
Basta con i piatti benauguranti carichi di grasso e di colesterolo. Meglio il fiore che trova tanti modi d’uso in cucina: i semi salati con l’aperitivo, mescolati nell’insalata, impastati nel pane, aggiunti a zuppe, carne, pesce e persino in macedonie e gelati.Basta con i piatti benauguranti di fine anno, carichi di grasso e di colesterolo. Cotechini, zamponi, salami e maialate varie portano fortuna secondo antiche credenze popolari nate quando si pativa la fame e ci si addormentava contando porcellini che saltavano una staccionata. Ora portano treni merci di trigliceridi, tir di obesità. E allora quest’anno la fortuna cerchiamola nei fiori. Ne suggeriamo uno in particolare: il girasole. Dona gioia solo a guardarlo. Intanto è giallo e luccicante come l’oro e già questo, per chi crede nei simboli, promette bene. Poi è solare, di bellezza splendente e generoso di semi che forniscono un olio prezioso. Consigliamo quindi di tirar fuori dall’ultimo ripiano del cassettone quella tovaglia di girasoli ricamati o stampati che apparteneva alla dote della nonna e di apparecchiare con quella la tavola di San Silvestro o di Capodanno. Chi non ha la tovaglia? Nessun problema: va dal fioraio e acquista alcuni girasoli di serra - ne bastano tre -, li mette in un vaso di cristallo che porrà a centrotavola. Farà un figurone.Figurone doppio se nel menu figureranno piatti con il girasole come ingrediente. Pochi lo sanno, ma l’Helianthus annuus (Helianthus deriva dalle parole greche elios, sole, e anthus, fiore) trova tanti modi d’uso in cucina: i semi salati possono essere serviti con l’aperitivo, mescolati nell’insalata, impastati nel pane prima della lievitazione, per guarnire grissini. Si possono aggiungere ai minestroni, alle vellutate, alla zuppa di verdure, all’insalata di riso. Grazie al loro delicato sentore di nocciola rendono più intriganti i piatti di carne o di pesce. Stanno bene anche nelle macedonie di frutta e nelle coppe di gelato. Aggiunti a fiocchi d’avena, cereali, uvetta e frutta secca impreziosiscono il muesli della colazione mattutina.Un bouquet di raggianti girasoli regalato a una donna va oltre alla bellezza. Esprime un preciso significato: devozione infinita. Ce lo spiega Ovidio nelle Metamorfosi raccontando la triste storia d’amore della ninfa Clizia, innamorata di Apollo, il dio del sole, che ricambiò il sentimento fino a quando non incontrò la bella Leucotoe, figlia di Orcamo re degli Archemeni. Da quel momento Apollo allontanò Clizia dal suo cuore. L’amore tra il dio e Leucotoe doveva rimanere segreto: Orcamo non doveva venire a saperlo. Più padrone che padre, il re pretendeva una figlia virtuosa. Leucotoe doveva rimanere verginella, pena la morte. Ripudiata da Apollo, Clizia reagì con la gelosia di una comune mortale, non di una ninfa e si vendicò spiattellando tutto ad Orcamo, il quale, infischiandosene di aver a che fare con un dio, fece seppellire viva la figlia. E Clizia? Apollo non volle saper più niente di lei. La ninfa, consumata dal dolore, passò il resto dei suoi giorni a volgere il capo seguendo la corsa del sole in cielo, fino a quando, consunta e anoressica per il rifiuto del cibo, morì di dolore e di fame. Solo a quel punto Apollo s’impietosì di tanta tragica devozione e mutò la ninfa consunta per amore nel fiore che segue il cammino del sole da est a ovest: il girasole. Naturalmente Ovidio non lo chiama girasole, fiore di origine sudamericana che arrivò in Europa nel Cinquecento. Lo chiamò heliotropium, pianta, cioè, che segue il corso del sole. Proprio come il nostro girasole. Quello della povera ninfa era un amore assoluto, monopolizzante. L’Helianthus annuus fu scoperto in Perù da Hernando Pizarro nel 1500. Il fratello di Francisco, el Conquistador, ne trasportò i semi in Europa e li donò a Filippo II, re di Spagna. Gli Incas consideravano il girasole l’immagine del sole, loro dio, il quale, secondo la loro religione, mandò due figli a piantare il benefico fiore nella fertile vallata di Cuzco. Incas, Aztechi e Maya, oltre a considerarlo un fiore sacro, si nutrivano dei suoi semi: li macinavano per ottenere una farina con cui fare il pane e li spremevano per ottenerne un generoso olio, lo stesso che noi usiamo, in alternativa all’olio di oliva, per friggere, condire, preparare salse (come la maionese) o mettere verdure in conserva. I popoli del centro e sud America ne tostavano e macinavano i semi per prepararsi una sorta di caffè.Furono i pittori del 17° secolo a raffigurare il mito di Clizia con il girasole identificando il significato del fiore con la venerazione, l’adorazione. Il pittore fiammingo Anton Van Dyck, nominato primo pittore di corte da Carlo I d’Inghilterra, nell’Autoritratto con girasole, ritrae sé stesso mentre indica un imponente girasole che gli sta davanti. L’allegoria è chiara: Van Dyck indicando il girasole (Carlo I) dichiara tutta la sua gratitudine per il re per il prestigioso incarico conferitogli. Il girasole fu molto amato da un altro re, Luigi XIV di Francia che, guarda un po’, passò alla storia come Re Sole. Sotto il regno della regina Vittoria, in Gran Bretagna, l’Helianthus fu raffigurato nei ricami, nei pizzi a punto croce vittoriano, disegnato nelle stoffe e perfino intagliato nei mobili.Sono molti i poeti che hanno cantato e magnificato la sua bellezza. Tra questi due premi nobel italiani per la letteratura: Salvatore Quasimodo (nobel nel 1959) ed Eugenio Montale premiato dall’Accademia svedese nel 1975. Per quest’ultimo i girasoli, per il brillante colore giallo, erano il simbolo della gioia e della felicità che disperatamente cercava nel tormentato amore con la studentessa americana Irma Brandeis. I gioiosi girasoli che avrebbero fatto rifiorire Montale sono gli stessi che per un breve periodo alleviarono l’infelicità e i tormenti di Van Gogh. Il pittore ne dipinse una serie alla fine degli anni anni Ottanta dell’Ottocento. Li dipinse in tre tonalità di giallo, il colore che secondo lui esprimeva la felicità, la luce, il sole. Li dipinse con entusiasmo e con euforia perché attendeva ad Arles l’arrivo dell’amico Paul Gauguin con il quale sognava di avviare una comunità di pittori che condividessero un progetto artistico comune. Rimane, anzi prorompe dalle tele la gioia che infondono i gialli dei suoi girasoli, fiore che amò talmente da arrivare a dire: «Il girasole è mio». Questi capolavori del grande maestro olandese (quattro girasoli li aveva dipinti, precedentemente, a Parigi), lo hanno fatto passare alla storia dell’arte come il «pittore dei girasoli».La pianta del girasole raggiunge normalmente i tre metri d’altezza e ha un’infiorescenza a capolino (quello che tanti credono un singolo fiore è in realtà un insieme di fiori) che vanta un diametro fino a 30 centimetri. Una cronaca padovana del 1567 riferisce di un girasole gigante che arrivò a 12 metri d’altezza. Il girasole fiorisce da luglio a ottobre. Oltre che come alimento è molto usato in farmacia ed erboristeria per le sue qualità terapeutiche. È ricco di sali minerali, indicato per curare lo stress e combattere le affezioni bronchiali, dà energia ed è un febbrifugo. Dà un miele monoflora di un bel colore giallo, profumo erbaceo e sapore dolce, fruttato. Può essere usato al posto dello zucchero nelle diete ipocaloriche.In alcune civiltà orientali è tuttora considerato simbolo di immortalità. Nel Cristianesimo è l’icona dell’anima che si rivolge continuamente a Dio con pensieri e amore. Nell’ iconografia sacra è il simbolo della preghiera. Abbiamo già detto che, oltre ad essere bello, artistico e salutare, porta anche fortuna. Basta lasciarlo fuori dalla politica. Alle elezioni del 2001 si allearono i Verdi e i Socialisti democratici italiani (Sdi). Chiamarono la neonata formazione politica Il Girasole. La lista raccolse poco più del due per cento dei consensi, la metà dello sbarramento elettorale che era stato posto al quattro per cento.
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