2023-04-25
Da «Giggino il bibitaro» a genio. Super Mario ha fatto il miracolo
Luigi Di Maio, sullo sfondo Mario Draghi (Imagoeconomica)
È bastato l’incarico in Ue (sponsorizzato da Draghi) perché l’ex leader del M5s diventasse all’improvviso un politico competente e acclamato da quegli stessi intellettuali che, per anni, gli hanno dato dell’ignorante.Accidenti, avevamo un genio in casa e non ce n’eravamo accorti. E dire che per anni commentatori e editorialisti di tutti i più importanti giornaloni hanno fatto a gara per spiegarci quanto Giggino Di Maio fosse inadeguato a qualsiasi ruolo istituzionale. Ricordate? Si davano di gomito scherzando sul bibitaro di Pomigliano d’Arco, lo steward del San Paolo, l’uomo dalla grammatica incerta e dai congiuntivi inesistenti, incapace di avere financo un rapporto con la geografia, figuriamoci con la diplomazia. E invece adesso gli stessi ci spiegano che siamo di fronte a un gigante della politica, un uomo di straordinarie «capacità», con «esperienza di relazioni internazionali», «ministro stimato» e «candidato forte» per qualsiasi ruolo planetario. Miracolo del venerabile San Draghi apostolo e martire: basta che uno tocchi il lembo del suo mantello e guarisce da tutto. Persino dall’ignoranza. Così la nomina dell’ex bibitaro a inviato Ue nel Golfo Persico, per il solo fatto di essere avvenuta contro il parere del governo italiano e su indicazione di superMario, è salutata con urla di gioia dalla meglio servitù dell’establishment internazionale. Prendete, per esempio, Irene Tinagli, oggi europarlamentare del Pd, dopo essere stata fondatrice del think tank Italia Futura di Luca Cordero di Montezemolo e colonna portante della mirabolante Sciolta Civica di Mario Monti. Trattasi di professoressa, economista, da sempre paladina dei competenti, una che in passato ha avversato Di Maio a tal punto da dedicargli un libro: La grande ignoranza. Dall’uomo qualunque al ministro qualunque, l’ascesa dell’incompetenza e il declino dell’Italia in cui si lamentava, per dire, che la maggior parte dei politici italiani non fosse nemmeno laureato. Una, insomma, che fino all’altro giorno si domandava scandalizzata: ma come può diventare ministro uno come Di Maio? Ecco: la risposta non è mai arrivata. In compenso la medesima Irene Tinagli oggi ci spiega con un’intervista sul Corriere della Sera che non c’è nulla da scandalizzarsi per la nomina di Giggino a commissario Ue nel Golfo perché «ha capacità», ha «esperienza di governo e di relazioni internazionali», ed è «italiano». A questo punto sorge un dubbio: che quando faceva il ministro fosse straniero? Di Maio è diventato italiano solo ora? E queste sue grandi capacità dove le nascondeva? Quando, per dire, confondeva il Cile con il Venezuela, l’Ucraina con la Moldavia, quando considerava la Russia un Paese del Mediterraneo e non sapeva distinguere tra un consigliere di Trump (John Bolton) e un cantautore (Michael Bolton), dov’erano finite le sue capacità? Quando scrisse su Le Monde un articolo per inneggiare la «tradizione democratica millenaria della Francia» (nota bene: millenaria), rivelando di sapere tutto sull’elezione a suffragio universale di Pipino il Breve e sulle dinamiche parlamentari di Carolingi e Merovingi, perché nessuno riusciva a considerarlo altrettanto capace? Solo perché non era laureato? E ora, invece, lo è? Così? D’improvviso? Magicamente? Laurea ad honorem in draghismo internazionale comparato? Forse sì. Basta leggere sulla Stampa Nathalie Tocci. Lei, direttrice dell’Istituto Affari Internazionali, già in odore di conflitto d’interessi tra poltrone all’Edison e nelle istituzioni, già collaboratrice di Josep Borrell (otto mesi di contratto, tre giorni lavorati), si è sempre presentata come la fustigatrice degli incompetenti al punto da disertare i talk show televisivi che osavano far parlare di problemi internazionali qualcuno che non avesse una laurea in relazioni internazionali. E adesso di colpo, invece, scopre che per affrontare i problemi internazionali (non solo per parlarne: per gestirli) va benissimo Luigi Di Maio, noto per la sua laurea in sinologia, che gli fu assegnata quando si trovò di fronte il leader cinese Xi Jinping e lo chiamò Ping, probabilmente considerandolo il fratello di Pong. E noto anche per la sua laurea in lingue anglofone, che conquistò sul campo con un memorabile documento del suo ministero, valevole come tesi di dottorato, in cui affidandosi a Google translate finì per trasformare il suo vice Manlio Di Stefano in «Manlio of Stefano». Sarà per queste sue straordinarie competenze che , come ci spiega Tocci, «bisogna esultare» per la sua nomina, perché è un «candidato forte», un «ministro apprezzato» anzi «stimato dai suoi ex colleghi». Da tutti. Chissà, forse persino anche dai rumeni, anche se (con la sua grande competenza) li bollò tutti come ladri. Non è straordinario? Per anni questi guru dell’establishment hanno attaccato l’Italia, hanno tifato Francia o Spagna purché se magna, hanno esposto bandiere tedesche o olandesi pur di andare contro il nostro Paese. Adesso all’improvviso si scoprono patriottici. Per Di Maio. Proprio lui. Il nuovo vessillo dei Draghi boy nel mondo è Giggino. Uno che, per dire, sa portare in alto la bandiera dell’Italia, ma solo se non apre bocca. Altrimenti l’Italia è spacciata. E l’italiano di più. Indimenticabili infatti le sue perle, come quando riuscì a sbagliare il congiuntivo del verbo spiare per tre volte di fila. Oppure quando tuonò: «Ho sempre detto che volessimo fare», «Qualora egli staccava», «Se un giorno verrei urlerei». Un giorno per giustificare uno dei suoi tanti strafalcioni, i collaboratori scrissero una nota per dire che il ministro «aveva letto una mail ma non l’aveva capita». Perfetto: siamo tranquilli, no? Lui legge ma non capisce. È proprio un «candidato forte».Per questo, sempre sulla Stampa, Massimiliano Panarari, sociologo della comunicazione e docente alla Luiss, si spertica nelle lodi su Giggino, sulla sua «fitta trama di contatti e relazioni internazionali», sul «talento camaleontico», «la proteiforme carriera che ha preso il volo», l’«outfit giacca e cravatta» (pensate un po’ che genio: non è che va in giro in mutande, no: giacca e cravatta. Dev’essere proprio un fenomeno), l’«abilità manovriera» e la «facoltà di accreditamento presso svariati establishment». Per fortuna non c’è pericolo che Di Maio si monti la testa: se anche legge, infatti, sappiamo che non capisce. Ed è per questo, forse, che il professor Panerari si spinge a definire la sua nomina a commissario Ue con toni quasi mistici: «Si tratta di una buona novella», dice. Proprio così: la buona novella. In pratica il vangelo. In principio fu il Verbo. Peccato che fosse sbagliato.
Laura Boldrini e Nancy Pelosi (Ansa)
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