2024-06-24
Massimo Giletti: «Mi avevano abbandonato tutti. Ora torno con Ustica. E poi...»
Il giornalista porta in Rai uno speciale sulla strage, con le parole di uno 007 francese che riaprono il caso: «E ho la testimonianza di un uomo dell’Aeronautica che sarà decisiva».È determinato ad andare fino in fondo. La sua voce tradisce a tratti anche un po’ di agitazione. Domani torna in tv, domani torna in Rai. Le anticipazioni di quello che farà vedere al pubblico hanno già fatto molto rumore. «E c’è molto di più di quel che avete già visto e letto», assicura alla Verità. Su Rai 3, alle 21,20, martedì sera Massimo Giletti conduce Ustica, una breccia nel muro, una puntata speciale sui misteri della tragedia dell’aereo DC 9 dell’Itavia, precipitato il 27 giugno 1980 nel mar Tirreno meridionale con 81 passeggeri, di cui 13 bambini. Una delle tesi circolate negli anni è che l’aereo fu abbattuto da un missile francese. Ieri l’anticipazione: domani su Rai 3 andranno in onda le affermazioni registrate da Giletti di un ex addetto militare dell’ambasciata francese a Roma alla fine degli anni Ottanta, un uomo dei servizi. Dice che gli fu ordinato di non consegnare agli italiani i tracciati radar della base di Solenzara in Corsica e che quindi all’Italia non sono mai arrivate alcune informazioni. Mentì: gli fu detto di riferire che il radar era in manutenzione. L’intervista si è svolta in Francia, dove il giornalista ci racconta di aver cercato a lungo lo 007 francese. Ci dobbiamo aspettare altri colpi clamorosi dalla sua inchiesta?«Quel che ancora nessuno sa è che spero di poter far ascoltare la testimonianza di un uomo dell’Aeronautica che sarà decisiva. Sarò in diretta, e fino all’ultimo non so ancora che cosa accadrà, ma è un uomo che sono convinto possa decidere di mantenere la sua parola. Certo, il tema è delicato e tragico».Che cosa si aspetta accadrà, dal giorno dopo le rivelazioni?«Chiederemo ai politici di aprire un cassetto in cui c’è un documento segretissimo di cui siamo venuti a conoscenza. Sono tre mesi che lavoro a questo speciale perché se c’è una cosa che non mi è mai piaciuta è che sulle stragi italiane non si sia mai raggiunta una verità».Le sentenze su Ustica però ci sono.«A Boston un secolo fa giustiziarono sulla sedia elettrica gli italiani Ferdinando Sacco e Bartolomeo Vanzetti con una sentenza totalmente falsa. C’è ancora libertà di indagare su questa vicenda, nonostante le sentenze».Maurizio Gasparri e Carlo Giovanardi si sono rivolti ai vertici Rai ancor prima delle anticipazioni: il servizio pubblico, dicono, non può fare da megafono di tesi infondate.«Non amo le critiche preventive. Sono tornato a fare un’inchiesta, ed è il mio modo di vivere la televisione. Sono un eretico che cerca la verità. Proporremo al pubblico le verità di alcune persone in cui mi sono imbattuto e che su una vicenda dai contorni inquietanti hanno qualcosa da dire». Perché hanno deciso di parlare ora, con lei?«Sarà che hanno trovato una sintonia, che credono nell’idea del programma… Non è la prima volta che mi accade in carriera. Sono uno che va a incontrare le persone, le corteggio, creo un rapporto».Torna in Rai, ed è la seconda volta nel 2024 dopo lo show per i 70 anni dell’azienda. Come l’hanno accolta?«Quella serata di febbraio è stata un grande successo. Questa volta ci torno con un piccolo e agguerrito gruppo di lavoro, dimostrando anche che è ancora possibile lavorare con una produzione interna. Ho ritrovato Gabriella Oberti, con cui iniziai la carriera a Mixer con Giovanni Minoli, ora capostruttura della direzione Approfondimento».Meno di un mese alla presentazione dei palinsesti, si parla di un suo nuovo programma da più di sei mesi… ci svela finalmente qualcosa?«Facciamo che varchiamo il mare di Ustica e poi si vede. Sono giorni difficili perché io non do mai niente per scontato».Ma il programma ci sarà?«Quando lo vedremo in onda sarà ufficiale. Per ora sorrido e ci credo».Sarà un talk show?«A 62 anni non posso rinunciare a fare inchieste. Ce n’è bisogno, e il successo di programmi come Report lo dimostra. L’importante è che non siano mai ideologiche e non mirate a colpire una precisa area politica. Questo è il mio mestiere, voglio continuare a farlo e quel che mi è successo mi ha dato il coraggio per andare avanti, fare giornalismo seriamente e non girare la testa dall’altra parte». La Cassazione ha confermato la decisione del tribunale di Firenze sugli arresti domiciliari per Salvatore Baiardo per la calunnia ai suoi danni per la presunta foto di Berlusconi con il boss Giuseppe Graviano.«Guardi, io su questa vicenda ho parlato il meno possibile in due anni e ho lasciato fare il loro lavoro ai giudici. L’unica cosa che citerò è l’intercettazione della Direzione investigativa antimafia di una telefonata del dottor Marcello Dell’Utri all’ufficio legale di Mediaset (in realtà si tratta di Fininvest, ndr). Diceva che il mio programma avrebbe potuto influenzare il lavoro della magistratura in vista del processo. Ci definiva delinquenti. Basta questo per dimostrare quanto fossi ritenuto scomodo. Il resto sono chiacchiere».Nel corso delle indagini sui presunti mandanti delle stragi, la hanno intercettata con un trojan nel cellulare, senza che fosse indagato.«Ecco, questo è un fatto a mio parere gravissimo. E la cosa più spiacevole è stato il silenzio dell’Ordine dei giornalisti su questa vicenda. Mai mezza parola per difendermi».Essere stato intercettato l’ha fatta sentire meno libero? Meno al sicuro?«Vivo sotto scorta da anni, e so che al telefono può sempre succedere qualcosa. È faticoso, fa parte del meccanismo, non ci si può fare granché. Negli ultimi anni un bel po’ di cose sono successe. Occorre essere forti. Certo, se spariscono tutti… la sofferenza c’è».Chi è sparito?«Faccio prima a dirle chi è rimasto. Non dimenticherò mai Michele Santoro che da Lilli Gruber su La7 disse che era inutile parlare di libertà di stampa in Russia mentre chiudevano Non è l’Arena senza apparente motivazione. E non dimentico l’articolo scritto da Francesca Fagnani per sostenermi. Sono stati gli unici che hanno avuto il coraggio di esporsi».Pensa che attraverso la penna della Fagnani sia arrivata anche la solidarietà del suo compagno?«Con Enrico Mentana ho sempre avuto un rapporto solido, che questa vicenda non ha incrinato. A differenza di quello con altri dirigenti di La7».Cosa le piace guardare in tv?«Trovo straordinaria la bravura di Maria De Filippi».Giletti che guarda cantanti e ballerini di Amici?«Ma pure Uomini e donne: dal punto di vista sociologico è di estremo interesse. Non dimentico che Maurizio Costanzo è stato il re dell’alto e del basso, ne ha fatto una scuola. Mi piace poi il sorriso di Gerry Scotti, l’ironia di Piero Chiambretti. Al di là dei soliti noti… come Fiorello, ovvio». Siete amici?«Si professano tutti suoi amici, io non oso ma non dimentico di quando finì l’esperienza in Rai: aprì la sua “edicola” solo per me, per dire che era una vergogna».Dicono lei sia caratteriale. «Sono diretto, senza filtri. Pretendo moltissimo da me stesso, e chi sta con me deve stare al passo. Nessuno è perfetto e sono il primo a non esserlo, ma il lavoro è una cosa molto seria. Me l’ha insegnato Minoli».Iniziò con lui. «L’ho incontrato la settimana scorsa nei corridoi di viale Mazzini, ci siamo abbracciati a lungo davanti alla stessa porta a cui feci la posta per un anno intero, per potergli parlare e farmi assumere, da giovanissimo».Quanti anni aveva?«Venticinque, forse ventisei».E il fuoco sacro del giornalismo?«A dire il vero dopo la laurea in Giurisprudenza a Torino ed esperienze di studi e ricerca all’estero avevo un solo interesse: tornare a casa da mio padre e lavorare nella sua fabbrica tessile fondata dal bisnonno Pier Anselmo nel 1884».Perché questo suo desiderio?«Perché la prima volta che sono entrato in stabilimento avevo 8 anni e avvitavo bulloni per qualche ora in officina. Adoravo il profumo dei filati, dell’azienda. Ma il rapporto con mio padre Emilio si incrinò, non fu semplicissimo, e allora l’idea della televisione nacque all’improvviso, come un atto di ribellione anarchica. Non potendo fare quel che volevo, avrei cercato di fare quello che mi piaceva. E quel che mi piaceva era guardare Minoli in tv».Ci mise molto però a convincerlo. «Sì, tra appuntamenti disdetti e altri durati pochi minuti, mi mise alla prova per vedere se fossi davvero intenzionato e non un figlio di papà viziato».L’azienda c’è ancora?«La portano avanti i miei fratelli, sì».Sento nostalgia nella voce?«La nostalgia c’è sempre. Per i primi anni in Rai, in agosto tornavo in fabbrica e facevo di tutto perché il personale lavorava a ritmo ridotto. Spaccavo chili di balle di cotone, inscatolavo le rocche… un lavoro massacrante, una scuola di vita pazzesca».Con gli anni è diventato più cinico?«No, altrimenti avrei appeso la telecamera al muro. Le emozioni sono importanti. Lavorare in Rai in questi mesi è stato tornare a casa, perché io sono cresciuto qui. Ma anche La7 mi ha dato molto: guardo sempre al lato migliore delle cose».Non è finita bene. «Lo dico lo stesso, anche se Urbano Cairo mi ha ferito perché pensavo avessimo un rapporto fraterno. Nel mio cuore, avevo una visione molto positiva di lui, e in realtà quella resta. Un giorno spero mi vorrà dire la verità. L’odio o il rancore non mi appartengono, ho valori cristiani e senza la capacità di perdonare sarebbe inutile andare a messa tutte le domeniche».Ha già perdonato?«Verrà il momento in cui saremo io e lui e mi racconterà cosa è davvero successo. Un sospetto ce l’ho, anzi una certezza. Ma non gliela dico».