2021-05-18
Ghizzoni e Profumo «salvi» dal crac grazie all’Unicredit targata Padoan
A novembre 2020, dopo l'arrivo dell'ex ministro, l'istituto offrì al Tribunale di Bari una cauzione da 40 milioni che ha poi fatto revocare il sequestro conservativo dei beni degli ex vertici coinvolti nel fallimento di Divania.Quando i banchieri hanno il cuore d'oro. Lo scorso autunno gli ex capi di Unicredit, Alessandro Profumo e Federico Ghizzoni, insieme a un'altra dozzina di ex manager della banca di piazza Gae Aulenti, rischiavano di vedersi pignorare lo stipendio per il loro coinvolgimento nel fallimento Divania, un gruppo da 70 milioni di fatturato che si era fatto imbottire di derivati. Ma con un colpo a sorpresa, come risulta dai documenti in possesso della Verità, il 16 novembre Unicredit ha offerto al Tribunale penale di Bari una cauzione da 40 milioni che ha fatto revocare il sequestro conservativo. Visto che la banca era solo responsabile civile, non era un atto dovuto e, anzi, quattro anni prima era stato esplicitamente escluso. Al momento della provvidenziale offerta, Unicredit era guidata da Jean Pierre Mustier come amministratore delegato (ma già con le valige in mano) e da Pier Carlo Padoan, l'ex ministro del Tesoro cooptato un mese prima nel cda e poi nominato presidente.Il giorno di San Valentino dello scorso anno, il gup di Bari ha rinviato a giudizio per concorso in bancarotta fraudolenta 16 ex manager di Unicredit, a cominciare da Ghizzoni e Profumo. Quest'ultimo, genovese, da sempre vicino all'Ulivo e al centrosinistra, dopo aver guidato il Monte dei Paschi di Siena, la «banca dei compagni», è stato messo a capo di Leonardo dal 2017. A sceglierlo fu Padoan, un «tecnico» che un anno dopo si è fatto eleggere senatore del Pd nel collegio blindato di Siena. I banchieri sono finiti a processo con l'accusa di aver ingannato Francesco Saverio Parisi, il titolare del gruppo barese Divania, che nel 2011 fatturava 70 milioni e aveva 400 dipendenti, inducendolo a sottoscrivere 203 contratti derivati. Strumenti altamente speculativi che in pochi anni, secondo l'accusa, avrebbero portato la società al dissesto e al successivo fallimento. Profumo ha guidato Unicredit dal 1998 al 2010, mentre Ghizzoni dal 2010 al 2016. I fatti contestati dalla Procura di Bari risalgono al periodo che va dal 2000 al 2005. A Ghizzoni, che sembra arrivare dopo, viene contestato di avere contribuito «a determinare l'insolvenza ed il conseguente fallimento di Divania perché, in qualità di ad, non adempiva alla diffida di restituzione della somma di 183,77 milioni sottratta dai conti correnti intestati a Divania inviata dal suo legale rappresentante Parisi in data 5 aprile 2011».In sostanza, Unicredit avrebbe fatto credere a Parisi che quei derivati fossero a costo zero e avrebbero «prelevato» 183 milioni dai suoi conti, senza autorizzazione del titolare, per concludere l'operazione. Questo spostamento di fondi, oltre a mettere sul lastrico il gruppo che produceva divani, secondo i magistrati avrebbe creato le base di una bancarotta fraudolenta distrattiva, con l'Agenzia delle entrate che figura tra le principali parti lese. Parisi, ritenuto del tutto estraneo al fallimento, si è costituito parte civile insieme a un centinaio di suoi ex dipendenti. Il 14 febbraio 2020 c'è stato il rinvio a giudizio e Unicredit è stata ritenuta dal gup solo responsabile civile. Il 22 settembre, il Tribunale procede al sequestro conservativo dei beni degli imputati, per un importo totale di 40 milioni. Ghizzoni, Profumo e i loro ex sottoposti rischiano a questo punto di vedersi bloccare i conti e di subire il pignoramento del quinto dello stipendio. E il banchiere genovese, come capo azienda di Leonardo, incassa 1,66 milioni di euro l'anno, bonus compresi (660.000). Ma ecco la mano santa dell'ex datore di lavoro, che si manifesta con una lettera firmata da Paola Severino, avvocato di Unicredit, il 16 novembre scorso. L'ex ministro della Giustizia del governo Monti scrive alla seconda sezione penale del Tribunale di Bari per offrire «cauzione per l'intero importo oggetto del sequestro conservativo (40 milioni di euro) attraverso il deposito dell'allegato contratto di fideiussione bancaria a favore del signor Parisi Francesco». E pertanto, conclude la Severino, «si chiede la revoca del sequestro conservativo». Di fronte a tanta generosità, il Tribunale accoglie e il 9 dicembre revoca il sequestro. Per i banchieri, conti e stipendi in salvo. Garantiscono i piccoli azionisti di Unicredit, che però ne sono ignari. Anche perché all'assemblea di Unicredit del 24 aprile 2017 gli amministratori dell'istituto, in risposta a una domanda sui rischi di un coinvolgimento nel crac Divania, avevano dichiarato: «Non sono state concesse manleve particolari e le rinunce eventualmente espresse dalla banca nelle risoluzioni consensuali del rapporto di lavoro escludono esplicitamente i casi di dolo o colpa grave». Certo, il cambio repentino di idea, culminato con la lettera della Severino, pone alcuni interrogativi. Per esempio, Mustier, che in sostanza sembra contraddirsi a distanza di quattro anni, che ruolo ha avuto in questo «regalone» da 40 milioni? E Padoan, grande estimatore di Profumo e cooptato in Unicredit il 13 ottobre, che cosa sapeva della lettera del 16 novembre? C'è poi il singolare incrocio con lo scandalo Mps, visto che Paola Severino è anche la professoressa che a luglio del 2020 ha firmato un parere legale usato dal cda del Monte per non interrompere i termini di prescrizione contro lo stesso Profumo, poi condannato in primo grado per i bilanci falsi di Rocca Salimbeni.