2023-02-27
Maria Rita Gismondo: «Chi ha gestito il Covid è spudorato se tace sugli errori compiuti»
Maria Rita Gismondo (Imagoeconomica)
La virologa: «Lo sbaglio peggiore è stato il trattamento riservato ai più giovani, finiti al 41 bis tra Dad, isolamento e vaccini inutili».«Sta crescendo in me un po’ di delusione per l’approccio che stiamo adottando rispetto al Covid». Maria Rita Gismondo, direttrice del laboratorio di microbiologia clinica, virologia e diagnostica delle bioemergenze dell’ospedale Sacco di Milano, parla fuori dai denti, con la schiettezza che l’ha contraddistinta, rispetto a tanti altri colleghi, durante la pandemia. Dalla posizione che ricopre nella struttura milanese - che insieme con l’ospedale Spallanzani di Roma è uno dei due centri d’eccellenza per la gestione delle emergenze epidemiologiche e delle malattie infettive in Italia - se lo può permettere. L’emergenza sembra ormai finita, non stiamo procedendo nella direzione giusta?«Se da un lato mi rallegro dell’approccio molto più aperto da parte del nuovo ministro, che stimo molto, non sto vedendo lo stesso tipo di attitudine nella comunità: mi sembra che si voglia dare un colpo al cerchio e uno alla botte». Si sta forse cercando di mettere la polvere sotto al tappeto?«Vede, in molti abbiamo sperato non soltanto che si voltasse pagina, ma anche che non si mettesse il coperchio su ciò che è stato fatto, per non ripetere più gli stessi errori. Mi sembra invece che stiamo sprecando quest’occasione».La nuova maggioranza ha avviato il percorso istitutivo della commissione d’inchiesta sul Covid…«Non può essere affidata soltanto alla politica. O meglio: devono essere prima di tutto gli scienziati ad analizzare ciò che è successo, in seconda battuta gli esperti di politiche sanitarie. Ci dovrebbe essere un connubio tecnico-politico che conduca alla miglior soluzione per il cittadino».Pd e 5 stelle vogliono coinvolgere gli stessi scienziati che hanno gestito la pandemia.«Questa è un’assurdità. Ho lavorato molto a progetti internazionali, sia per la Commissione europea sia per il Dipartimento di stato americano: quando si vuole fare un debriefing serio, le prime persone che si ascoltano sono quelle che non la pensano come te. Ascoltarsi e darsi ragione è la negazione del metodo scientifico e della deontologia. Se il lavoro della commissione consisterà nel riconvocare soltanto gli stessi autori della gestione pandemica, non sarà certo un esame obiettivo».In realtà l’attuale maggioranza ascolterà altri scienziati.«Lo auspico. Mi sembra invece che da parte di chi ha gestito la pandemia non ci sia pudore: nessuno ha mai detto “ho sbagliato”». Lei in cosa pensa di aver sbagliato?«Gli errori di valutazione che mi sono stati attribuiti non mi sembra si siano poi rivelati tali, alla lunga. In particolare mi si rinfaccia di aver dichiarato, intorno al 22 febbraio 2020, che il coronavirus era “poco più di un’influenza”. Premesso che l’influenza per alcuni pazienti non è una banalità, in quel momento non sbagliavo perché allora avevamo davvero pochi casi; inoltre, lo dicevamo un po’ tutti, ma si è parlato soltanto di me. Poi, certo, il virus ha preso un altro andamento…».Il virus o la gestione del virus?«La gestione del virus a livello internazionale».Qual è stato l’errore più eclatante commesso in pandemia?«Il trattamento riservato a bambini e ragazzi. Se guardiamo le tabelle dell’Istituto superiore di sanità di fine 2020 - quando ancora i vaccini dovevano arrivare - i decessi erano concentrati negli anziani con almeno tre o quattro patologie. Senza voler trascurare i casi che hanno colpito altre fasce di età, è un fatto che abbiamo messo al 41 bis i giovani, costringendoli prima alla Dad e all’isolamento, poi a vaccinazioni non necessarie per la loro fascia di età, esponendoli peraltro ad alcuni effetti collaterali».Eventi avversi: fisiologici? L’opinione pubblica esagera o è un tabù che nessuno ha voglia di affrontare?«Non c’è stata una farmacovigilanza reale. Quando un farmaco è totalmente nuovo, e sperimentato in maniera incompleta vista la situazione di emergenza, bisogna annotare qualsiasi sintomo, anche se può apparire non correlato, perché ha un senso, quello di conoscere meglio il farmaco e utilizzarlo al meglio. Questo non è stato fatto. Anzi: c’è stato un periodo in cui i medici avevano addirittura timore di registrarli, gli effetti collaterali».Quei medici temevano una radiazione dall’ordine. Cosa si sarebbe dovuto fare?«Non incoraggiare quel clima di persecuzione: sono stati espulsi dagli ordini medici che curavano i pazienti, questo non si è mai sentito nella storia della medicina. E curare i pazienti - obbligo deontologico - durante la pandemia gestita da Speranza è quasi diventato un torto, dovevamo solo attenerci a paracetamolo e vigile attesa, protocollo che probabilmente ha causato danni pesanti.L’ex maggioranza sostiene che l’uso di altri farmaci non era escluso nelle circolari, almeno dal 30 novembre 2020.«Lei che fa comunicazione sa bene che la gente non va a leggere le circolari, ma ascolta le istituzioni. Lei ha mai sentito dire dall’ex ministro Speranza che il Covid si potesse curare con altri farmaci?».Le terapie non sembrano mai esser state un’opzione…«Infatti: sino a fine 2020 le uniche opzioni erano lockdown e distanziamento sociale, dal 2021 l’unica opzione è diventata il vaccino. Tutto il resto, scritto o non scritto, non è mai stato palesato a livello di comunicazione. E quella sul vaccino è stata completamente sbagliata».Sono stati errori in buona fede o con dolo?«Creare un clima di persecuzione intorno a medici coscienziosi e cittadini dubbiosi, e non consentire di avanzare il minimo dubbio su eventuali effetti collaterali, certamente è stato fatto con dolo. Non conosco il perché, ma la sensazione è che ci siano state delle linee comportamentali segnate, e che al di fuori di queste non si potesse e non si dovesse andare».Banalmente, il nostro giornale ha sempre parlato di interessi economici.«Non si può affatto escludere che il Covid sia stata anche una grandissima opportunità di mercato per qualcuno: gli altri vaccini che fine hanno fatto?». C’è chi sostiene che se le aziende farmaceutiche non sostenessero la ricerca, questa non sarebbe sostenibile.«È anche giusto, perché le aziende farmaceutiche non sono enti di beneficenza. Bisognerebbe però assicurare una pluralità: se facciamo soltanto ricerca orientata al marketing, c’è il rischio che ci sfugga qualcosa di importante e utile per la salute pubblica. Lo stato dovrebbe sostenere maggiormente la ricerca indipendente».C’è qualcosa su cui ancora non è stata fatta chiarezza?«Sì: non si è ancora parlato dei soldi sprecati. Si è perso il controllo delle spese sostenute per fronteggiare la pandemia. Le mascherine, i respiratori abbandonati nelle cantine degli ospedali… è solo la punta dell’iceberg ed è un debito che stiamo pagando noi. Non abbiamo il diritto di sapere se questo immenso budget è stato amministrato bene o male e se ci siano stati, come è evidente anche se non se ne parla, degli sprechi?».Qualcuno sostiene che gli errori siano fisiologici…«Non c’è dubbio, e anche comprensibili, di fronte a una situazione d’emergenza. Ma nell’accettare un incarico pubblico, bisogna anche essere consapevoli che se si fanno errori, si pagano. Non siamo infallibili, ma è andato perduto il senso di accountability. È come se ogni cittadino abbia sulle sue spalle un mutuo da pagare senza sapere cosa ha comprato e senza averlo acceso in maniera volontaria: si può almeno sapere se ciò che abbiamo pagato è stato utile o no, e se il denaro pubblico è stato amministrato in maniera oculata? La mia paura è che tutto si areni nelle sabbie mobili».Lei è stata una delle poche voci controcorrente. Ha avuto ricadute sulla sua carriera?«Sulla carriera no, io sono già arrivata e nessuno mi può togliere niente, ma certamente ho ricevuto velati inviti a desistere. Inoltre, l’ordine mi ha richiamato per alcune mie dichiarazioni, che poi si sono rivelate corrette, ed è stato emesso un parere di censura, non meglio identificato. Viceversa, la mia denuncia all’ordine contro il collega Massimo Galli, che mi ha attaccato pubblicamente, si è conclusa con un’assoluzione nei suoi confronti: mi è stato risposto che il suo comportamento è stato “dettato dallo stress” e che si è trattato di una normale “diatriba tra colleghi”. È stato un episodio alquanto sgradevole, tanto più che, a dispetto delle sue dichiarazioni, il mio gruppo e il suo hanno continuato a lavorare insieme, abbiamo fatto delle ottime pubblicazioni».C’è qualche collega che in privato le ha dato ragione?«Tantissimi. I colleghi mi hanno sempre detto che ero “forte e coraggiosa”, non ho mai incontrato nessuno che privatamente mi contestasse, anche solo per farmi riflettere. Ma il consenso mi è stato manifestato in silenzio, in maniera quasi carbonara: una cosa da regime».Quali sono le sue attese sulle politiche sanitarie nel futuro?«È complicato prevederlo, la ragion di stato obbliga a passar sopra tante situazioni. Per quanto mi riguarda, sono contenta di continuare a fare la ricercatrice anziché fare politica. Mi hanno tirato la giacchetta ma io, al contrario di altri miei colleghi, sono rimasta fedele al mio giuramento di Ippocrate».