesse fatto Matteo Salvini...E dunque è tutto normale. È normale che in Italia i giornalisti non possano fare domande, è normale che i presidenti del Consiglio non rispondano, è normale che le conferenze stampa si trasformino in passerelle del potere ed è normale che a organizzare questa sceneggiata che umilia l'informazione siano gli istituti professionali che in teoria l'informazione dovrebbero tutelarla. E che invece si trasformano in stuoini servili tanto da spegnere il microfono ad una collega che insiste nel sollevare interrogativi veri (povera illusa), anziché accontentarsi della solita supercazzola con pochette come pretende l'Ordine costituito. Un Ordine, quello dei giornalisti, che ormai sta alla libertà di stampa come Erode alla neonatologia. O come Dracula all'ematologia. Ma questo in fondo lo sapevamo. Ciò che è incredibile è che tutto ciò, ormai, non provochi più alcuna reazione. Ciò che è incredibile è che la scenetta allucinante cui abbiamo assistito l'altro giorno, durante le tradizionale conferenza di fine anno del premier Giuseppe Conte, non solo non susciti indignazione. Ma addirittura sia silenziata da tutta la stampa nazionale, oltre che naturalmente da tutte le tv. Se si esclude questo quotidiano, dove l'episodio è stato riportato anche nell'editoriale del direttore, e un paio d'altri che hanno riservato ad esso un trafiletto, nessuno lo ha citato. Nessuno lo ha evidenziato. Soprattutto, nessuno si è scandalizzato. Nessuno ha protestato. Nessuno si è sentito offeso. Nessuno si è preoccupato che un bene prezioso come la libertà d'informazione sia messa a tacere, e a sedere, con tanta arroganza da un Ordine che si è fatto manganello di un potere ormai sempre meno democratico. Il silenzio è stato tale che ad un certo punto, nei fumi di San Silvestro, mi è venuto il dubbio di avere sognato la scena. Tale era stata l'opera di negazione sui giornali che mi sono detto: forse ho sbagliato io. Avrò visto male. Così sono andato a rivederla. E invece no: ho visto benissimo. Ma proprio bene. Claudia Fusani, di Tiscali News, s'è alzata e ha fatto una normalissima domanda sui ritardi del Recovery Fund. Sperava di avere una risposta. Conte, invece, ha cominciato untuoso e sfuggente come sempre: «Dobbiamo ringraziare i ministri che hanno lavorato tutta estate…». Allora la giornalista è insorta: «Non ci sono i progetti…». Conte si è stizzito per un attimo («se mi fa finire…»), salvo poi riprendere il controllo del ciuffo e della supercazzola: «Dobbiamo decidere un cronoprogramma…». Claudia Fusani ha provato a incalzarlo ancora. Ma è riuscita a dire solo: «Allora perché…». Poi è intervenuto il presidente dell'Ordine, tal Carlo Verna, manco fosse il settimo cavalleggeri in soccorso del potere. Dichiarandosi «fanatico dell'articolo 3 della Costituzione», Verna ha umiliato sé stesso, la categoria, la storia del giornalismo e anche l'articolo 3 della Costituzione, perché si è prostrato di fronte al premier come nemmeno gli scribi davanti al Faraone. Ha imposto immediatamente lo spegnimento del microfono della collega e le ha intimato di andarsi a sedere. Perché questa, ha ribadito, è la regola del giornalismo nel nuovo regimetto: «Si può fare una domanda, ma poi ci si mette a sedere e si tace». Perfetto, no? Una volta c'era mangia e taci. Adesso: «Domanda e taci». Poteva aggiungere anche «spezzeremo le reni a chi insiste». Oppure: «Saliva e doppiopetto, giornalista perfetto». Non so dove abbia appreso i rudimenti del mestiere Carlo Verna, giornalista della sede Rai della Campania, con trascorsi nell'Usigrai. L'unica volta che ho avuto modo di conoscerlo di persona, durante una cena, ricordo che si lamentava perché in quel momento la tv pubblica aveva tagliato le trasferte dei giornalisti al seguito di manifestazioni sportive di minore importanza, cui lui avrebbe potuto partecipare come inviato. L'unico problema dell'informazione, per lui, mi sembrava il fatto di dover rinunciare al viaggetto pagato dai soldi del canone. Però, bisogna ammetterlo, è interessante questa sua nuova teoria dell'informazione basata su una sola domanda, senza possibilità di replica. Per dire: tu chiedi al ministro dell'Economia perché ha messo una nuova tassa, lui risponde: oggi il tempo è brutto. E ti devi accontentare. Oppure: tu chiedi al ministro dell'Interno perché continuano gli sbarchi di immigrati, lei risponde: stamattina ho mangiato una brioche. E va bene così. Di grazia che si siano degnati di rispondere. Pretendi mica anche che le risposte siano pertinenti? Addirittura? Ora se questa nuova versione del giornalismo, più che in stile anglosassone in stile nordcoreano, avesse fatto capolino in un'altra epoca avremmo avuto titoli di giornali, commenti indignati, editoriali drammatici, dirette tv, lilligruber fiammeggianti, talk all'arma bianca, allarmi democratici, girotondi in piazza, articoli 21 ma anche articoli 42 e forse articoli 84, 168, etc in progressione geometrica, capaci di inchiodare il «fanatico dell'articolo 3» alle sue misere scempiaggini. E poi si sarebbero scatenate quelle del «Se non ora quando»: Claudia Fusani attaccata perché donna? Brandendo le armi del metoo e del body shaming sarebbero tornate in campo le neofemministe arrabbiate, unendo la loro democratica indignazione a quella dei difensori delle libertà d'informazione. Non ci credete? Pensate che cosa sarebbe successo se fosse stato Salvini a spegnere il microfono di una giornalista. E pensate a quello che accadde quando Berlusconi osò soltanto mimare il gesto di una mitraglietta, sorridendo, come si fa tra amici, con una giornalista russa durante una conferenza stampa. Non le tolse la parola. Scherzò. E quello che (per quanto criticabile) rimaneva soltanto uno scherzo diventò un allarme internazionale. Si tirò dietro fiumi di inchiostro. Invece, stavolta, nulla. L'idea della comunicazione che sostituisce l'informazione sta passando come normale. Le conferenze stampa, secondo il modello Rocco Casalino che non a caso anche l'altro giorno dominava la scena, devono essere trasformate in passerelle. Le domande devono essere addomesticate. Le risposte non sono necessarie. Se non arrivano, tutti muti. Vietati dubbi, repliche e insistenze. Ammessi solo consensi e applausi. Ormai ne siamo così convinti che persino la medesima Claudia Fusani, vittima di questo sopruso, si è premurata, il giorno dopo, di ringraziare Ordine dei giornalisti e la stampa parlamentare «per aver organizzato la conferenza stampa» e per aver «garantito 40 domande». Ha aggiunto che «non era scontato». E che «sono sempre più occasioni rare». Non è più «scontato» che un premier si sottoponga alle domande dei giornalisti? Le conferenze stampa sono «sempre più occasioni rare»? Anche le conferenze stampa addomesticate? E tutto questo secondo voi è normale? Può passare, come sta passando, sotto silenzio? Non ci deve preoccupare? Davvero? Nemmeno un po'?
Nucleare sì, nucleare no? Ne parliamo con Giovanni Brussato, ingegnere esperto di energia e materiali critici che ci spiega come il nucleare risolverebbe tutti i problemi dell'approvvigionamento energetico. Ma adesso serve la volontà politica per ripartire.
Ecco #EdicolaVerità, la rassegna stampa podcast del 18 settembre con Carlo Cambi