2020-04-09
Giuseppi vuole spaccare il Nord sulla fase 2
Anche se dopo Pasqua non dovrebbe scattare alcuna riapertura, i giallorossi lavorano a una cabina di regia. E vogliono escludere il lombardo Attilio Fontana. Con Stefano Bonaccini e Vincenzo De Luca potrebbe esserci il leghista Luca Zaia. Allarme di Confindustria: «Serve subito un piano».Confindustria preme per riaprire le attività produttive, il governo frena. L'Italia ragiona sulla fase 2, quella della ripresa, graduale, delle attività, ma non è assolutamente certo quando questa prospettiva diventerà concreta. La Verità, ieri, dopo che su alcuni quotidiani era apparsa l'ipotesi che già dalla prossima settimana potesse iniziare la fase 2, con la riapertura di alcune attività, ha effettuato verifiche approfondite e sentito fonti autorevolissime del governo. Bene: dopo Pasqua, a quanto ci risulta, non ci sarà alcuna fase 2, salvo clamorosi imprevisti. Il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, nel weekend rinnoverà sostanzialmente tutte le misure di contenimento sociale previste dal Dpcm che scade il 14 aprile. Sia gli scienziati che i protagonisti politici della maggioranza, Matteo Renzi a parte, temono infatti più di ogni cosa di essere costretti a una retromarcia precipitosa in caso di allentamento del blocco. Se ciò accadesse, spiegano le nostre fonti, per l'economia italiana sarebbe il collasso totale. Non solo: mentre per chiudere tutto, in fondo, basta un Dpcm, per iniziare la fase 2 occorreranno, oltre all'indispensabile via libera della comunità scientifica, protocolli dettagliatissimi per tutti i settori produttivi, per garantire la sicurezza dei lavoratori e degli utenti, e un confronto a tutto campo con associazioni di categoria, parti sociali, enti locali. Per questo, su proposta del Pd, già oggi dovrebbe insediarsi la cabina di regia per preparare la graduale riapertura dell'Italia se le curve dei contagi continueranno a calare nelle prossime settimane. A riaprire per prime saranno le attività considerate meno a rischio: cantieri edili, aziende agricole. Niente da fare per le scuole: si considera ormai scontato che quest'anno le aule resteranno chiuse. «È prematuro», dice il ministro per gli Affari regionali e le Autonomie, Francesco Boccia, a Circo Massimo su Radio Capital, «parlare di date per la ripartenza. Dobbiamo fare tutti insieme altri sforzi. Ne discuteremo in Consiglio dei ministri, e questa fase che inciderà sul modo in cui vivremo nei prossimi mesi dovrà avere come punto fermo la cabina di regia. Le decisioni dovranno essere prese con un confronto permanente tra maggioranza e opposizione, Regioni ed enti locali, parti sociali e comunità scientifica. La fase 2 è l'interruttore generale del Paese che si riaccende. Ma non c'è un solo interruttore», aggiunge Boccia, «e questo lavoro delicato va fatto con estrema cautela e attenzione. Sarà necessario valutare il grado di rischio di ciascuna attività produttiva, condividendo le modalità di riapertura». Tutti dentro la cabina di regia, dunque. È facile immaginare che per gli enti locali sarà coinvolto il presidente dell'Anci, il sindaco di Bari, Antonio Decaro. Per le Regioni, sarà della partita, come ha annunciato ieri lui stesso, il presidente dell'Emilia Romagna, Stefano Bonaccini, nella sua qualità di presidente della Conferenza Stato-Regioni. Insieme a lui, a quanto apprende La Verità, dovrebbero esserci il presidente del Veneto, Luca Zaia, e quello della Campania, Vincenzo De Luca. La scelta di escludere la Lombardia, la Regione che ha pagato il costo più alto in termini di vite umane, la locomotiva economica d'Italia, è destinata, se sarà confermata, ad alimentare ulteriori polemiche.Intanto, ieri, la politica è stata scossa dall'allarme lanciato attraverso un documento da Confindustria Lombardia, Emilia Romagna, Veneto e Piemonte. «Prolungare il lockdown», recita il documento, «significa continuare a non produrre, perdere clienti e relazioni internazionali, non fatturare con l'effetto che molte imprese finiranno per non essere in grado di pagare gli stipendi del prossimo mese. Chiediamo quindi di definire una road map per una riapertura ordinata e in piena sicurezza del cuore del sistema economico del paese. È ora necessario concretizzare la fase 2. Bisogna realizzare un percorso chiaro e decisioni condivise con una interlocuzione costante tra Pubblica amministrazione, associazioni delle imprese e sindacati, che indichi le tappe per arrivare alla piena operatività. La salute è il primo e imprescindibile obiettivo: le imprese devono poter riaprire, ma è indispensabile che lo possano fare in assoluta sicurezza, tutelando tutte le persone. Bisogna quindi definire», aggiungono gli industriali del Nord, «un piano di aperture programmate di attività produttive mantenendo rigorose norme sanitarie e di distanziamento sociale». I segretari generali di Cgil, Cisl e Uil, Maurizio Landini, Annamaria Furlan e Carmelo Barbagallo, hanno scritto al premier Conte, per sollecitare la convocazione di un incontro «al fine di confrontarsi anche sui problemi relativi all'applicazione del protocollo della sicurezza nei luoghi di lavoro ed alle decisioni che il governo intende assumere in relazione alle attività sospese per ora fino al 13 aprile prossimo perché considerate non essenziali».
La deposizione in mare della corona nell'esatto luogo della tragedia del 9 novembre 1971 (Esercito Italiano)
Quarantasei giovani parà della «Folgore» inghiottiti dalle acque del mar Tirreno. E con loro sei aviatori della Royal Air Force, altrettanto giovani. La sciagura aerea del 9 novembre 1971 fece così impressione che il Corriere della Sera uscì il giorno successivo con un corsivo di Dino Buzzati. Il grande giornalista e scrittore vergò alcune frasi di estrema efficacia, sconvolto da quello che fino ad oggi risulta essere il più grave incidente aereo per le Forze Armate italiane. Alle sue parole incisive e commosse lasciamo l’introduzione alla storia di una catastrofe di oltre mezzo secolo fa.
(…) Forse perché la Patria è passata di moda, anzi dà quasi fastidio a sentirla nominare e si scrive con la iniziale minuscola? E così dà fastidio la difesa della medesima Patria e tutto ciò che vi appartiene, compresi i ragazzi che indossano l’uniforme militare? (…). Buzzati lamentava la scarsa commozione degli Italiani nei confronti della morte di giovani paracadutisti, paragonandola all’eco che ebbe una tragedia del 1947 avvenuta ad Albenga in cui 43 bambini di una colonia erano morti annegati. Forti le sue parole a chiusura del pezzo: (…) Ora se ne vanno, con i sei compagni stranieri. Guardateli, se ci riuscite. Personalmente mi fanno ancora più pietà dei leggendari piccoli di Albenga. Non si disperano, non singhiozzano, non maledicono. Spalla a spalla si allontanano. Diritti, pallidi sì ma senza un tremito, a testa alta, con quel passo lieve e fermissimo che nei tempi antichi si diceva appartenesse agli eroi e che oggi sembra completamente dimenticato (…)
Non li hanno dimenticati, a oltre mezzo secolo di distanza, gli uomini della Folgore di oggi, che hanno commemorato i caduti di quella che è nota come la «tragedia della Meloria» con una cerimonia che ha coinvolto, oltre alle autorità, anche i parenti delle vittime.
La commemorazione si è conclusa con la deposizione di una corona in mare, nel punto esatto del tragico impatto, effettuata a bordo di un battello in segno di eterno ricordo e di continuità tra passato e presente.
Nelle prime ore del 9 novembre 1971, i parà del 187° Reggimento Folgore si imbarcarono sui Lockheed C-130 della Raf per partecipare ad una missione di addestramento Nato, dove avrebbero dovuto effettuare un «lancio tattico» sulla Sardegna. La tragedia si consumò poco dopo il decollo dall’aeroporto militare di Pisa-San Giusto, da dove in sequenza si stavano alzando 10 velivoli denominati convenzionalmente «Gesso». Fu uno di essi, «Gesso 5» a lanciare l’allarme dopo avere visto una fiammata sulla superficie del mare. L’aereo che lo precedeva, «Gesso 4» non rispose alla chiamata radio poiché istanti prima aveva impattato sulle acque a poca distanza dalle Secche della Meloria, circa 6 km a Nordovest di Livorno. Le operazioni di recupero dei corpi furono difficili e lunghissime, durante le quali vi fu un’altra vittima, un esperto sabotatore subacqueo del «Col Moschin», deceduto durante le operazioni. Le cause della sciagura non furono mai esattamente definite, anche se le indagini furono molto approfondite e una nave pontone di recupero rimase sul posto fino al febbraio del 1972. Si ipotizzò che l’aereo avesse colpito con la coda la superficie del mare per un errore di quota che, per le caratteristiche dell’esercitazione, doveva rimanere inizialmente molto bassa.
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