
I progressisti si scoprono Salvini dipendenti. Anche se non è al governo, lo assaltano.Non hanno nemmeno finito di festeggiare, di champagne nella bottiglia ne rimanevano ancora quattro dita, che improvvisamente si sono accorti del potenziale disastro. Hanno capito che, senza Matteo Salvini a fare il «ministro dell'Inferno», non avrebbero più saputo che cosa scrivere. Niente più navi delle Ong su cui salire, niente più petizioni, comizietti, intemerate sui social. Basta appelli e libri sul fascismo da presentare sulle reti Rai. Per gli intellettuali progressisti, insomma, il fatto che la Lega non sia più al governo è un disastro, nonché un danno economico non indifferente. Ecco allora che, riposto velocemente il bottiglione di spumante, gli impavidi «buoni» si sono messi di buzzo buono a inventare un nuovo mantra. In soldoni, fa più o meno così: occhio che il puzzone ritorna. Ieri Repubblica ha sparato il titolone in prima pagina: «L'urlo di Pontida: torneremo». Roba che le damine milanese non ci dormono la notte, continuano a rivoltarsi fra le lenzuola madide sognando Salvini ai bordi del letto che tira le coperte. Idem sulla copertina dell'Espresso, anche lì titolone sui sovranisti: «Non sono finiti». All'interno il pregevole articolo di Emanuele Coen ci informa che «lo scrittore rimane sulle barricate». Sandro Veronesi, Evelina Santangelo, il regista Daniele Vicari e altri illustri conosciuti e misconosciuti fanno sapere di essere ancora pronti alla lotta. Tra le più battagliere c'è Valeria Parrella, autrice Einaudi. Gioisce perché Salvini è indagato per via delle frasi su Carola Rackete: «È il segno di un addolcimento, ma a me non basta». Ovvio, lei vorrebbe il linciaggio. Poi aggiunge: «Questa parentesi di estrema destra ci ha spaventati molto, dopo aver disinfettato l'ambiente ora possiamo ragionare». Capito? Loro «disinfettano» per liberarsi degli scarafaggi destrorsi. Si sono presi paura per i sovranisti al potere, ma hanno ancora più paura di non poterli più attaccare. E allora che fanno? Da un lato hanno già cominciato ad agitare lo spauracchio, sempre lo stesso: torna il fascismo, tornano i populisti, tornano i cattivi... Dall'altro lato, fanno finta che non sia cambiato nulla e continuano a sparlare del nemico politico. Gli intellettuali che dovrebbero fustigare i potenti proseguono a demonizzare l'opposizione. Dopo essersi battuti gran pacche sulle spalle per aver cacciato il despota Matteo (che in realtà se ne è andato da solo), adesso riprendono a menarla con l'odio e l'intolleranza. Così ci troviamo Gad Lerner a fare l'inviato di guerra sul pratone di Pontida, e a leggere le cronache sembra che lo abbiano cosparso di pece e piume. Poi, dal suo profilo Twitter, scopriamo che ci sono pure militanti leghisti che si sono scattati con lui selfie sorridenti e amichevoli. Però si deve proseguire a mostrificare, conviene così. E allora dagli con i leghisti che menano e insultano, anche se non è vero. Dagli con Salvini che sfrutta i bambini e strumentalizza Bibbiano. A sinistra si sono già dimenticati dei bambini esibiti a ripetizione nei comizi già dai tempi di Berlusconi (il povero piccolo che salì sul palco del Palasharp, o i piccini in prima fila ai corte pro migranti di Milano). Fanno cagnara perché il capo leghista ha dato spazio a una bimba che è effettivamente protagonista di un caso drammatico (e non una testimonial dell'astio ideologico come gli infanti succitati). Per altro, a differenza di quanto si è detto nei giorni scorsi, la piccola non è bibbianese: semplicemente è una incolpevole vittima di un sistema affidi che non funziona, anche se non viene dall'Emilia. Per farla breve: è cambiato il governo, ma non è cambiato l'atteggiamento. La nuova casta utilizza i metodi di quella vecchia, e dimostra di avere un unico collante: l'antisovranismo di bassa lega. Si bullano di aver battuto il nemico, ma ne hanno un bisogno estremo. Sono Salvini dipendenti. E se l'odio non c'è, devono inventarselo.
Obbligazionario incerto a ottobre. La Fed taglia il costo del denaro ma congela il Quantitative Tightening. Offerta di debito e rendimenti reali elevati spingono gli operatori a privilegiare il medio e il breve termine.
Alice ed Ellen Kessler nel 1965 (Getty Images)
Invece di cultura e bellezza, la Rai di quegli anni ha promosso spettacoli ammiccanti, mediocrità e modelli ipersessualizzati.
Il principe saudita Mohammad bin Salman Al Sa'ud e il presidente americano Donald Trump (Getty)
Il progetto del corridoio fra India, Medio Oriente ed Europa e il patto difensivo con il Pakistan entrano nel dossier sulla normalizzazione con Israele, mentre Donald Trump valuta gli effetti su cooperazione militare e stabilità regionale.
Le trattative in corso tra Stati Uniti e Arabia Saudita sulla possibile normalizzazione dei rapporti con Israele si inseriscono in un quadro più ampio che comprende evoluzioni infrastrutturali, commerciali e di sicurezza nel Medio Oriente. Un elemento centrale è l’Imec, ossia il corridoio economico India-Medio Oriente-Europa, presentato nel 2023 come iniziativa multinazionale finalizzata a migliorare i collegamenti logistici tra Asia meridionale, Penisola Arabica ed Europa. Per Riyad, il progetto rientra nella strategia di trasformazione economica legata a Vision 2030 e punta a ridurre la dipendenza dalle rotte commerciali tradizionali del Golfo, potenziando collegamenti ferroviari, marittimi e digitali con nuove aree di scambio.
La piena operatività del corridoio presuppone relazioni diplomatiche regolari tra Arabia Saudita e Israele, dato che uno dei tratti principali dovrebbe passare attraverso porti e nodi logistici israeliani, con integrazione nelle reti di trasporto verso il Mediterraneo. Fonti statunitensi e saudite hanno più volte collegato la normalizzazione alle discussioni in corso con Washington sulla cooperazione militare e sulle garanzie di sicurezza richieste dal Regno, che punta a formalizzare un trattato difensivo bilaterale con gli Stati Uniti.
Nel 2024, tuttavia, Riyad ha firmato in parallelo un accordo di difesa reciproca con il Pakistan, consolidando una cooperazione storicamente basata su forniture militari, addestramento e supporto politico. Il patto prevede assistenza in caso di attacco esterno a una delle due parti. I governi dei due Paesi lo hanno descritto come evoluzione naturale di rapporti già consolidati. Nella pratica, però, l’intesa introduce un nuovo elemento in un contesto regionale dove Washington punta a costruire una struttura di sicurezza coordinata che includa Israele.
Il Pakistan resta un attore complesso sul piano politico e strategico. Negli ultimi decenni ha adottato una postura militare autonoma, caratterizzata da un uso esteso di deterrenza nucleare, operazioni coperte e gestione diretta di dossier di sicurezza nella regione. Inoltre, mantiene legami economici e tecnologici rilevanti con la Cina. Per gli Stati Uniti e Israele, questa variabile solleva interrogativi sulla condivisione di tecnologie avanzate con un Paese che, pur indirettamente, potrebbe avere punti di contatto con Islamabad attraverso il patto saudita.
A ciò si aggiunge il quadro interno pakistano, in cui la questione israelo-palestinese occupa un ruolo centrale nel dibattito politico e nell’opinione pubblica. Secondo analisti regionali, un eventuale accordo saudita-israeliano potrebbe generare pressioni su Islamabad affinché chieda rassicurazioni al partner saudita o adotti posizioni più assertive nei forum internazionali. In questo scenario, l’esistenza del patto di difesa apre la possibilità che il suo richiamo possa essere utilizzato sul piano diplomatico o mediatico in momenti di tensione.
La clausola di assistenza reciproca solleva inoltre un punto tecnico discusso tra osservatori e funzionari occidentali: l’eventualità che un’azione ostile verso Israele proveniente da gruppi attivi in Pakistan o da reticolati non statali possa essere interpretata come causa di attivazione della clausola, coinvolgendo formalmente l’Arabia Saudita in una crisi alla quale potrebbe non avere interesse a partecipare. Analoga preoccupazione riguarda la possibilità che operazioni segrete o azioni militari mirate possano essere considerate da Islamabad come aggressioni esterne. Da parte saudita, funzionari vicini al dossier hanno segnalato la volontà di evitare automatismi che possano compromettere i negoziati con Washington.
Sulle relazioni saudita-statunitensi, la gestione dell’intesa con il Pakistan rappresenta quindi un fattore da chiarire nei colloqui in corso. Washington ha indicato come priorità la creazione di un quadro di cooperazione militare prevedibile, in linea con i suoi interessi regionali e con le esigenze di tutela di Israele. Dirigenti israeliani, da parte loro, hanno riportato riserve soprattutto in relazione alle prospettive di trasferimenti tecnologici avanzati, tra cui sistemi di difesa aerea e centrali per la sorveglianza delle rotte commerciali del Mediterraneo.
Riyadh considera la normalizzazione con Israele parte di un pacchetto più ampio, che comprende garanzie di sicurezza da parte statunitense e un ruolo definito nel nuovo assetto economico regionale. Il governo saudita mantiene l’obiettivo di presentare il riconoscimento di Israele come passo inserito in un quadro di stabilizzazione complessiva del Medio Oriente, con benefici economici e infrastrutturali per più Paesi coinvolti. Tuttavia, la gestione del rapporto con il Pakistan richiede una definizione più precisa delle implicazioni operative del patto di difesa, alla luce del nuovo equilibrio a cui Stati Uniti e Arabia Saudita stanno lavorando.
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