2020-05-30
Giorno della memoria per i morti di Covid. Così la politica prova a pulirsi la coscienza
Corrado Augias propone, il Pd raccoglie: già pronta le legge bipartisan Ma rischia di essere un modo per imporre una verità ufficiale.Gli errori si susseguono con diabolica ostinazione, il caos creato a vari livelli da governanti e amministratori imperversare, ma l'importante è che sia stato finalmente individuato il lavacro di tutti i peccati: una «giornata della memoria per le vittime del Coronavirus». Corrado Augias, alla fine di aprile, ha proposto di istituire un momento di «ricordo e congedo». Maurizio Martina del Pd, a strettissimo giro, ha individuato la data del 18 marzo, cioè il giorno in cui una sterminata fila di camion militari condusse fuori da Bergamo decine e decine di bare. Le adesioni al progetto sono state bipartisan, e l'idea della «giornata della memoria» ha ottenuto la benedizione episcopale: monsignor Vincenzo Paglia, presidente della Pontifica accademia per la vita e Gualtiero Bassetti, presidente della Cei, hanno scritto a Repubblica offrendo appoggio alla campagna del giornale. In meno di un mese, dunque, è stato prodotto un testo di legge che giovedì è stato adottato all'unanimità dalla Commissione affari sociali della Camera. Prevede commemorazione tramite «programmi in televisione, attività nelle scuole e la possibilità di devolvere ore di lavoro alla ricerca» al fine di «onorare chi in prima linea ha lottato per fronteggiare l'epidemia e chi si è sacrificato per contenerne gli effetti». Dall'anno prossimo, par di capire, avremo una ricorrenza in più da segnare sul calendario delle festività laiche. Politici, editorialisti e intellettuali avranno un'occasione ulteriore per fare sfoggio di retorica. Associazioni, Onlus e istituzioni potranno organizzare mostre, rassegne e attività formative nelle scuole, ammesso che in classe prima o poi ci si torni. La cosiddetta «emergenza Coronavirus» sarà dunque cristallizzata sotto forma di «memoria», che è poi un modo per sfuggire alla Storia e, soprattutto, alle diverse interpretazioni che se ne possono offrire.Per cominciare, infatti, sarebbe interessante sapere che genere di «ricordo» del Coronavirus e dei suoi morti sarà imposto. Quale sarà la versione ufficiale in merito alla pandemia? Nei programmi televisivi ci ricorderemo anche dei posti mancanti in terapia intensiva dovuti ai tagli alla sanità? Saranno mandati in onda video e interviste in cui sindaci e amministratori di varie città, a pochi giorni dall'ecatombe, invitavano i concittadini a gustarsi l'aperitivo e a riempire vie e piazze? Il «ricordo» della strage nelle Rsa si trasformerà nell'ennesimo spunto per accusare questo o quell'amministratore di incompetenza?Il punto è che l'ossessione per la pacificazione, da anni, spinge politici e intellettuali a imbarcarsi nel disperato tentativo di creare una «memoria condivisa», cosa evidentemente impossibile da realizzare. Basti notare, per averne conferma, la ferocia delle polemiche che hanno accompagnato l'intero lockdown, nonostante i ripetuti (e ipocriti) inviti alla pacificazione nazionale e alla comune solidarietà. Il rischio, dunque, è che la «giornata del ricordo» diventi, nella migliore delle ipotesi, una ricorrenza insignificante e vagamente grottesca. Nella peggiore, assisteremo alla creazione artificiale di una «verità storica» che sarà imposta oltre ogni ragionevole dubbio, con la conseguente formazione di piccole «verità alternative» di volta in volta bollate come complottismi o tentativi di sabotaggio.Già oggi risulta abbastanza irritante il tentativo, da parte della classe politica (e della maggioranza di governo in particolare, se non altro perché ha più responsabilità gestionali), di nettarsi la coscienza con la melassa. L'istituzione di un rito collettivo non sacro per onorare i defunti appare come un triste paravento, soprattutto se a proporla è chi - per l'intera durante della «emergenza» - ha imposto la sospensione dei riti sacri, considerando l'anima un fastidioso orpello del corpo.Per assumere consapevolezza di ciò che è stato e per fare realmente in conti con il Coronavirus, dovremmo agire nel modo esattamente contrario. Invece di cementificare il ricordo, sarebbe consigliabile affondare i denti nella carne viva degli eventi, per quanto doloroso possa risultare. Masticarli e poi cavarne nutrimento per il futuro. Le famiglie e i singoli hanno già onorato i propri defunti privatamente, nella maniera scarna e glaciale in cui è stato loro concesso di farlo. All'agone pubblico spetta ora la discussione sul domani, sulle misure da prendere per evitare altri eventi di questo genere. Dovremmo parlare di come gestire la sanità, ad esempio, di come evitare che imprese, negozi e lavoratori vadano in rovina. Ma da questo punto di vista c'è ancora il buio totale, almeno a livello politico.Su un piano, diciamo, più «filosofico», l'istituzione di una «giornata della memoria» appare come il tentativo di prendere ancora una volta le distanze dalla morte. Di relegarla nel passato, su un piedistallo. Come ha scritto Yuval Noha Harari riflettendo sull'argomento nei giorni più duri dell'epidemia, mai come nell'era del Covid è emersa la nostra difficoltà nella relazione con la fine: «Dove, tradizionalmente, la morte era la specialità dei preti e dei teologi in tonaca nera, oggi è la specialità dei tizi con il camice bianco da laboratorio». La nostra civiltà non cerca di dare un senso alla morte, bensì tenta con ostinazione di sconfiggerla. Questo ci porta a considerare il corpo come una macchina che in qualche modo si vuol costringere a funzionare eternamente: tutto il resto non conta. Ci aspettiamo dunque che i medici e gli scienziati non si limitino a curare le malattie, laddove possibile, ma che risolvano tutti i problemi dell'esistenza. Infatti ci siamo completamente affidati a loro, anche quando le risposte che ci davano erano decisamente meno concrete di quelle fornite da sacerdoti e uomini di fede. Non solo: continuiamo a farlo, alimentando la confusione. E intanto i politici e le altre figure che dovrebbero guidarci - spiritualmente o meno - sono impegnate a discutere di come celebrare i defunti, invece di alzare lo sguardo e pensare a come evitare che ce ne siano altri, di morti, e non dovuti soltanto al Covid.