Giuseppi accerchiato dai giallorossi ritorna in ginocchio dal Parlamento
Accerchiato. Commissariato. Giuseppe Conte è sul punto di alzare bandiera bianca. Palazzo Chigi è sotto assedio: maggioranza, opposizione, categorie produttive, famiglie, non ne possono più del «meglio tirare a campare che tirare le cuoia» che caratterizza l'azione del premier. Indeciso a tutto, Conte ha pensato di salvare la poltrona prendendo in giro gli italiani. Lui, paladino dell'economia, che firma dpcm a raffica, uno più inutile dell'altro, mentre gli enti locali, Regioni in primis, si assumono la responsabilità di varare provvedimenti più rigidi di quelli nazionali, attirando su di loro proteste e critiche, e le opposizioni vengono accusate di fomentare disordini: il gioco di Conte, il suo grande bluff, è ormai scoperto. Luigi Di Maio, apre le danze: «In una fase di crisi come questa», dice il ministro degli Esteri, alla festa del Foglio, «una cabina di regia anche con le opposizioni è solo un passaggio naturale, in un momento del genere in cui abbiamo tutte queste difficoltà. Abbiamo visto che nelle proteste pacifiche dei commercianti viene contestata anche l'opposizione».
Il capogruppo del Pd al Senato, Andrea Marcucci, il primo a proporre un comitato di salute pubblica, non si lascia scappare l'occasione: «Più la crisi sanitaria si aggrava», twitta Marcucci, «più diventa logico pensare a una cabina di regia con le opposizioni. Lo ha detto anche Di Maio, e io sono d'accordo con lui». Conte sbanda, tenta la retromarcia. Dopo mesi di decisioni in solitaria, comunicate agli italiani in tv, ora cerca l'appoggio dell'opposizione: «Ho chiamato i presidenti di Camera e Senato», spiega il premier, «ho chiesto loro se c'è la possibilità di trovare uno strumento o un luogo dove confrontarsi in tempi rapidi con il Parlamento. È una esigenza, quando ci sono da prendere misure in tempi rapidi, che ci sia un luogo di confronto. Il governo», sottolinea Conte, «sarebbe ancora più sereno, prendendo decisioni e coinvolgendo tutti gli attori, è giusto che sia così».
Abbassa la cresta, anzi il ciuffo, Giuseppi: sa bene che Matteo Renzi, il Pd e buona parte del M5s non vedono l'ora di sfrattarlo da Palazzo Chigi. La sua unica forza è la pandemia dilagante, che non permette una crisi di governo. Il vicesegretario del Pd, Andrea Orlando, seppure in maniera naturalmente sfumata, lo dice chiaramente: «Non definirei ai minimi», sottolinea Orlando a Sky Tg24, «i rapporti con il premier, Giuseppe Conte. Se anche ci fossero stati elementi di tensione, e in alcuni passaggi ci sono stati perché reclamavamo un ruolo più attento alle questioni complessive dalla maggioranza da parte di Conte, mi pare che ora passino in secondo piano rispetto alle esigenze di fronteggiare al meglio questa imprevista crescita dei contagi. Non è davvero il momento di fratture e divisioni», aggiunge Orlando, «e nemmeno di tensioni. Per affrontare al meglio la situazione serve darsi un metodo, e il fatto che Conte lo abbia riconosciuto è un passo avanti». La cabina di regia con le opposizioni sarà coordinata, a quanto si apprende, dal ministro della Salute, Roberto Speranza. La prima riunione, relativa al nuovo dpcm, si terrà domani sera, lunedì.
Inevitabilmente, il centrodestra mette Conte con le spalle al muro. La richiesta di collaborazione da parte di Palazzo Chigi è tardiva e interessata, ma l'opposizione risponde responsabilmente: «L'unica volta che ci hanno convocato a Palazzo Chigi», dice il leader della coalizione di centrodestra, Matteo Salvini, al Corriere della Sera, «è stato ad aprile per parlare di cassa integrazione. Proponemmo di adottare un modello unico, oggi ci sono 25 modalità diverse. Stiamo ancora aspettando la risposta. È da febbraio che dico che siamo pronti a dare il nostro apporto. Può essere pure un incontro settimanale, anche riservato. La prima proposta di collaborazione è del marzo scorso. Abbiamo detto: coinvolgeteci, consultateci prima di decidere. Mai sentito nessuno. Non sopporto la gente che prende in giro. Dicono che ascoltano», argomenta Salvini, «ma non fanno nulla. Basti dire che su 213 decreti attuativi che dovevano licenziare ne hanno fatti solo 53. La chiusura di città e Regioni deve essere l'ultimissima carta da giocare. Ma qui, detto che sono contrario, il problema non è la singola decisione. È il metodo».
«Il lockdown? Abbiamo fatto decine di proposte per evitarlo», dice a Repubblica la leader di Fratelli d'Italia, Giorgia Meloni, «perchè si muore di tante cose. Di virus, certo, ma anche di povertà. L'epidemia va fermata assolutamente ma tutto quel che si può fare prima del lockdown lo si deve tentare. Chiediamo al governo più serietà e meno propaganda. Non hanno fatto nulla nei mesi estivi per prevenire i contagi sui mezzi pubblici, nelle scuole, sui posti di lavoro e per potenziare la sanità alla vigilia di una seconda ondata più che annunciata. Presenteremo al governo», aggiunge la Meloni, «una risoluzione con le nostre proposte. E valuteremo. Se la maggioranza le accoglierà tutte o in parte, bene, altrimenti, ognuno per la sua strada, non avranno il nostro sì. Se dal governo chiamano, rispondo, la verità è che non sono interessati. Ma alla fine di tutta questa storia saranno gli italiani a dire chi è stato responsabile e chi no».
In serata, una nota congiunta dei leader di Lega, Fi e Fdi rimanda al mittente la proposta della cabina di regia: «Il governo», scrivono Matteo Salvini, Giorgia Meloni e Silvio Berlusconi, «ipotizza una cabina di regia con le opposizioni. Il ravvedimento appare tardivo. Il centrodestra è sempre stato a disposizione dell'Italia, ma oggi più che mai l'unica sede nella quale discutere è il Parlamento della Repubblica italiana».





