2021-05-29
Chi evoca piazzale Loreto ha dei seri problemi con libertà e democrazia
Sui social, intellettuali e docenti ridono del libro di Giorgia Meloni messo a testa in giù. Pochi casi limite? No, i segnali sono tanti: a sinistra c'è un'epidemia di destrofobia.C'è una notissima catena di librerie che porta il nome di un signore, miliardario, morto a Segrate nel 1972 mentre cercava, in nome della rivoluzione comunista, di far saltare un traliccio dell'alta tensione («su un terreno di sua proprietà», scrisse Giorgio Bocca). In quella catena di librerie può capitare, talvolta, che alcuni libri non esattamente allineati all'opinione dominante vengano, come dire, trattati in modo particolare. Su Facebook è stata pubblicata una foto piuttosto emblematica. L'immagineè stata scattata in un punto vendita della suddetta catena e ritrae la parete dedicata ai libri «in classifica». Sullo scaffale più in alto, al primo posto nelle vendite, appare il libro di Giorgia Meloni, Io sono Giorgia (Rizzoli). Da un certo punto di vista, è un incredibile ricorso storico: proprio in quella catena trionfa il volume firmato dalla principale esponente della destra italiana. C'è un problemino, però: tutte le copie del libro sono esposte al contrario, in modo che il viso dell'autrice in copertina abbia ribaltato. Il senso è abbastanza chiaro: la Meloni a testa in giù, evidente richiamo a piazzale Loreto. Certo, non in tutte le librerie di quella catena il libro della Meloni è esposto nello stesso modo, grazie al cielo. Può anche essere - facciamo i garantisti - che un libraio, nella fretta di esporre i volumi, li abbia posizionati male. E può persino darsi che l'immagine sia stata artefatta. O può certamente esser vero ciò che ci dice Massimiliano Tarantino del Gruppo Feltrinelli (la catena di cui trattiamo è questa, ovviamente): «I nostri librai già stanno provvedendo a rimettere i libri nella giusta posizione. Noi non c'entriamo, sono atti dimostrativi di clienti che si sono verificati in alcune librerie: spostano i volumi poi fanno le foto. Noi ci dissociamo». Bene, bravi. Ma, in fondo, non cambia moltissimo. Perché a dare l'idea del clima che ancora si respira da queste parti, più ancora della foto incriminata, sono i commenti che la accompagnano su Facebook. L'immagine in questione è stata pubblicata (e poi rimossa dopo qualche ora) da Simon Levis Sullam, professore associato di Storia contemporanea all'Università Ca' Foscari di Venezia. Ieri era impegnato in un convegno sull'antisemitismo e il complottismo, e via email ci ha risposto di non poter essere contattato per telefono. Gli abbiamo domandato se avesse scattato lui la foto e se l'avesse per caso condivisa onde denunciare un discutibile comportamento da parte della Feltrinelli o di un cliente. Il professore ci ha risposto di non aver scattato lui la foto, mentre sul resto ha taciuto. Non possiamo fare altro, allora, che basarci sui commenti che Sullam ha postato accanto allo scatto. Una sua amica scrive: «Cavolo… a testa in giù è proprio brutto». E il professore risponde: «Pazienza è temporaneo-solo un po' di mal di testa!». Insomma, sembra proprio che allo storico Sullam l'idea di trovare Giorgia Meloni a testa in giù sembri molto divertente. C'è anche qualcuno, però, a cui la foto suscita una strana indignazione. È il caso della scrittrice Igiaba Scego, nota paladina dell'immigrazione, pubblicata da editori importanti, collaboratrice di testate prestigiose. Proprio sulla pagina di Sullam commenta, testuale: «Secondo me questi (come il boicottaggio) sono state le cose che hanno fatto schizzare questo libro in cima alle classifiche delle vendite. Sono azioni controproducenti. Fanno solo pubblicità. Andava ignorato questo libro. Invece… sinistra unita ad aiutare Giorgia». Chiaro, no? A questa fine intellettuale non dà fastidio che qualcuno scherzi sull'idea della Meloni appesa a testa in giù. Non la fa irritare la violenza, anche solo verbale, nei confronti di una donna e di una madre. No: la Scego si arrabbia perché in questo modo si fa pubblicità a un libro che avrebbe meritato una censura più nascosta e silenziosa. Direte: vabbè, è un singolo caso in Italia, riguarda quattro sedicenti intellettuali che giocano a fare gli antifascisti fuori tempo massimo. In realtà, questa vicenda è simile ad altre di cui abbiamo già avuto modo di raccontare, e a questo punto i «singoli casi» iniziano ad essere un po' troppi. Della libraia di Tor Bella Monaca che si rifiuta di vendere il libro della Meloni, ad esempio, molto si è parlato. E ovviamente non sono mancati i «pensatori democratici» pronti a darle ragione. Sul Fatto quotidiano, lo storico dell'arte Tomaso Montanari ha scritto che «rifiutarsi di vendere un libro della leader di un partito così compromesso col fascismo non solo è lecito, ma encomiabile e ormai necessario». Splendido: un docente universitario che ha grandissimo spazio in televisione e sui giornali e che nel 2020 è stato nominato da Dario Franceschini presidente della Fondazione archivio museo Richard Ginori, sostiene con convinzione la necessità della censura di un libro. Qui ci sono almeno tre punti su cui fermarsi a riflettere. Primo punto. In Italia ci sono librai (grandi e piccoli) che, per motivi ideologici, nascondono, maltrattano o si rifiutano di vendere volumi a loro sgraditi. Hanno il diritto di farlo, come no. È curioso notare, però, che costoro amano definirsi «democratici», poi però non tollerano le opinioni altrui. Non solo: a propria difesa invocano la «libertà di impresa» che esiste proprio grazie alle visioni politiche che loro hanno sempre osteggiato. La Feltrinelli si dissocia da certi atti? Ottimo, però di casi di libri «oscurati» ne abbiamo già contato qualcuno nei loro negozi, e forse un filo più di attenzione e apertura mentale non guasterebbe. Secondo punto. Esiste, dalle nostre parti, una classe intellettuale che si riempie costantemente la bocca di belle parole sui «diritti», salvo poi mostrare una ferocia inaudita nei confronti dei «nemici politici», comprese le donne, gli omosessuali, gli stranieri e tutte le categorie «protette» (che smettono di esserlo se «di destra»). C'è, infine, un terzo punto riguardante il mondo accademico. Marco Bassani della Statale di Milano viene sospeso per un post irridente su Kamala Harris. Marco Gervasoni dell'università del Molise, accusato di vilipendio al capo dello Stato, dopo aver subito una perquisizione viene dipinto dai giornali come una specie di mostro. In compenso, ci sono docenti che invitano a discriminare (se non a malmenare) gli studenti di destra. Docenti che pubblicano post su Facebook con la Meloni a testa in giù. Altri docenti (Giovanni Gozzini di Firenze) che si dilettano a insultare la stessa Meloni in diretta radiofonica. Vero, Gozzini è stato sospeso, ma ancora una volta dal mondo intellettuale sono arrivati pelosi distinguo, mezze difese, accuse alla destra di «fomentare l'odio». Sinceramente: non ci piace il vittimismo destrorso; ci annoia a morte, perché ci tocca farlo da anni, scrivere dell'ipocrisia e dei proverbiali «due pesi e due misure». Ma è un dato di fatto: in Italia esiste una parte politica, la sinistra, che ha seri problemi con la democrazia, la pluralità delle idee e l'odio. Amici progressisti, avete un disturbo chiamato «destrofobia». È ora che andiate a curarvi.
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)
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