2021-11-01
Giovanni Tria: «Sulla manovra serve più coraggio»
L'economista: «Do un voto alto alla legge di bilancio, ma bisogna staccare la spina al reddito di cittadinanza. La riforma del catasto? Spaventa la gente. Quota 100? Ero ministro quando fu approvato ma fu un errore».La manovra? «Promossa, ma su alcuni punti serve più coraggio». Draghi? «Bene a Palazzo Chigi, ancor meglio al Quirinale». L'allarme fascismo e omofobia? «Non vedo rischi su entrambi i fronti». Giovanni Tria, ministro dell'Economia ai tempi del governo Conte Uno, ascoltatissimo esperto che si distingue per serietà e concretezza. C'era lui in via XX settembre in occasione della nascita di quella «quota 100» oggi sfiorita con la manovra presentata da Mario Draghi. Cominciamo da qui. Che voto dà alla legge di bilancio?«Alto, anche se nell'attuale situazione la legge di bilancio non è più il vero terreno di battaglia. La manovra non è più la chiave della crescita. Conta più l'attuazione del Recovery e altri giochi che non dipendono dall'Italia». Cioè?«L'ascesa dei prezzi delle materie prime, i colli di bottiglia dell'offerta globale, la minaccia dell'inflazione. Questa è una manovra di transizione. Il governo vuole attraversare questa fase senza danni, per poi prepararsi alle battaglie vere». Otto miliardi di tagli alle tasse. Si poteva fare di più? «Fossero di più sarebbe meglio. Ma è più un problema di equità che di effetto concreto sulla crescita, per i motivi che ho citato prima». Un taglio di questa entità rischia di essere impercettibile? «Potevamo puntare più in alto, se avessimo fatto l'eutanasia immediata ad alcuni provvedimenti di spesa, anziché accompagnarli a una morte lenta e dolorosa. Su certi punti il governo non ha avuto il coraggio di staccare la spina subito: rimane al capezzale di alcune misure del passato, come una sorta di accanimento terapeutico. Forse perché i parenti di questi provvedimenti sono ancora lì, in angoscia, intorno al letto di morte».Diamo un nome al moribondo: parliamo del reddito di cittadinanza? «Sul reddito di cittadinanza l'accanimento terapeutico è piuttosto forte. È vero che lo strumento subirà delle modifiche, ma intanto lo si tiene in vita. E non è detto che costi meno». Dieci miliardi all'anno di rifinanziamento non sono cosa da poco. «Dobbiamo ancora capire qual è lo scopo del reddito di cittadinanza, che certo andrebbe riformato completamente: è uno strumento per gestire la transizione digitale ed ecologica, oppure è solo un modo per sostenere i poveri? Le due cose si sono sempre confuse: il risultato è una norma scritta male che non ha funzionato». Se non altro hanno staccato la spina al «cashback» di Giuseppe Conte. «Sì, ma solo perché quello era un provvedimento “zombie" già in partenza…».E quota 100, che diventerà quota 102?«Stesso discorso. Il governo sta portando quota 100, morbidamente, verso l'estinzione. L'errore nel 2018 è stato quello di privilegiare quota 100 rispetto al taglio fiscale». Dunque se la definisco il padre di quota 100 lei si arrabbia?«Ero lì in quei giorni. La manovra fiscale era pronta, simile a quella che si delinea oggi. Si preferì puntare su quota 100 e fu un uno sbaglio: veniale sul piano economico, e grande sul piano politico». La riforma del catasto è un cavallo di Troia che nasconde la patrimoniale? «Non vedo questo rischio, ma nulla è ancora deciso. Si dice che il gettito complessivo non deve cambiare, ma in pratica non sappiamo cosa faranno i governi futuri. In generale di queste cose meno se ne parla meglio è: altrimenti la gente si spaventa e rischiamo una perdita di fiducia». Questa manovra è un'occasione per dire basta all'austerity europea?«È una manovra espansiva, ma non in contrasto con le attuali riflessioni europee. Le regole fiscali comunitarie vanno cambiate, e qui la credibilità di Draghi potrà essere fondamentale. Lo stesso Draghi ha sempre detto che la politica monetaria senza un coordinamento con la politica fiscale non può funzionare. Questo è il grande nodo sulla governance con cui dovremo misurarci». Rispetto ai tempi in cui faceva il ministro e lottava sullo zerovirgola, oggi in Europa si parla di allentare i cordoni della borsa e ammorbidire i criteri del Patto di Stabilità. «Questo mi rallegra, anche se il contesto è molto diverso. Ricordiamoci però che gli attuali obiettivi di crescita del Next Generation sono antecedenti alla pandemia. Già prima del Covid le politiche fiscali europee erano sbagliate, e hanno impedito all'Europa di guadagnare competitività. Il fiscal compact andava seppellito da tempo: il che non significa tifare per una finanza allegra, ma pretendere una politica fiscale più flessibile che favorisca gli investimenti». Lei è consigliere del ministero dello Sviluppo economico sul dossier vaccini, per la parte che riguarda la produzione industriale nazionale e i rapporti con l'Ue. Nella manovra figurano 2 miliardi per l'acquisto di nuove forniture vaccinali: è un chiaro indizio che andiamo verso la terza dose per tutti? «La terza dose è ormai una questione decisa. Nel futuro bisogna potenziare la produzione di vaccini anche sul nostro territorio, per motivi di sicurezza nazionale. Anche perché non possiamo escludere altri generi di pandemia in futuro». Intanto siamo appena usciti da una campagna elettorale rovente. Perché ha detto che l'allarme fascismo è una sciocchezza? «Non vedo intorno a noi movimenti di ispirazione fascista né eversivi. Non ci sono forze politiche di questo tipo che abbiano un minimo di seguito popolare. E non mi pare ci siano anche negli ambiti istituzionali apparati che possano appoggiare fenomeni del genere. Anzi, penso che lanciare allarmi sul fascismo è un modo irresponsabile di parlare: chi lo fa, getta una luce sbagliata sul nostro Paese. Altra cosa è affrontare i problemi di ordine pubblico e contrastare i gruppi criminali». Ma allora perché abbiamo speso la campagna elettorale a parlare di fascismo, con tanto di manifestazione di piazza alla vigilia del voto? «Quando le forze politiche non hanno temi rilevanti e strategici su cui distinguersi, allora tendono a muoversi “contro qualcosa". O mi identifico per quello che dico, in termini positivi, oppure mi identifico opponendomi a qualcosa. E in questo momento, a cosa possono mai opporsi le forze politiche, visto che oltretutto abbiamo un governo di unità nazionale? L'unica, per loro, è mobilitarsi sventolando un pericolo. Deriva da tutto da un senso di nullità politica. È un vecchio gioco».Questo ragionamento vale anche per l'allarme omofobia, dopo il polverone sul Ddl Zan?«Non mi pare ci sia omofobia in Italia, come fenomeno sociale diffuso. Abbiamo già le norme adatte per reprimere ogni forma di omofobia. Poi le leggi sono sempre perfettibili, ma d'altra parte se qualcuno è omofobo, esiste comunque in Italia libertà di pensiero. Non è che per legge posso pretendere che la si pensi in un modo o nell'altro. L'importante è che alcune idee non si trasformino in azioni concrete che colpiscano i diritti altrui». Una visione piuttosto liberale.«Una visione democratica che dovrebbe essere comune a tutti. Se comincio a stabilire come qualcuno debba pensare, rischiamo di cadere in quei fenomeni allarmanti della cosiddetta “cancel culture". In Italia per fortuna siamo ancora salvi, ma nel mondo accademico anglosassone, ormai, ci sono docenti che hanno paura di parlare, per timore di essere accusati delle peggiori nefandezze, solo per il fatto di esprimere un'opinione. È un clima molto brutto». Insomma, se puniamo l'opinione, si sa dove si inizia ma non dove si finisce? «Certo, possiamo fare una campagna contro l'odio, ma nessuno può proibirmi di odiare. Ognuno ha il diritto di avere i propri pensieri e i propri sentimenti, finché non si trasformano in qualcosa che danneggi in modo attivo qualcuno». Da cittadino, cosa si attende dalla corsa al Quirinale? «Non ho molto da dire su questo, a parte il fatto che io non mi candido…».Lei si augura una rinascita del grande centro, in stile prima repubblica, o preferirebbe un ritorno a una democrazia dell'alternanza? «Si è sempre detto che il bipolarismo è utile per consentire ai cittadini di scegliere da chi essere governati. Questo non è sempre avvenuto in passato. Però il centro non so davvero cosa sia. Forse un punto di passaggio tra forze politiche che vanno da una parte all'altra?». Quindi?«Non sono per le scelte estreme, soprattutto quando si riducono ad espressioni verbali, come destra e sinistra. Comunque sarei ancora favorevole a un sistema maggioritario e bipolare, purché le due forze in campo si confrontino realmente sui contenuti». Mario Draghi serve più a Palazzo Chigi o al Colle? «Non saprei dirlo. In prospettiva forse serve più sul Quirinale, dove il tempo a disposizione è più lungo».Un presidenzialismo di fatto?«Da tempo il ruolo del presidente della Repubblica si è rafforzato, determinando la natura di quei governi che non escono in modo chiaro dalle elezioni. Poiché credo che i problemi sul tappeto non si risolveranno in un anno, forse il Quirinale potrebbe essere il posto giusto per Draghi per guidare i negoziati con l'Europa. E poi, se mi consente la battuta, passando da Palazzo Chigi al Colle del Quirinale ci guadagnerebbe in salute…».