Gian Luca Pellegrini: «Chi ha puntato tutto sull’auto elettrica rimarrà spiazzato»

Gian Luca Pellegrini, direttore di Quattroruote, le case automobilistiche stanno facendo un sacco di soldi, vero?
«È il combinato disposto di cose successe negli ultimi anni. La produzione mondiale è rallentata soprattutto per la difficoltà nell’approvvigionamento di materie prime e componenti. Si è ridotta la produzione. Le case hanno iniziato a vendere meno macchine ad un prezzo molto più alto con un positivo effetto sui bilanci. Le case sono ricche in questo momento».
Anche i concessionari fanno i soldi?
«Lungo la filiera abbiamo modelli di business diversi. I produttori, a parte qualche piccola eccezione, non controllano la distribuzione. I concessionari sono imprenditori che comprano e rivendono macchine. Non sempre in modo profittevole. Storicamente la filiera ha guadagnato più dei costruttori ma non ora».
Siamo comunque in presenza di un lungo rimbalzo post pandemia…
«…che si sta esaurendo. Storicamente il settore ha sempre avuto un problema di sovracapacità produttiva rispetto alla possibilità di assorbimento del mercato. Ultimamente, finché le macchine da produrre erano pochissime, questo non era un tema. Ma ora che la capacità produttiva si sta riprendendo, torna a porsi il problema di come saturare il mercato. La bolla sta venendo meno».
A partire dal 2035 sarà vietata la produzione di auto diesel e benzina…
«Beh, beh, beh?!?» (il tono è quello di chi non è affatto convinto della previsione, ndr)
Va bene, allora ti chiedo una previsione.
«La mia previsione, abbastanza condivisa dagli analisti ma anche dagli stessi costruttori, è che da adesso si iniziano a capire tutte le implicazioni negative (energetiche, occupazionali, competitive e di geopolitica) di questa transizione studiata male. Che la politica ha tranquillamente ignorato. Ma adesso il Green deal, un edificio al cui interno ci sta il “phase out” del 2035 (stop alla produzione delle auto con motore a scoppio ndr), potrebbe essere messo in discussione. Stavo giusto scrivendo l’editoriale da pubblicarsi nel prossimo numero in uscita. Fra molte cose Jean Philippe Imparato, capo di Alfa Romeo, si chiede se effettivamente il piano messo a punto potrà essere realizzato qualora cambi la maggioranza a Strasburgo».
Quali le implicazioni?
«La mia opinione è che il processo di elettrificazione rimarrà anche se diluito nei tempi e nei modi. Non ci sarà il taglio netto della produzione dal 2035. Tutti quanti si rendono conto che la transizione sta segnando il passo e non sta andando alla velocità che i politici disinformati - ma anche le case automobilistiche - si aspettavano. Queste hanno fatto un errore. Pensavano che siccome la politica aveva deciso per imperio lo standard tecnologico futuro, il mercato avrebbe seguito. Ma non sta succedendo. Il mercato dell’automobile elettrica dipende in buona sostanza dalla presenza o meno degli incentivi. Se togli gli incentivi, come in Germania, scopri che sono 12 su 100 le persone che scelgono autonomamente l’elettrico. Le altre 88 continuano a comprare auto “normali” incluse le ibride. È stato commesso un errore di visione, mettiamola così. Non solo dalla politica che ha seguito una sua ideologia verde; ma soprattutto dall’industria, che ha seguito questo approccio pensando che fosse l’occasione per rifare da zero l’intero parco circolante. Invece il consumatore si è messo di traverso. Se questi rimangono gli obiettivi di carattere ambientale, e se questo è il percorso, quei traguardi non li raggiungeremo mai».
Da direttore di Quattroruote non dialoghi soltanto con i produttori, ma soprattutto con i consumatori. Cosa pensano dell’auto elettrica?
«Il nostro è un lettore molto informato anche se con il digitale noi parliamo anche ai meno esperti. C’è un tema da affrontare. La “domanda naturale” di elettrico si attesta mediamente intorno al 15% grazie agli incentivi che sono però sempre più insostenibili in termini di debito pubblico. Stiamo planando intorno al 13%. L’Italia è però un’anomalia. Perché siamo addirittura intorno al 3%».
Perché?
«Domanda senza risposta che faccio spesso ai costruttori. Siamo forse più poveri? Se confronto l’Italia con la Francia trovo mercati tutto sommato simili. Ma perché oltralpe la domanda naturale di elettrico arriva al 15% contro il nostro 3%? Stesso divario se confronto il nostro Paese con il Regno Unito. Qui però le flotte sono soprattutto aziendali e le auto private non sono molte. Vedo proprio un rifiuto culturale degli italiani verso la mobilità elettrica. E non è giustificato solo dal prezzo».
Una rivoluzione impossibile, quella dell’elettrico?
«Guarda, da direttore di Quattroruote, dico che l’introduzione dell’alternativo elettrico nel mercato “ci stava”. Il problema è stato nel renderlo uno standard. È vero che le auto elettriche costano di più in fase di acquisto. Ma meno in corsa per la manutenzione. E chi la compra non lo fa certo per una sensibilità verde. Il cortocircuito è dato dal rifiuto all’imposizione. L’Europa ha imposto una cosa che non poteva imporre…».
Il principio della neutralità tecnologica è andato a farsi benedire…
«Già nel 1992 Deng Xiaoping - architetto del socialismo e del comunismo capitalista- evidenziava come la Cina avesse le terre rare e noi occidentali il petrolio. Esortava il Paese a sfruttare questa differenza. E noi europei ci siamo cascati dentro con tutte le scarpe. Perché i cinesi hanno fatto precise scelte geopolitiche investendo in giro per il mondo per controllare l’intera filiera. Dall’estrazione alla lavorazione. Non so se Salvini abbia ragione ipotizzando valige di denaro da Pechino dirette agli uffici tecnici della Commissione Ue… ma ci siamo fatti male da soli imponendo per decreto una tecnologia in mano solo ai cinesi. Ci siamo messi il nodo scorsoio al collo per ingenuità. Poi magari ci saranno anche interessi indicibili. Non lo so. Le case automobilistiche occidentali hanno seguito la politica, ma alla fine sono i consumatori a decidere con le loro scelte. E questo rifiuto della novità spinge il consumatore a tenere la macchina. Si ottiene l’obiettivo esattamente contrario a quello del rinnovo del parco macchine. Volevano meno auto che inquinassero di meno. Invece ne abbiamo di più e che inquinano di più. L’opposto».
Con tante auto vecchie e fuori mercato come a L’Avana.
«Esatto; il famoso effetto Cuba. Ma il vero obiettivo di tutto questo è un altro».
Cioè?
«Siamo a 40 milioni di vetture in Italia. Sempre più vecchie in media perché il ritmo di sostituzione delle auto rallenta a causa dei prezzi altissimi delle macchine nuove passati in media da 17-18.000 euro a 28.000 euro in dieci anni. Costano tantissimo. Ad un certo punto diranno che nonostante l’auto elettrica ci sono troppe macchine in circolazione e quindi andranno ridotte. La giunta di Milano nel suo piano di mobilità parla di città senza auto fra 20 anni. Lo stesso Londra e Parigi. Sono d’accordo che vada ridotto l’impatto ambientale. E quindi? Smettiamo di riscaldarci? E comunque cosa cambia se non si modifica il modo di produrre energia? Se questa arriva bruciando le fonti fossili non cambia nulla. Noi che abbiamo vissuto il ventesimo secolo siamo dei privilegiati perché grazie all’automobile ed alla mobilità privata abbiamo cambiato clamorosamente in meglio la nostra vita. Ma con il maligno progetto della città in 15 minuti vogliono farti vivere confinato».
Vista la scadenza del 2035 si è fermata però tutta la ricerca e sviluppo nei motori a scoppio.
«Viviamo una situazione paradossale. I politici hanno capito che il Green deal comporta un pedaggio in termini di consenso. Perché questa roba la dobbiamo pagare noi. Ed iniziano a ventilare un cambio di direzione. Ma molte case automobilistiche che hanno sposato questo progetto dicono: “oh, ragazzi non scherziamo. Mica cambierete idea?”».
(Rido fragorosamente, ndr)
«Semplicemente spostare di sette anni il divieto dal 2035 al 2042 obbliga molte case ad inventarsi un nuovo prodotto perché nel settore auto il ciclo di vita dura mediamente sette anni. Molte case, quelle concentrate sull'Europa, hanno fatto la scelta elettrica e si troverebbero in grossa difficoltà».
Torneranno a vincere i giapponesi?
«Giapponesi e coreani, per cui l’Europa rappresenta fra il 5 ed il 7% del fatturato, offrono tutte le possibilità. Toyota è la più ricca. Produce dieci milioni di vetture ogni anno. I coreani la stessa macchina la forniscono in tutte le versioni possibili: benzina diesel, idrogeno, ibride, plug in etc. Ovunque in tutto il mondo saranno avvantaggiati perché hanno un’impronta globale a differenza dei costruttori europei che sono stati obbligati a scegliere l’elettrico. Il 2035 è una scadenza solo europea. I cinesi mica lo hanno fatto. Mica sono scemi. Loro hanno messo obiettivi a step di avanzamento in termini auto elettriche sul totale (il 23% etc). Come gli Usa. Lo stop brutale sarebbe stato un bagno di sangue. È una cosa stupida».
Tu guidi elettrico, però…
«Devo conoscere le cose di cui scrivo e nel mio caso specifico l’elettrico va bene perché posso caricare la macchina di notte. È tra l’altro una tecnologia che è appena all’inizio. E non può che migliorare in termini di efficienza e prestazioni. Ma imporre l’elettrico come standard è stato una stupidaggine enorme. E non sto considerando gli effetti occupazionali, le infrastrutture che mancano, come produrre e distribuire l’energia. Problemi enormi. Considera che i tedeschi hanno abbracciato l’elettrico con l’obiettivo in invadere la Cina coi loro prodotti».
Sto ridendo ancora…
«Prima Mercedes e Volkswagen erano leader in quel mercato. Ora non toccano palla proprio».






