2023-07-17
Giulio Sapelli: «Gli Usa vogliono annientare Berlino»
L’economista: «Puntano a ridurre la Germania a un campo di patate, la guerra in Ucraina serve pure a questo. Macché deglobalizzazione, gli americani continueranno a parlare con i cinesi. Ma in esclusiva e a modo loro».Definirlo la coscienza critica del dibattito economico è forse riduttivo, ma quando si deve capire al di là degli slogan e degli schieramenti non solo che cosa accade, ma perché il ricorso ai giudizi del professor Giulio Sapelli è una boccata di aria fresca; ossigena la comprensione. Torinese, e lo si riconosce dal suo pragmatismo sabaudo, profondissimo cultore della storia del pensiero economico, è stato al vertice di grandi imprese, di grandi banche, ha studiato a lungo l’economia mista (pubblico-privata) di cui è stato anche un protagonista e oggi ha allargato il suo orizzonte ai movimenti geopolitici. «Che sono», avverte, «il teatro in cui si dipana la vicenda dell’economia mondiale». Il suo ultimo libro Ucraina anno zero, una guerra tra mondi uscito un anno fa per Guerini e Associati è una lucida eresia rispetto al mainstream. Sapelli sostiene che Putin ha come obbiettivo la neutralità dell’Ucraina per avere mano libera sul Mar Nero. Non altro. Ogni suo saggio, della trentina che ha scritto, è il manifestarsi di un pensiero laterale. Una prospettiva che con La Verità serve a ragionare di salari, Europa e delle prospettive dell’Italia.Partiamo dal salario minimo: Elly Schlein accusa il governo di voler affamare gli italiani, Maurizio Landini della Cgil lo ritiene indispensabile, ma Meloni non cede: chi ha ragione? «Sono contrario al salario minimo; ho detto chiaramente che il modo reale per aumentare le retribuzioni è la contrattazione, che peraltro aiuta anche il pluralismo istituzionale, in un sistema corretto ed efficiente di relazioni industriali in presenza di un aumento di produttività. È necessario sicuramente limitare quel 3-4% di pseudosindacati che hanno spinto al ribasso, ma una legge sul salario minimo è pericolosissima per i lavoratori perché fissa un limite ai risultati della contrattazione. Distrugge le medie e piccole imprese e favorisce il lavoro nero».Ma non è una foglia di fico per nascondere la debolezza del sindacato?«No; il sindacato, parlo di quelli maggiormente rappresentativi, non ha abdicato al suo ruolo. C’è stata nelle grandi aziende una controrivoluzione e il rapporto capitale-lavoro si è spostato a vantaggio del capitale. C’è stata una vera offensiva contro il lavoro ed è troppo facile prendersela con i sindacati, al netto di quelli che nascono come funghi e non rappresentano nessuno. Nella piccola e media impresa è diverso: c’è un rapporto di cooperazione tra azienda e lavoratore e lì si vede bene il ruolo positivo del sindacato che aiuta a stemperare le tensioni sociali. Il sindacato se funziona bene aiuta i lavoratori e le aziende; una buona impresa ha sempre un buon sindacato». Però appena è andato al governo il centrodestra le tensioni si sono moltiplicate, non c è anche un dato politico?«Osservo solo che il peggior periodo per i lavoratori ha coinciso con il governo dell’Ulivo: se vuoi fare sul lavoro una politica di destra devi chiamare la sinistra». Salario significa potere d’acquisto ora eroso dall’inflazione, dalla Bce che alza i tassi. Che giudizio dà di Christine Lagarde?«La vedo come l’ho sempre vista: siamo in mano a una tecnocrazia incompetente che accede ai posti di comando come se ci fosse un manuale Cencelli per le quote nazionali e misura il peso delle scelte economiche guidata da un’ideologia e da una teoria che obbedisce al pensiero mainstream piuttosto che al pensiero economico. Loro alla Bce, e a maggior ragione la Lagarde, sono convinti che come dice il manuale l’inflazione sia sempre da domanda. E invece questa è un’inflazione da carenza di offerta. C’è stata la pandemia, c’è la guerra, c’è la crisi della logistica che fanno andare fuori controllo i prezzi delle materie prime, degli alimentari, delle fonti fossili. Sono cause esogene che loro affrontano con strumenti sbagliati che peggiorano la situazione. Siamo di fronte a un grande fallimento manageriale. Possibile che i direttori degli acquisti che vengono strapagati non si siano accorti che decine e decine di navi stavano alla fonda, che i noli rincaravano? I prezzi delle materie prime, le tariffe dell’intermodalità non si curano con la moneta, ma solo con iniziative politiche».Dunque stiamo pagando la guerra?«Anche. Non si è capito che il conflitto è tra la borghesia ucraina e quella russa. Gli americani hanno deciso di appoggiare la borghesia di Kiev anche in funzione anti Germania. Anzi, il loro fine è colpire la Germania che vogliono ridurre a un campo di patate. Basta osservare le mosse di Janet Yellen: sa di monete, di economia e di politica come pochi. Da segretario al Tesoro è andata a Pechino a stringere rapporti commerciali, la politica estera non deve essere un fattore di decoupling rispetto agli affari. Solo che gli americani vogliono parlare ai cinesi avendo l’esclusiva e a modo loro. Non come fa la Russia o come ha fatto sin qui la Germania. Ecco a cosa serve la guerra. Ecco perché la Germania - che ha più problemi di logistica di tutti, e ha il problema di sostituire il gas russo - deve essere messa sotto controllo».Perciò parlare di de-globalizzazione è fuori luogo? «Ma certo che sì! Il rapporto di interdipendenza tra le economie che è cominciato a metà dell’Ottocento, anche se ogni tanto s’interrompe è irreversibile. È interdipendente il sistema delle monete, c’è un sistema internazionale economico fatto a frattali che ha degli smottamenti continui che danno l’impressione della de-globalizzazione. Stiamo vivendo nell’epoca dell’incertezza permanente alimentata dai conflitti, dai rapporti demografici, dalle emigrazioni che c’interrogano sul rapporto dell’Africa con l’Europa e di quello del Sud con il Nord America».L’emigrazione è dunque un fattore di crisi?«Ci occupiamo solo dell’Africa mediterranea. Bisognerebbe pacificare il Congo dove c’è un conflitto permanente tra l’Africa francofona e quella anglofona. Va favorita una emigrazione interna all’Africa puntando al suo sviluppo. Se risolviamo i loro problemi risolviamo i nostri. Diversamente non ci sono soluzioni a buon mercato». Aveva ragione Enrico Mattei allora?«Mattei è stato un profeta, ha creato l’Eni e ha visto lontano. Solo che è stato una meteora. Abbiamo avuto grandi uomini d’impresa come Adriano Olivetti. Loro si muovevano nell’idea del capitalismo misto pubblico-privato; è tutto scritto nel codice di Camaldoli dove gli economisti cattolici - penso a uno per tutti: Ezio Vanoni - hanno steso il progetto dell’Italia diventata potenza economica. Bisogna ripartire da lì».Se n’è accorto anche Mario Draghi che dice all’Europa basta tecnocrazia, più politica; meno bilancio e più rilancio. È a questo che lei pensa?«Le vie del Signore sono infinite. La luce risplende perfino su Mario Draghi, c’è sempre una salvezza! È inevitabile che si rinunci a certi concetti monetaristi: si va verso un ritorno dell’economia mista. Il Pnrr che cos’è se non un progetto keynesiano? In Europa però con una mano si fa politica fiscale espansiva e con l’altra politica monetaria restrittiva. Così si finisce in testa-coda. Succede perché sono privi di cultura e perciò fanno cose prive di senso».In realtà sono i tedeschi a non volere una nuova Europa…«I tedeschi chiedono rigore per gli altri, ma non per sé stessi. Si comportano da potenza e c’è una relazione tra la loro politica estera e la loro politica economica. Come il gas gratis dalla Russia, come i rapporti con la Cina. Loro hanno scatenato una guerra economica in Europa».Ma la Germania le guerre le ha perse tutte…«Ma ha il vizio di vincere le paci come si vede nella politica di bilancio dell’Ue».Anche il Green deal fa parte di questa guerra?«Il Green deal non ha senso. Non c’è dubbio che esista l’emergenza del cambiamento climatico. La politica verticistica di Bruxelles non produce però alcun effetto. La decarbonizzazione va affrontata con la cooperazione e l’autoregolazione delle imprese, non con trattati internazionali calati dall’alto col rischio di avvantaggiare solo alcuni o di fare una politica di classe che colpisce solo i poveri. La programmazione economica dell’Unione sovietica è fallita da tempo, non ha senso applicarla alla transizione ecologica».In tutto questo l’Italia come sta messa?«Come sempre: è prima tra gli ultimi e ultima tra i primi. Non essendoci più grandi imprese partecipate dal pubblico - anche se Eni e Enel stanno facendo cose importantissime - siamo comunque una grande potenza manifatturiera grazie ai miracoli che ha fatto il sistema delle piccole e medie imprese. Devo dire che questo governo ha finalmente per le pmi un occhio di riguardo come non si è avuto negli ultimi venti anni. Così come ora c’è una posizione giusta nei confronti dell’Europa: non di genuflessione come negli ultimi anni, ma di negoziazione».Perciò i mercati si fidano?«I mercati sanno benissimo che questo Paese ha un risparmio privato che è tra i più elevati al mondo, un’industria che i nostri stampisti, i nostri artigiani, i nostri spedizionieri che fanno miracoli hanno reso produttiva e un sistema bancario che è molto più sicuro di quello dei molti che ci criticano».Dunque il governo è promosso?«Il governo sta facendo molto bene con ministri come Raffaele Fitto nell’interlocuzione con l’Europa, come Adolfo Urso che sta dando una chiara manifestazione d’appoggio alle pmi che sono il nostro patrimonio irrinunciabile, con alcune grandi imprese di Stato che stanno facendo miracoli. Ciò che manca è l’indirizzo di politica economica. Dal ministero dell’Economia non viene un disegno, non si capisce qual è la politica che si deve seguire e questa è una gravissima mancanza di prospettiva».
«Haunted Hotel» (Netflix)
Dal creatore di Rick & Morty arriva su Netflix Haunted Hotel, disponibile dal 19 settembre. La serie racconta le vicende della famiglia Freeling tra legami familiari, fantasmi e mostri, unendo commedia e horror in un’animazione pensata per adulti.