2021-10-22
Giorgetti l’atlantista vola negli Usa e incontra gli avversari di The Donald
Giancarlo Giorgetti (Ansa)
Il ministro dello Sviluppo economico visita gli Stati Uniti e negli incontri istituzionali ribadisce lo sguardo Oltreoceano del governo. In agenda anche strette di mano con l’ala liberal del Gop ed esponenti demRafforzare i rapporti transatlantici. È all’insegna di questo obiettivo che è iniziato ieri il tour statunitense di Giancarlo Giorgetti. Un viaggio della durata totale di tre giorni, in cui il titolare del Mise avrà modo di avere incontri con varie figure del mondo politico e istituzionale d’Oltreatlantico. Nella giornata di ieri, il ministro leghista si è recato in visita ai laboratori di Moderna e all’Harvard Business School, dove ha parlato di competizione globale e innovazione. In serata, ha poi incontrato il governatore del Massachusetts, Charlie Baker. Oggi, secondo quanto riferito da Agenzia Nova, Giorgetti dovrebbe invece vedere due esponenti dell’amministrazione Biden, come il segretario al Commercio Gina Raimondo, e l’amministratrice dell’Agenzia per le piccole imprese, Isabel Guzman. Inoltre, il ministro incontrerà i membri del Consiglio economico nazionale degli Stati Uniti, per poi visitare lo stabilimento della Lockheed Martin. Durante l’ultimo giorno, è infine prevista una visita al cimitero di Arlington e un incontro con l’ambasciatrice italiana negli Stati Uniti, Mariangela Zappia, oltre alla partecipazione alla serata di gala della National Italian American Foundation. A livello generale, lo abbiamo detto, tale tour ha come obiettivo principale quello di consolidare i rapporti tra Roma e Washington. Un elemento, questo, che ha da sempre contraddistinto l’esecutivo di Mario Draghi e che rappresenta non a caso il fattore di maggiore discontinuità rispetto alla linea significativamente filocinese che fu del governo giallorosso. In questo quadro, Giorgetti rappresenta - insieme allo stesso premier e al ministro della Difesa Lorenzo Guerini - uno dei profili più graniticamente atlantisti dell’attuale esecutivo: un atlantismo che il titolare del Mise ha più volte dimostrato in questi mesi, contrastando i tentativi di influenza cinese soprattutto nel delicato settore delle telecomunicazioni. Insomma, in termini geopolitici l’obiettivo di questo viaggio è chiaro. Alcune speculazioni riguardano semmai le presunte manovre politiche che il ministro starebbe approntando oltreatlantico. Certi ambienti lasciano infatti intendere che, con questo viaggio, Giorgetti starebbe cercando di trovare margini di maggiore avvicinamento al Partito democratico americano, oltre che ai settori anti trumpisti dell’universo repubblicano. Risulterebbero funzionali a tal fine non solo gli incontri con la Raimondo e la Guzman, ma anche, se non soprattutto, quello con Baker. Il governatore del Massachusetts appartiene infatti all’ala liberal del Partito repubblicano ed è noto per essere un aspro critico di Donald Trump: negli scorsi anni, Baker ha infatti attaccato l’allora presidente statunitense su vari fronti (dalle politiche ambientali all’aborto, passando per l’immigrazione). Tutto questo, mentre - nel settembre del 2019 - si disse addirittura favorevole all’inchiesta per impeachment contro di lui. Ora, se l’interpretazione «politica» del viaggio statunitense di Giorgetti fosse fondata, si registrerebbero dei rischi impliciti. Innanzitutto il Partito democratico americano sta attraversando oggi una fase di profondissima spaccatura interna su un imprecisato numero di questioni (dall’immigrazione all’economia): una spaccatura che non è affatto di buon auspicio in vista delle elezioni di metà mandato che si terranno il prossimo anno. Dovessero i dem perdere anche soltanto una camera, l’agenda di Joe Biden, già oggi impantanata, rischierebbe il tracollo definitivo, gettando un turbine di incognite sulle prossime elezioni presidenziali. In secondo luogo, l’establishment dell’Asinello intrattiene già storici legami con il Pd, ragion per cui la Lega ai suoi occhi rischierebbe perennemente di rivelarsi come figlia di un dio minore. In terzo luogo, è pur vero che Baker nel suo Stato fosse un tempo popolare. Ma è altrettanto vero che, secondo quanto recentemente riferito da Politico, sia al momento in significativo calo nei consensi. Non va d’altronde trascurato che, ad oggi, la fazione anti trumpista sia fortemente minoritaria in seno al Partito repubblicano a livello nazionale. Quello stesso Partito repubblicano che, nonostante i tentativi di ridurlo a una macchietta da parte di qualcuno, trova il suo cuore pulsante in una serie di valori affini a quelli del Carroccio (dalla riduzione delle tasse al contrasto alla Cina, passando per l’immigrazione clandestina e i temi eticamente sensibili). Giorgetti è uomo troppo accorto e navigato per non rendersi conto di simili rischi. È quindi in questo senso che saprà probabilmente trovare il giusto equilibrio tra la dimensione politica e quella istituzionale, sapendo distinguere adeguatamente i campi e magari evitando quelle dirompenti svolte internazionali che qualcuno tende ad attribuirgli. Del resto, anche prima di diventare ministro, Giorgetti ha sempre (giustamente) sostenuto che la collocazione dell’Italia debba essere atlantica, a prescindere dal colore politico del presidente americano in carica. In tal senso, il titolare del Mise non è il tipo da confondere facilmente le esigenze della Realpolitik con i rapporti internazionali tra partiti. Perché, forse, adombrare l’ipotesi di fughe in avanti filo democratiche serve soltanto a chi cerca di seminare (un po’ strumentalmente) zizzania all’interno della Lega.