
Eminenza assoluta nella cerchia più ristretta di Berlusconi, è stato il consigliere maggiormente acuto e affidabile del Cavaliere, sapendone spesso mitigare gli eccessi. Senza mai alzare la voce (anzi, senza parlare) ha vissuto una vita all’incrocio di tutti i poteri.Cognome e nome: Letta Gianni (Avezzano, L’Aquila, 1935). Dal 1973 al 1987 direttore del Tempo di Roma.Prima dell’incoronazione, all’attività giornalistica aveva affiancato quella nella Federazione nazionale dei cavalieri del lavoro. Un doppio impiego «a tempo pieno» - ha confermato a Luigi Tivelli autore di Chi è Stato?-Gli uomini che fanno funzionare l’Italia (2007) - grazie al quale sarebbe avvenuto il fatal incontro con Silvio Berlusconi, che riceverà l’onorificenza di Cavaliere nel febbraio 1976.E che se ne ricorderà nel 1987 innalzandolo alla carica di vicepresidente di Fininvest per la sede nella Capitale.Letta. Nell’universo di Arcore, il rito politico romano interfacciato al rito aziendale ambrosiano, officiato da Fedele Confalonieri. Entrambi legati a Berlusconi da affetto sincero e riconoscenza, tanto da seguirlo di corsa.Letteralmente, come da foto di gruppo in tenuta total white da jogging nella villa Blue Horizon alle Bermuda, loro due insieme a Adriano Galliani, Marcello Dell’Utri e Carlo Bernasconi, alle spalle del capo. «Sono bravissimi» li promosse Silvio con Maria Latella per il suo volume Regimental (2003), «Letta ha una resistenza che stupisce». E l’interessato, minimizzando: «Sono un vecchio montanaro».Certo, se il Cavaliere avesse dato retta a Gianni & Fìdel («vai incontro al suicidio aziendale e al fallimento politico»), non si sarebbe candidato nel 1994. Ma se al governo non avesse dato retta a Letta, la sua Ombra Gentile, il Cavaliere non avrebbe retto così tanto, e gliel’ha riconosciuto in pubblico: «È il più bravo di tutti, anche di me». Fino all’apoteosi: «È un dono di Dio all’Italia». Letta. Che vai a sapere se ha davvero coltivato ambizioni quirinalizie. Di certo non ha aspirato a essere premier, preferendo diventare il presidente del pre-consiglio dei ministri, l’anticamera della seduta plenaria, la stanza di compensazione dove si decide l’ordine del giorno. Non ha mai desiderato fare il ministro, «solo» il sottosegretario a Palazzo Chigi (con delega ai servizi segreti), senza tessera di partito ma mantenendo il profilo istituzionale di pontiere.Un’intersezione di mondi.Il deep state, le entità trasversali nella macchina dello Stato, che influenzano, condizionano, determinano. Governo, opposizioni e forze sociali.Il Vaticano. Forza Italia: un partito di Letta e di governo.Letta. Aka - conosciuto anche come - il Portasilenzi. Letta Letta. Melassa. L’ Enrico Cuccia della politica. Il Pensiero pettinato. Il Gran Ciambellano. Smorza Italia.L’Eminenza Azzurrina, secondo Francesco Cossiga, per la sfumatura di celeste in controluce dei suoi curatissimi capelli. Per forza, gli fece eco Paolo Villaggio: «Va dallo stesso parrucchiere di Rita Levi Montalcini». «Un Paggio Fernando, pettinatino, leggiadrino, civettuolino e aggraziatamente bleso», per Mario Melloni, il Fortebraccio dell’Unità, il 21 maggio 1976.L’Uomo invisibile, «che dedica alla famiglia tutto il tempo libero: niente», registrò Giuliano Ferrara, che aggiungerà: «Anch’io sono stato un consigliori rispettato del boss, pensavo a quello che si doveva fare, mentre Letta ha sempre saputo quello che per misteriose ragioni non si doveva fare» (Panorama, 18 aprile 2018).L’Innominato - l’ anonimo capo di gabinetto, le cui confessioni sono state raccolte da Giuseppe Salvaggiulo nel libro Io sono il potere (2020) - riferisce una confidenza dello stesso Letta: «Per una sciocchezza che il Cavaliere faceva, lui riusciva a evitarne almeno dieci. Quando scoppiò la polemica sul suo viaggio notturno per partecipare al compleanno di Noemi Letizia, la ragazza che lo chiamava Papi, Letta sospirava: “Basta non controllarlo per cinque minuti e te lo ritrovi a Casoria. Uno statista non può andare a Casoria”».Sua regola aurea: dissentire, quando è il caso, in privato.Ma impensabile dissociarsi coram populo. Ricucendo semmai là dove il Cavaliere aveva imbracciato il lanciafiamme.Con pazienza, cortesia, riservatezza, «quell’attitudine antiretorica, quell’idiosincrasia per ribalta, riflettori e parole vuote», ha annotato Filippo Ceccarelli, indossate da Letta come abiti su misura. «Con Letta» ha scommesso nel 2004 Marcello Veneziani «Romolo non avrebbe ucciso Remo». Una propensione alla mediazione, allo stemperare per venirsi incontro, che per Luca Barbareschi rischia una deriva tossica: «Perché deve essere tutto un pappa-e-ciccia? Questo è un paese che morirà di “giannilettismo”, e lo dico con affetto per Gianni Letta. Basta con consociativismo e patti della crostata, ogni tanto bisogna rompere le uova, per non rompersi i maroni».Letta un «lettapardo», insomma.In un Paese in cui, se non ricevi un avviso di garanzia - vuole così una boutade - significa che non conti niente, poteva Letta non essere coinvolto in un paio di inchieste, datate e finite in niente?Negli anni Novanta, la Procura di Roma chiese l’arresto - nell’ambito dell’indagine su un presunto giro di mazzette intorno al cosiddetto «piano frequenze» della legge Mammì, che certificava il duopolio Rai-Finivest - di Letta e Adriano Galliani. Per farla breve: non ci fu alcuna detenzione, e il processo si concluse con il proscioglimento di entrambi perché «il fatto non sussiste e non costituisce reato». In epoca preberlusconiana, poi, quando Letta salvò il Tempo «da insidiosi gorghi finanziari» - ha ricordato nel volume Nel segno del Cavaliere (2010) il conterraneo Bruno Vespa - un’iniziativa non sua stava per rivelarsi una scivolosa buccia di banana.A caccia di un salvagente economico, l’editore del Tempo Carlo Pesenti si rivolse a Ettore Bernabei, dal 1961 al 1974 direttore generale della Rai in quota Dc, quindi al vertice dell’Italstat, cassaforte del gruppo Iri. Pesenti era in buona compagnia visto che sarebbero stati 61 i soggetti, tra giornalisti e testate, destinatari di quei finanziamenti di origine illecita, un elenco su cui i radicali Francesco Rutelli e Massimo Teodori chiesero, inutilmente, venisse fatta piena luce. Strano a dirsi, uscirono solo due nomi: dell’Avanti, organo del Psi.E di Letta. Giampaolo Pansa (Carte false, 1986): «C’è un solo giornalista che ammette di aver incassato Cct, i Certificati di credito del Tesoro: Gianni Letta. Che li ha presi per il suo giornale, da anni in “rosso”, afflitto da perdite d’esercizio spaventose: 61 miliardi nel triennio 1983-1985». Scusate: e gli altri della lista? E i pissi-pissi, per esempio, su Paese sera, fiancheggiatore del Partito comunista? Afasia catacombale. Come fu, come non fu, l’inchiesta scomparirà, ma tu guarda, su un binario morto.Inveì Letta, almeno una volta, contro la magistratura? Qualcuno nutrì dubbi sulla sua integrità personale? La risposta a entrambi i quesiti è: mai. Con standing ovation di tutto l’emiciclo, da destra a sinistra (e ritorno).Tanto che nel 2002 il capo dello Stato Carlo Azeglio Ciampi non ha esitato a insignirlo del titolo di «Cavaliere di Gran Croce dell’Ordine al merito della Repubblica Italiana», e Papa Benedetto XVI della carica di «Gentiluomo di Sua Santità» nel 2007.Cesare Geronzi, che ha appena compiuto 90 anni (auguri), conosce il quasi novantenne Letta da decenni.Massimo Mucchetti, nel libro-intervista Confiteor («Confesso», 2012), lo ha provocato: «Dicono che Letta si pone all’incrocio tra logge e cilicio, tra massoneria e Opus Dei».Geronzi: «Fantasie. Illusioni. Invidie. Lui è all’incrocio di tutto, conoscendo lui tutti e con tutti intrattenendo relazioni cordiali. Ma questo non ne fa un burattinaio. È uomo di valore, diffusamente stimato, che rassicura, che s’impegna a dare una mano, ma che non sempre riesce a mantenere le promesse, viste le numerosissime richieste di sostegno che riceve. È capitato e potrà ancora capitare che non ci si ritrovi d’accordo su qualche questione. Ma ciò non mi porta ad associarmi a tali dicerie». Che lasciano Letta indifferente, nemmeno una smorfia davanti a nomignoli, battute, illazioni. Negli anni, è trasfigurato in archetipo. Sul sito di Limes c’è il vademecum Così si diventa Gianni Letta: «Negli ultimi anni, l’etichetta di “nuovo Gianni Letta” è stata elargita a diversi politici, tra cui Graziano Delrio e Luca Lotti del Pd e Vincenzo Spadafora nel M5s. Le prime ricorrenze dell’appellativo di “Gianni Letta della Lega” o “Gianni Letta di Bossi” per Giancarlo Giorgetti risalgono a 10 anni fa». L’articolo è del 2018, chissà con quale eventuale nome di Fratelli d’Italia verrebbe oggi completato il pacchetto.Letta è sempre una garanzia. Era presente anche lui, l’ 11 settembre scorso, quando Mario Draghi e Marina Berlusconi si sono visti nella casa milanese della presidente della Fininvest: «Incontro di cortesia già pianificato, oltre che un’occasione di conoscenza reciproca» ha specificato un comunicato ufficiale. Chiedere lumi a Letta sulle dietrologie fiorite in proposito, sarebbe ovviamente vano. L’unica volta che, a memoria d’uomo, stava per lasciarsi andare a una reazione, si fermò un attimo prima: «Mi astengo dal dire quello che mi stava per venire». Very Letta style.
L’avvocato che seguiva i genitori che si sono visti portare via i figli ha rimesso il mandato: «Hanno rifiutato casa e progetto». I nuclei della zona che seguono uno stile di vita simile «spaventati» dai possibili controlli.
Svolta improvvisa nella vicenda della «famiglia del bosco», i coniugi Catherine Birmingham e Nathan Trevallion che vivevano in un casolare in un bosco nel Comune di Palmoli, in Provincia di Chieti, ai quali il Tribunale dei minori dell’Aquila ha tolto i figli, trasferendoli insieme alla madre in una casa famiglia.
Ieri mattina, con una nota, Giovanni Angelucci, il legale che curava gli interessi dei Trevallion nella vicenda, ha annunciato la rinuncia al mandato. I toni sono all’insegna dell’amarezza: «Purtroppo, ieri sera (martedì, ndr), dopo attenta riflessione, ho deciso, non senza difficoltà, di rinunciare al mandato difensivo a suo tempo conferitomi dai coniugi Nathan Trevallion e Catherine Birmingham. Mi sono visto costretto a una simile scelta estrema, che è l’ultima che un professionista serio vorrebbe adottare, dal momento che negli ultimi giorni i miei assistiti hanno ricevuto troppe, pressanti ingerenze esterne che hanno incrinato la fiducia posta alla base del rapporto professionale che lega avvocato e cliente».
In un mondo in cui i flussi di denaro viaggiano alla velocità di un clic, la Guardia di Finanza è oggi la prima linea di difesa, impegnata a intercettare frodi, truffe online, riciclaggio e movimentazioni sospette che utilizzano criptovalute e piattaforme fintech. Ma quanto è realmente grande questa economia sommersa digitale? E quali sono i nuovi strumenti investigativi che permettono di seguirne le tracce e quali sono le tuffe piu’ diffuse sul web? Ne parliamo con il Generale Antonio Mancazzo Comandante del Nucleo Speciale Tutela Privacy e Frodi Tecnologiche della Guardia di Finanza.
È la sola domanda da porsi sul caso dei Trevallion. La risposta la sanno tutti, anche se non vogliono ammetterlo. E la politica deve intervenire perché i tecnici hanno esondato.
Il tribunale dell’Aquila che ha deciso di allontanare da casa i tre figli di Nathan Trevallion dichiara di aver agito perché i bambini erano in grave pericolo. Rischiavano importanti danni psicologici a causa della mancanza di socializzazione, ha spiegato il giudice. Vivendo isolati, i piccoli potrebbero diventare incapaci di «riconoscere l’altro», cioè di comprendere e accettare le differenze.
L’aspetto curioso della faccenda è che i più incapaci di riconoscere e accettare l’altro, in questi giorni, sembrano essere proprio coloro che sostengono con forza le ragioni del tribunale e insistono a descrivere la famiglia Trevallion come una banda di psicolabili. In molti scrivono ad esempio che Catherine Birmingham, moglie di Nathan e madre dei bambini, è una pazzoide che vende sul suo sito fantomatiche guarigioni spirituali. Altri insistono a dire che padre e madre siano due fanatici, restii a trattare con i servizi sociali e chiusi nelle loro fortezze ideologiche oltranziste.
Ecco #EdicolaVerità, la rassegna stampa del 27 novembre con Carlo Cambi






