2025-02-13
Giovani iperconnessi al telefonino, il concorso al Senato
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I dati sull'utilizzo degli smartphone da parte dei ragazzi sono allarmanti: il 91% dei giovani tra i 16 e i 35 anni possiede uno smartphone e ben l’81% se ne considera dipendente, il 64% lo utilizza frequentemente, il 57% usa il telefonino fino a tarda notte perdendo ore preziose di sonno, il 30% dei giovani connessi riscontra problemi a scuola, sul lavoro o nelle relazioni sociali. E, dato ancora più allarmante, il 40% dei ragazzi preferisce le interazioni online rispetto a quelle in presenza.Sono soli perché usano il cellulare o usano il cellulare perché sono soli? Del tema se ne occupano tutti - psicologi, sociologi e politici - ma nessuno si sofferma a spiegare se viene prima l’uovo o la gallina nell’annosa questione della eccessiva dipendenza dei giovani dagli smartphone. Certo, ci si sente soli a tutte le età, ma sono più spesso i giovani (insieme con gli over 65) a sperimentare la solitudine, manifestata con la paura del silenzio, che è colmata con il rumore digitale del telefonino. Bambini e ragazzi fanno fatica a staccarsi dal telefonino perché non sanno più sopportare il silenzio né ingannare l’attesa senza ricorrere allo smartphone.Gli ultimi dati, pubblicati da Unipol Media Relations e Digital PR/Kkienn Connecting People and Companies quasi a ridosso del Safer Internet Day, la Giornata Mondiale per la Sicurezza in Rete, istituita e promossa dalla Commissione Europea, sono allarmanti: il 91 per cento dei giovani tra i 16 e i 35 anni possiede uno smartphone e ben l’81per cento se ne considera dipendente, il 64 per cento lo utilizza frequentemente, trascorrendo da 4 a oltre 6 ore al giorno connesso, il 57 per cento usa il telefonino fino a tarda notte perdendo ore preziose di sonno, il 30 per cento dei giovani connessi riscontra problemi a scuola, sul lavoro o nelle relazioni sociali. E, dato ancora più allarmante, il 40 per cento dei ragazzi preferisce le interazioni online rispetto a quelle in presenza. Un bollettino di guerra, insomma.Le istituzioni fanno quello che possono: ieri, ad esempio, in pieno spirito bipartisan le senatrici Simona Malpezzi (Pd) e Lavinia Mennuni (Fdi), rispettivamente vicepresidente e membro della commissione parlamentare per l'infanzia e l’adolescenza, hanno organizzato un incontro con la Polizia di Stato (era presente il Direttore Tecnico Superiore psicologo Cristina Bonucchi) e Wind Tre (intervenuta con Tommaso Vitali, Direttore B2C Marketing & New Business, Federica Manzoni, Direttrice Sustainability & Quality Certification e Francesca Chiocchetti, Direttore Public Affairs), azienda impegnata dal 2018 nel programma di educazione digitale NeoConnessi, sui rischi e sulle opportunità di un uso consapevole della Rete. L’occasione è stata la premiazione del concorso NeoConnessi: crea la tua avventura digitale promossa da Wind Tre con il supporto di esperti in ambito psicologico, pedagogico, tecnologico e didattico, con l’obiettivo di accompagnare scuole e famiglie nel momento delicato in cui bambini e adolescenti si trovano a navigare in autonomia.L’iniziativa ha coinvolto oltre un milione e mezzo di bambine e bambini delle classi quarta e quinta elementare per un totale di 504 classi da tutta Italia; i concorrenti hanno presentato progetti sui temi esplorati nel corso dell’anno scolastico 2023-2024. In totale sono stati presentati 714 elaborati in forma testuale, multimediale, video o di laboratorio. Hanno vinto i progetti ritenuti i migliori da una giuria di esperti in termini di aderenza ai temi del programma, di qualità, creatività e originalità. Le classi vincitrici sono la 4a e 5a C della Scuola primaria Luigi Carnevali di Sant’Angelo in Vado (Pu); la 5a A della scuola primaria Mirto di Siderno Marina (Rc) e la 5a della scuola primaria Suor Emilia Renzi di Usmate Velate (Mb). Gli alunni hanno fatto proprie le tematiche affrontate in classe nel corso del programma e le hanno tradotte in lavori efficaci e creativi. I vincitori, in particolare, hanno trattato temi molto specifici come lo screentime e la dipendenza da cellulare, lo sharenting, il parental control, la sicurezza in rete soprattutto in relazione ai pericoli legati alla condivisione di informazioni o foto, oltre a bullismo, cyberbullismo e netiquette.La novità è che da questa edizione il concorso è stato esteso alle scuole secondarie di primo grado, raggiungendo quasi la metà degli istituti italiani: coinvolgerà 2 milioni di ragazzi. L’iniziativa risponde alle necessità che emergono, in un’epoca sempre più digitalizzata, di accompagnare i più giovani, ma anche i docenti e le famiglie, a vivere la rete in sicurezza. Secondo i dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, soltanto in Italia più di 700.000 ragazzi interagiscono con i coetanei in rete per più di 6 ore al giorno e un ragazzo su sette, nella fascia d’età tra i 10 e i 19 anni, presenta una patologia mentale più o meno grave legata alla sovraesposizione digitale. Sono temi al centro del dibattito tra psicologi e pedagogisti sui rischi di un’esposizione al web senza regole.Le conseguenze sul benessere mentale, in effetti, sono tragiche. Sempre secondo gli ultimi dati pubblicati da Unipol Media Relations e Digital PR/Kkienn Connecting People and Companies, il 60 per cento dei giovani soffre di concentrazione ridotta (contro il 37 per cento degli adulti), il 51 per cento dei ragazzi manifesta sintomi di ansia e depressione legati all’uso e abuso dello smartphone (contro il 32 per cento degli adulti) e il 50 per cento si isola socialmente. Va da sé che i giovani adulti della fascia anagrafica che va dai 28 ai 35 anni siano i più vulnerabili a causa delle pressioni lavorative, sociali ed economiche. Ma la consapevolezza è ancora limitata: il 53 per cento dei giovani utenti riconosce la necessità di difendersi dallo smartphone, ma solo una minoranza riesce a ridurne l’utilizzo. E il 57 per cento degli italiani è contrario a restrizioni sull’uso dello smartphone, tranne che alla guida (73 per cento) o in classe (64 per cento). Non a caso, l’iniziativa di Wind Tre parte proprio dalle scuole, dove si sta formando la futura classe dirigente.
Gli abissi del Mar dei Caraibi lo hanno cullato per più di tre secoli, da quell’8 giugno del 1708, quando il galeone spagnolo «San José» sparì tra i flutti in pochi minuti.
Il suo relitto racchiude -secondo la storia e la cronaca- il più prezioso dei tesori in fondo al mare, tanto che negli anni il galeone si è meritato l’appellativo di «Sacro Graal dei relitti». Nel 2015, dopo decenni di ipotesi, leggende e tentativi di localizzazione partiti nel 1981, è stato individuato a circa 16 miglia nautiche (circa 30 km.) dalle coste colombiane di Cartagena ad una profondità di circa 600 metri. Nella sua stiva, oro argento e smeraldi che tre secoli fa il veliero da guerra e da trasporto avrebbe dovuto portare in Patria. Il tesoro, che ha generato una contesa tra Colombia e Spagna, ammonterebbe a svariati miliardi di dollari.
La fine del «San José» si inquadra storicamente durante la guerra di Successione spagnola, che vide fronteggiarsi Francia e Spagna da una parte e Inghilterra, Olanda e Austria dall’altra. Un conflitto per il predominio sul mondo, compreso il Nuovo continente da cui proveniva la ricchezza che aveva fatto della Spagna la più grande delle potenze. Il «San José» faceva parte di quell’Invencible Armada che dominò i mari per secoli, armato con 64 bocche da fuoco per una lunghezza dello scafo di circa 50 metri. Varato nel 1696, nel giugno del 1708 si trovava inquadrato nella «Flotta spagnola del tesoro» a Portobelo, odierna Panama. Dopo il carico di beni preziosi, avrebbe dovuto raggiungere Cuba dove una scorta francese l’attendeva per il viaggio di ritorno in Spagna, passando per Cartagena. Nello stesso periodo la flotta britannica preparò un’incursione nei Caraibi, con 4 navi da guerra al comando dell’ammiraglio Charles Wager. Si appostò alle isole Rosario, un piccolo arcipelago poco distanti dalle coste di Cartagena, coperte dalla penisola di Barù. Gli spagnoli durante le ricognizioni si accorsero della presenza del nemico, tuttavia avevano necessità di salpare dal porto di Cartagena per raggiungere rapidamente L’Avana a causa dell’avvicinarsi della stagione degli uragani. Così il comandante del «San José» José Fernandez de Santillàn decise di levare le ancore la mattina dell’8 giugno. Poco dopo la partenza le navi spagnole furono intercettate dai galeoni della Royal Navy a poca distanza da Barù, dove iniziò l’inseguimento. Il «San José» fu raggiunto dalla «Expedition», la nave ammiraglia dove si trovava il comandante della spedizione Wager. Seguì un cannoneggiamento ravvicinato dove gli inglesi ebbero la meglio sul galeone colmo di merce preziosa. Una cannonata colpì in pieno la santabarbara, la polveriera del galeone spagnolo che si incendiò venendo inghiottito dai flutti in pochi minuti. Solo una dozzina di marinai si salvarono, su un equipaggio di 600 uomini. L’ammiraglio britannico, la cui azione sarà ricordata come l’«Azione di Wager» non fu tuttavia in grado di recuperare il tesoro della nave nemica, che per tre secoli dormirà sul fondo del Mare dei Caraibi .
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