
Nella sentenza d'Appello bocciato il sequestro di metà dicembre. Il rischio di incidenti non è «frequente» ma accadrebbe «6 volte ogni 1.000 anni» come sostenuto dai periti. Il governo tira un sospiro di sollievo e può continuare la trattativa con Arcelor e le banche.I giudici dell'appello di Taranto ribaltano in pieno la decisione del giudice monocratico che a metà dicembre aveva imposto lo spegnimento dell'altoforno 2 dell'ex Ilva. A fare ricorso sono stati i commissari che ieri si sono visti riconoscere tutte le motivo dell'istanza di riaccensione del forno che dall'estate del 2015 è oggetto di un procedimento penale per la morte di un operaio. Il collegio di giudici mette nero su bianco il fatto che non ci sono motivi per portare avanti la sentenza del collega che si basa su una urgenza di pericolo mal calcolata. «Giunto al punto di trarre le proprie conclusioni», si legge a pagina 13 della sentenza dell'appello, «ha recepito la nozione di frequenza, probabilità e alta possibilità delle sequenze incidentali prese in esame, senza tuttavia esplicitare i logaritmi associati a quelle nozioni con l'effetto di sopravvalutare il rischia della marcia dell'altoforno 2 la cui esatta dimensione poteva essere colta solo in termini matematici». nelle righe successive del documento il collegio entra ancor più nei dettagli.il sequestro Ciò che per la sentenza di sequestro di metà dicembre è un pericolo reale, è in effetti un rischio che si può verificare 6 volte in 10.000 anni. O se volgiamo prendere per buona la perizia redatta dalla custode dell'altoforno (non certo un perito di parte) la possibilità che un operai venga di nuovo investito da una colata sarebbe di 6 volte in 1.000 anni. Insomma, tutt'altro che un pericolo frequente o così imminente da imporre lo spegnimento. Anche di fronte a un testo prodotto da una società terza che spiega che gli interventi finali di messa in sicurezza non si possono in alcun modo realizzare in soli 84 giorni. Non solo i giudici nello smontare la sentenza del collega si addentrano in commenti ancor più allegorici. Per spiegare che il giudice monocratico si è affidato a un «criterio personale non sussumibile nell'ambito di leggi scientifiche» usano un paragone aeronautico. Un conto dire che «quando un aereo sta cadendo è difficile controllarlo» è un'altra cosa è dedurre che non sia possibile metter ein atto interventi preventivi per evitare che l'aereo cada. Nelle 21 pagina di sentenza si fa inoltre cenno a un tempo estremamente importante. I giudici mettono a confronto - una volta ricalcolati - i rischi potenziali con i danni economici concreti. Spegnere l'altoforno causerebbe una perdita immediata di produzione. almeno 1,8 milioni di tonnellate di ghisa he tradotto in termini lavorativi significherebbe spingere Arcelor Mittal a chiedere almeno 3.500 esuberi. In parole povere, i giudici riavvolgono il nastro e consentono ai commissari e all'azienda di andare avanti con gli interventi di bonifica e messa in sicurezza. Nello specifico è stata annullata l'ordinanza del giudice Francesco Maccagnano del 10 dicembre e il provvedimento connesso del 12 dicembre concedendo all'amministrazione straordinaria la facoltà d'uso dell'Afo 2 subordinata all'adempimento delle residue prescrizioni, in tutto o in parte non eseguite. In particolare assegnando, a decorrere dalla data di deposito dell'ordinanza, «sei settimane per l'adozione dei cosiddetti dispositivi attivi; a decorrere dalla data del 19 novembre 2019 nove mesi per l'attivazione del caricatore automatico della massa a tappare; 10 mesi per l'attivazione del campionatore automatico della ghisa; 14 mesi per l'attivazione del caricatore delle aste della Maf (Macchina a forare, ndr) e sostituzione della Maf». Tutto ciò porta i commissari e soprattutto il governo a riaprire la partita di mediazione con Arcelor Mittal e con le banche con l'obiettivo di dare il via entro fine febbraio alla newco per metà privata e per metà pubblica. La soluzione concordata tra le parti che dovrebbe consentire di slavare capra e cavoli. E al premier Giuseppe Conte di salvare la faccia. Non si può infatti non evidenziare che la sentenza di ieri ha fornito a questo governo ossigeno vitale per capare almeno per i prossimi mesi. La chiusura dell'ex Ilva a Taranto sarebbe stata - sarebbe ancora - la toma del Conte bis. In ongi caso ci vorrà tempo per capire che cosa sia realmente successo nelle ultime settimane a Taranto dopo lo stop allo scudo penale. Ci vorranno anni per comprendere se governo e Arcelor abbiano concordato le mosse e finto uno scontro frontale.tribunale di milano D'altronde solo adesso, a distanza di quasi otto anni il tribunale di Milano ha reso note le motivazione della sentenza con cui l'anno scorso ha assolto Fabio Riva dall'accusa di crac. «Non si ravvisano quegli indici di fraudolenza necessari a dar corpo alla prognosi postuma di concreta messa in pericolo dell'integrità del patrimonio dell'impresa, funzionale ad assicurare la garanzia dei suoi creditori, ma c'era anzi un progetto di rilancio», si legge in una delle 100 pagine in cui il gup boccia in toto la tesi dell'accusa. «Il contesto in cui l'impresa ha operato», scrive il giudice, «caratterizzato da performance e risultati economici che hanno condotto la società a posizionarsi in vetta al mercato siderurgico europeo, e la enorme distanza temporale tra le condotte in contestazione (poste in essere nel 1995-1997) e lo squilibrio tra attività e passività, allocabile nel 2013, inducono a dubitare fortemente della effettiva messa in pericolo della garanzia dei creditori, elidendo il portato dannoso dell'azione». In pratica, per il gup, l'operazione di «scissione» societaria, effettuata nel marzo 2012, non fu fraudolenta. Un parere che depositato nell'imminenza del sequestro degli stabilimenti avrebbe cambiato la storia della siderurgia italiana. Adesso è troppo tardi.
Alessia Pifferi (Ansa)
Cancellata l’aggravante dei futili motivi e concesse le attenuanti generiche ad Alessia Pifferi: condanna ridotta a soli 24 anni.
L’ergastolo? È passato di moda. Anche se una madre lascia morire di stenti la sua bambina di un anno e mezzo per andare a divertirsi. Lo ha gridato alla lettura della sentenza d’appello Viviana Pifferi, la prima accusatrice della sorella, Alessia Pifferi, che ieri ha schivato il carcere a vita. Di certo l’afflizione più grave, e che non l’abbandonerà finché campa, per Alessia Pifferi è se si è resa conto di quello che ha fatto: ha abbandonato la figlia di 18 mesi - a vederla nelle foto pare una bambola e il pensiero di ciò che le ha fatto la madre diventa insostenibile - lasciandola morire di fame e di sete straziata dalle piaghe del pannolino. Nel corso dei due processi - in quello di primo grado che si è svolto un anno fa la donna era stata condannata al carcere a vita - si è appurato che la bambina ha cercato di mangiare il pannolino prima di spirare.
Roberto Crepaldi
La toga progressista: «Voterò no, ma sono in disaccordo con il Comitato e i suoi slogan. Separare le carriere non mi scandalizza. Il rischio sono i pubblici ministeri fuori controllo. Serviva un Csm diviso in due sezioni».
È un giudice, lo anticipiamo ai lettori, contrario alla riforma della giustizia approvata definitivamente dal Parlamento e voluta dal governo, ma lo è per motivi diametralmente opposti rispetto ai numerosi pm che in questo periodo stanno gridando al golpe. Roberto Crepaldi ritiene, infatti, che l’unico rischio della legge sia quello di dare troppo potere ai pubblici ministeri.
Magistrato dal 2014 (è nato nel 1985), è giudice per le indagini preliminari a Milano dal 2019. Professore a contratto all’Università degli studi di Milano e docente in numerosi master, è stato componente della Giunta di Milano dell’Associazione nazionale magistrati dal 2023 al 2025, dove è stato eletto come indipendente nella lista delle toghe progressiste di Area.
Antonella Sberna (Totaleu)
Lo ha dichiarato la vicepresidente del Parlamento Ue Antonella Sberna, in un'intervista a margine dell'evento «Facing the Talent Gap, creating the conditions for every talent to shine», in occasione della Gender Equality Week svoltasi al Parlamento europeo di Bruxelles.
Ansa
Mirko Mussetti («Limes»): «Trump ha smosso le acque, ma lo status quo conviene a tutti».
Le parole del presidente statunitense su un possibile intervento militare in Nigeria in difesa dei cristiani perseguitati, convertiti a forza, rapiti e uccisi dai gruppi fondamentalisti islamici che agiscono nel Paese africano hanno riportato l’attenzione del mondo su un problema spesso dimenticato. Le persecuzioni dei cristiani In Nigeria e negli Stati del Sahel vanno avanti ormai da molti anni e, stando ai dati raccolti dall’Associazione Open Doors, tra ottobre 2023 e settembre 2024 sono stati uccisi 3.300 cristiani nelle province settentrionali e centrali nigeriane a causa della loro fede. Tra il 2011 e il 2021 ben 41.152 cristiani hanno perso la vita per motivi legati alla fede, in Africa centrale un cristiano ha una probabilità 6,5 volte maggiore di essere ucciso e 5,1 volte maggiore di essere rapito rispetto a un musulmano.






