2021-12-15
Giapponesi a caccia nel nostro mare. Pescherecci italiani tirati in secca
(Elisabetta Zavoli/Getty Images)
Le nuove regole dell’Europa colpiscono l’attività ittica tradizionale facendo calare le nostre quote di prelievo e penalizzando le piccole imbarcazioni. Mediterraneo aperto al resto del mondo.Ancora una volta l’Europa ci ha preso all’amo. L’Italia è chiamata a pagare prezzi sempre più alti, l’ultimo è quello che riguarda i pescherecci. L’accordo raggiunto tra i ministri agro-ittici a Bruxelles per le quote di pesca nel Mediterraneo occidentale per il prossimo anno, ancora una volta su spinta del cosiddetto green deal, penalizza la produzione continentale e italiana in particolare. Per avere un’idea, l’Europa preleva il 9% del pesce esistente al mondo e importa circa l’80% del suo fabbisogno per quasi 28 miliardi di euro (su un fatturato complessivo del settore ittico di 33,5 miliardi), pari a 6,3 milioni di tonnellate di pesce su un totale di 8,5 milioni di tonnellate consumate. E manco a dirlo il primo esportatore e produttore mondiale di pesce al mondo è la Cina che preleva 10,4 milioni di tonnellate di pescato e ne vende per quasi 35 miliardi di euro. Nonostante questo, la Commissione vuole lasciare a terra sempre più barche. La proposta di Ursula von der Leyen era di ridurre i prelievi in Mediterraneo del 7,5% in un anno, il compromesso è sul 6%, ma l’Italia negli scorsi anni ha già avuto riduzioni di oltre il 13% e due anni fa l’allora ministra Teresa Bellanova riuscì a scongiurare un ulteriore taglio del 10%. Oggi l’Unione europea è tornata alla carica e il taglio ci sarà. Il ministro agro-ittico Stefano Patuanelli (pentastellato) per ora non ha commentato l’accordo raggiunto in questa tornata del Consiglio Ue, ma basta leggere il dispositivo per sapere che è, per quel che riguarda l’Italia, al ribasso. Va anche detto che l’Europa non è ancora riuscita – sempre parlando di pesca – a sottoscrivere un accordo con la Gran Bretagna (di mezzo ci sono gli interessi francesi) semplicemente perché Londra sta facendo valere le sue ragioni economiche. E in attesa di sbrogliare la matassa della Manica, l’Europa decide di fare un accordicchio su alcune specie valido tre mesi, riducendo drasticamente le sue quote di prelievo. Ma cosa impone all’Italia l’accordo che è una mitigazione dei diktat della Commissione? S’introducono quote di cattura per i naselli e per i gamberi sia rossi che viola e anche per i gamberoni e dal prossimo anno verranno fermati anche i palangari o palamiti, una pesca tradizionale soprattutto italiana. Viene allargato il fermo pesca in Adriatico e lungo le coste del Tirreno e a essere colpita è soprattutto la piccola pesca. Il commissario europeo all’Ambiente, Virginijus Sinkevicius, ha detto: «Abbiamo salvato il 20 per cento dei posti di lavoro di Francia, Spagna e Italia che, se non interveniamo poiché diminuiscono gli stock di pesce, da qui al 2025 non avranno più da catturare e abbiamo impostato anche il lavoro da qui al 2030». Tradotto significa pescare meno, ma non pescare tutti. Perché – e qui arrivano le dolenti note – le quote imposte su alcuni pesci del Mediterraneo (l’accordo riguarda anche il Mar Nero e l’Atlantico) penalizzano proprio l’Italia. Sui nostri quantitativi di prelievo i gamberi rappresentano appena il 10%, il nasello il 7%. Inoltre se paragonato con gli altri due Paesi europei che operano in Mediterraneo occidentale l’Italia è di gran lunga il Paese più penalizzato: abbiamo in totale 139.000 tonnellate di stazza lorda contro le 180.000 della Francia e le 310.000 della Spagna; abbiamo perso negli ultimi dieci anni il 20% delle nostre barche che sono tra le più piccole del Mediterraneo visto che la piccola pesca rappresenta il 28% della nostra produzione. Dunque quella italiana è solo una pesca di prossimità (al registro navale sono iscritti solo 9 pescherecci oceanici), ma ci vengono applicati gli stessi criteri dei nostri concorrenti. Nel 2020 la pesca italiana si è attestata intorno a 130.000 tonnellate, per un ricavo di 642,4 milioni di euro. In un solo anno le nostre barche hanno perso il 26% della produzione e il 28% dei ricavi. Nel 2020 si è pescato causa Covid e limitazioni europee, che sono comunque scattate, per una media di 130-140 giorni in Adriatico e di circa 180 in Tirreno. Ebbene con il nuovo accordo queste giornate diminuiranno ancora per arrivare al 6% di riduzione nel 2022 e poi a scalare. La misura si applicherà ai pescherecci da traino; per i pescherecci con i palangari le quote saranno ridotte il prossimo anno e drasticamente tagliate dal 2023. Insomma ci tolgono la possibilità di pescare dal nostro mare dove arrivano i giapponesi a fare incetta di tonni mentre le barche siciliane e sarde stanno all’ancora, dove tunisini, libici, egiziani, marocchini fanno come vogliono e poi ci rivendono il pesce. I nostri famosi 8.000 chilometri di coste rischiano di diventare un deserto: i costi di carburante crescenti e le catture calanti faranno sì che si smetterà di pescare. Peraltro abbiamo già perso in dieci anni 8.000 posti di lavoro sulla flotta e a terra. Costringendoci a importare pesce per 7 miliardi di euro, quasi l’85% del nostro fabbisogno. Ma è l’Europa che ce lo chiede e noi abbocchiamo.
Il cancelliere tedesco Friedrich Merz (Ansa)
Mario Draghi e Ursula von der Leyen (Ansa)