2024-09-20
Grazie agli «angeli» della cappella Bardi Giotto trova pace e torna a splendere
Intervento di restauro sugli affreschi di Giotto alla cappella Bardi, Firenze (Ansa)
Dall’estate 2025, gli affreschi su San Francesco restaurati a Firenze saranno liberi dai cantieri. Previste visite sui ponteggi.La parola del passato è «tribolazione», quella del futuro è «pace». Già, perché il ciclo pittorico dipinto da Giotto e dedicato a San Francesco d’Assisi, che campeggia per 180 metri quadrati nella cappella Bardi della basilica fiorentina di Santa Croce, dall’estate 2025 potrà tornare a farsi ammirare come merita dopo centinaia di anni di «tormento», in cui fu prima nascosto e poi dimenticato. L’ultimo (e si spera decisivo) restauro della monumentale opera del pittore nativo di Colle di Vespignano, nella valle del Mugello, è iniziato a giugno del 2022. Ma solo oggi, dopo due anni di analisi e pulitura, si è arrivati finalmente a un punto di svolta: quello del confronto tra esperti sulle migliori soluzioni di conservazione per restituire, una volta per tutte, questo capolavoro all’Italia e al mondo.Riavvolgiamo il nastro. Gli affreschi di Giotto nella cappella Bardi di Firenze, che risalgono al 1317 circa, narrano la vita del patrono d’Italia seguendo la Legenda maior di Bonaventura da Bagnoregio, che peraltro Giotto aveva già illustrato nella basilica superiore di Assisi. Come nella predicazione francescana, anche qui è stata privilegiata la chiarezza delle scene per illustrare la biografia del santo, che si voleva comprensibile a tutti. Non solo: l’intenzione era anche quella di creare un parallelo fra San Francesco e Cristo, a cominciare dall’affresco delle Stimmate sulla parete sopra l’ingresso alla cappella. All’interno si trovano altri capolavori come la Rinuncia ai beni, l’Approvazione della Regola, la Prova del fuoco, la Morte. La cappella presenta vicende conservative turbolente. Le pitture murali di Giotto, considerato non più alla moda, furono persino nascoste: nel 1730, infatti, furono coperte da uno «scialbo», ossia un’imbiancatura a calce. Per riscoprire il ciclo pittorico fiorentino ci sono voluti ben 120 anni: solo nel 1851, mentre si stava pensando a una nuova decorazione, riemersero porzioni della pittura trecentesca. Nello specifico, fu il restauratore Gaetano Bianchi a riportare alla luce gli affreschi di Giotto. Tremendamente diffuse, però, le abrasioni e i graffi che ancora oggi segnano le pareti, dovuti proprio all’azione di rimozione dell’imbiancatura.L’assetto con cui i restauratori del 2022 si sono dovuti confrontare è quello conseguente all’intervento sul ciclo pittorico effettuato tra il 1957 e il 1958 da Leonetto Tintori, che con la guida del soprintendente Ugo Procacci scelse di rimuovere le aggiunte di Bianchi per restituire un Giotto il più possibile autentico, limitando al minimo le integrazioni pittoriche.L’attuale restauro delle Storie di San Francesco (questo il nome del ciclo pittorico) è possibile grazie alla collaborazione tra l’Opera di Santa Croce e l’Opificio delle pietre dure, con un significativo contributo della Fondazione Cassa di risparmio Firenze e dell’Associazione per il restauro del patrimonio artistico italiano (Arpai). Un progetto nato da lontano, grazie alla determinazione del compianto Marco Ciatti, già soprintendente dell’Opificio, che mise a punto, firmandolo, il primo accordo per tale restauro. L’Opificio delle pietre dure ha utilizzato le sue competenze consolidate facendo ricorso alle tecnologie più avanzate: preceduta da una fase di documentazione fotografica ad alta risoluzione in luce diffusa, radente e ultravioletta, la campagna diagnostica ha preso avvio da indagini strutturali, condotte mediante un’innovativa apparecchiatura no touch e raffinate con l’ausilio di una termocamera, per comprendere le condizioni della muratura e individuare eventuali disomogeneità, costitutive o di degrado. Sulla base di un rilievo laser scanner è stato ottenuto il modello 3D dell’intera cappella, sul quale sono state integrate le successive analisi. Le diverse problematiche che interessano il ciclo pittorico sono state affrontate selezionando materiali e metodologie dopo una preliminare fase di sperimentazione. Anzitutto, le porzioni di pellicola pittorica sollevate dall’intonaco sono state fatte riaderire al supporto con un adesivo acrilico. Per la fase di pulitura sono stati impiegati impacchi di acqua calda deionizzata, mescolata a pasta cellulosica e argilla o strati di carta giapponese, mentre si è optato per solventi organici quando è stato necessario rimuovere i fissativi sintetici applicati nel corso dall’intervento del secolo scorso. Sui costoloni e sui medaglioni delle vele è stato necessario l’uso del laser. Questa prima fase, che si è conclusa, ha permesso di ritrovare nella pittura di Giotto una freschezza e ricchezza di dettagli che è parte integrante dell’intensità del racconto. E che è godibile soltanto in una visione ravvicinata, di cui i cittadini di Firenze potranno godere a breve. Numerose le sorprese e tante poi le conferme sulle modalità di lavoro dell’artista. Anzitutto, è venuta alla luce una decorazione precedente, probabilmente geometrica. Grazie alla termovisione sono poi state individuate le buche utilizzate per sostenere i ponteggi, permettendo infine di precisare l’andamento e la struttura dei palchi del cantiere giottesco.La tecnica usata da Giotto era quella dell’affresco, ma il pittore su questa base è intervenuto ampiamente con colori stesi con un legante organico, probabilmente uovo. Ha potuto così contare su una gamma di colori più ampia, ottenendo effetti chiaroscurali e di tono più intensi, con esiti di grande realismo. Queste aree, che purtroppo sono in parte perdute, si possono rivedere grazie alla nuova campagna fotografica in Uv, che oggi vanta una strumentazione molto raffinata. Il contatto ravvicinato con le pareti ha poi rilevato particolari che hanno potuto riportare i restauratori accanto a Giotto e ai suoi aiuti, nel vivo del lavoro, come le pennellate di prova destinate a valutare il cambiamento di tono prodotto dall’asciugatura dell’intonaco, che sarebbero poi scomparse alla vista con la stesura cromatica a secco. Oggi sono visibili proprio per la perdita di queste campiture: vengono rivelate, ad esempio nel Transito di San Francesco.A pulitura ultimata è stata avviata la riflessione sulla conclusione del restauro e sulla presentazione finale del ciclo, affinché si possa ritrovare una visione d’insieme dalla quale emergano le straordinarie invenzioni, soprattutto spaziali, che lo caratterizzano. Una fase di «pace» insomma, meritata e doverosa. E che è ben stata evidenziata da Cristina Acidini, presidente dell’Opera di Santa Croce: «Qui si incontrano il patrono d’Italia San Francesco, con l’iconografia della sua vita, e Giotto, tra i padri della cultura italiana. Il ciclo è l’apice della sua arte, ma con una storia tribolata, segnata da perdite, lacune, interventi di restauro che ne hanno anche modificato l’immagine. Oggi siamo a un punto di svolta». A farle eco il presidente della Regione Toscana Eugenio Giani: «Ciò che i restauratori attuali stanno facendo sta segnando profondamente la storia della cultura e dell’arte della nostra terra. Tre giorni fa abbiamo celebrato a Chiusi della Verna, gli 800 anni dalle sacre stimmate di San Francesco, segno della sua santità. Per la Toscana è stato un anno di grande impegno francescano». Dicevamo che certi dettagli possono essere colti solo da vicino. Ed è per questo motivo che a restauro finito verranno tenuti per due mesi i ponteggi per permettere al pubblico di vedere da vicinissimo il capolavoro di Giotto. In anteprima, la Fondazione Cassa di risparmio Firenze intende tuttavia regalare ai residenti del capoluogo toscano e dei Comuni della Città metropolitana delle visite esclusive al cantiere. L’iniziativa parte a ottobre e dura fino a luglio 2025. Si intitola A tu per tu con Giotto, e necessita la prenotazione obbligatoria. In questi 10 mesi i fiorentini potranno salire sui ponteggi del cantiere a gruppi di cinque, accompagnati da personale appositamente formato per questa (unica) occasione.
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