Urne aperte oggi. La Cdu ha escluso l’intesa con Afd, seconda nei sondaggi, e prepara l’inciucio con Spd e Verdi. L’esperto Francesco Galietti: «Rapporti con Parigi ai minimi, ora i tedeschi guardano ai britannici». Friedrich Merz: «Con me torneremo ad avere una voce forte in Ue».
Urne aperte oggi. La Cdu ha escluso l’intesa con Afd, seconda nei sondaggi, e prepara l’inciucio con Spd e Verdi. L’esperto Francesco Galietti: «Rapporti con Parigi ai minimi, ora i tedeschi guardano ai britannici». Friedrich Merz: «Con me torneremo ad avere una voce forte in Ue».Nella giornata di oggi, i cittadini tedeschi si recano alle urne per eleggere il nuovo Parlamento. E lo faranno a poche ore dall’aggressione di Berlino: l’ennesimo attentato perpetrato da un richiedente asilo dopo quelli di Solingen, Magdeburgo, Aschaffenburg e Monaco. Insomma, tra recessione economica e crisi migratoria, si tratta di una votazione molto delicata. Che, tra l’altro, per la Germania arriva in un momento di evidente instabilità e frammentazione politica. Uno scenario a tratti inedito per la Repubblica federale.Il vincitore annunciato di queste elezioni è senz’altro Friedrich Merz, il candidato della Cdu. Avendo escluso ogni collaborazione con l’Afd, seconda forza del Paese secondo i sondaggi, e visto che i liberali della Fdp rischiano seriamente di rimanere fuori dal Bundestag, Merz sarà però costretto ad allearsi con la Spd di Olaf Scholz e, probabilmente, anche con i Verdi, ossia i «vinti» della coalizione semaforo, che lui ha criticato fino all’altro ieri. «È la trama di un film già visto: conservatori e sinistra si azzuffano in campagna elettorale ma poi, a urne chiuse, si accordano», ci spiega Francesco Galietti, analista di scenari strategici e fondatore dell’osservatorio Policy Sonar, nonché firma di Panorama ed esperto di politica tedesca. Questo gioco delle parti, tuttavia, pone inevitabilmente numerosi limiti di agibilità politica. «Esatto», commenta Galietti, «e adesso gli elettori tedeschi sono in sofferenza, come dimostra la crescita dell’Afd. Usando categorie di sinistra, potremmo dire che questo problema è sovrastrutturale rispetto al problema economico. È il modello economico tedesco che si è inceppato. E, in questa situazione, è tutto più difficile». Spd e Verdi, peraltro, su immigrazione ed economia hanno programmi piuttosto differenti rispetto a quello dei cristiano-democratici. Anche se, dopo i vari attentati, il ministro dell’Interno, Nancy Faeser (Spd), ieri ha parlato dell’urgente necessità di espulsioni e rimpatri. Tradotto: pur in un governo con la Cdu in veste di socio di maggioranza, per Merz non sarà affatto semplice mantenere le sue promesse elettorali. «Secondo me», prosegue Galietti, «lui è un prudente. Lasciando da parte gli slogan, non ha fatto promesse forti. Persino sull’economia, che interessa anche noi, non ha detto niente. La Germania, come ricordava il Financial Times, ha bisogno di uno stimolo da mezzo trilione di euro. Ma Merz non ha scoperto le carte neanche sui limiti all’indebitamento, per cui serve cambiare un articolo della Costituzione tedesca. Lui si è proposto come figura solida e di esperienza, però è una scommessa sull’ignoto». In che senso? «Merz è un uomo per un’altra epoca, è rimasto ancorato a un mondo che non esiste più. Pure Spd e Verdi, dopo tanti fallimenti, andranno valutati. Per me, comunque, Scholz non può sopravvivere a una disfatta elettorale». Sulle politiche migratorie, inoltre, Merz ha apertamente sconfessato l’operato di Angela Merkel. E potrebbe farlo pure nei rapporti con l’Unione europea. «La Merkel», spiega Galietti, «viveva in un’epoca in cui la Germania pensava all’economia mentre la Francia agli esteri e alla difesa. Ora questo modello non esiste più». Non a caso, i rapporti tra Parigi e Berlino sono ai minimi storici. «In questo periodo», ricorda l’esperto, «la Germania si sta avvicinando al Regno Unito, anche nelle sfere d’influenza: la Polonia, il Baltico ecc. Quindi bisogna capire come si muoverà Merz, ma il vecchio mondo merkeliano è ormai defunto. Poi, certo, Merz è amico della sua compagna di partito Ursula von der Leyen e la Germania mantiene nell’Ue tutti i suoi numerosi apparati di potere». Ieri Merz ha infatti dichiarato: «Come cancelliere federale sarò di nuovo parte attiva alla definizione della politica europea e la Germania avrà una voce forte nell’Ue e rispetterò i nostri interessi in Europa con l’Europa». Tra l’altro, Merz è notoriamente un atlantista di ferro. Eppure, di recente, ha polemizzato sia con Donald Trump che con J.D. Vance, arrivando addirittura a parlare di un’Europa abbandonata dalla Nato. Rimane quindi da capire come si porrà il probabile cancelliere nei confronti degli Stati Uniti: «Probabilmente tutti gli Stati europei faranno “derisking” e tenteranno di acquisire più autonomia», spiega Galietti. Insomma, «non si percorreranno i vecchi sentieri. E questo, sotto certi aspetti, è un bene. Il messaggio che arriva dagli Usa, del resto, è chiaro: voi europei ormai siete adulti e dovete fare da voi». In ogni caso, i rapporti tra Washington e Berlino rimangono tesi. Durante la Conferenza di Monaco, infatti, Vance ha dichiarato che la Germania non tutela la libertà d’espressione e che, in democrazia, non c’è spazio per il «muro antincendio» con cui la politica tedesca ha escluso l’Afd dal potere. Calcolando anche l’esplicito endorsement di Elon Musk per Alice Weidel, è possibile che Vance abbia voluto lanciare un messaggio proprio a Merz. «Non so quanto sia raffinata la visione della Germania da parte degli Stati Uniti», commenta Galietti. «Il problema dell’Afd non è tanto essere un partito di destra, quanto la sua stretta vicinanza alla Russia». «Afd non appartiene all'arco costituzionale», ha detto ieri il biografo di Angela Merkel, Ralph Bollmann, che ha aggiunto: «Meloni e Le Pen hanno ammorbidito i programmi nel presentarsi alle elezioni. Afd lo ha reso sempre più radicale. E questa è una differenza da non sottovalutare». Sull’Afd si è espresso ieri anche il vicepremier italiano Antonio Tajani: «Sono convinto che la salvezza della Germania sia la vittoria di Merz. Non può vincere la Afd che è contro l'Italia, vuole farla uscire dalla zona euro e non può essere utile al nostro Paese».
La deposizione in mare della corona nell'esatto luogo della tragedia del 9 novembre 1971 (Esercito Italiano)
Il 9 novembre 1971 si consumò il più grave incidente aereo per le forze armate italiane. Morirono 46 giovani parà della «Folgore». Oggi sono stati ricordati con una cerimonia indetta dall'Esercito.
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Quarantasei giovani parà della «Folgore» inghiottiti dalle acque del mar Tirreno. E con loro sei aviatori della Royal Air Force, altrettanto giovani. La sciagura aerea del 9 novembre 1971 fece così impressione che il Corriere della Sera uscì il giorno successivo con un corsivo di Dino Buzzati. Il grande giornalista e scrittore vergò alcune frasi di estrema efficacia, sconvolto da quello che fino ad oggi risulta essere il più grave incidente aereo per le Forze Armate italiane. Alle sue parole incisive e commosse lasciamo l’introduzione alla storia di una catastrofe di oltre mezzo secolo fa.
(…) Forse perché la Patria è passata di moda, anzi dà quasi fastidio a sentirla nominare e si scrive con la iniziale minuscola? E così dà fastidio la difesa della medesima Patria e tutto ciò che vi appartiene, compresi i ragazzi che indossano l’uniforme militare? (…). Buzzati lamentava la scarsa commozione degli Italiani nei confronti della morte di giovani paracadutisti, paragonandola all’eco che ebbe una tragedia del 1947 avvenuta ad Albenga in cui 43 bambini di una colonia erano morti annegati. Forti le sue parole a chiusura del pezzo: (…) Ora se ne vanno, con i sei compagni stranieri. Guardateli, se ci riuscite. Personalmente mi fanno ancora più pietà dei leggendari piccoli di Albenga. Non si disperano, non singhiozzano, non maledicono. Spalla a spalla si allontanano. Diritti, pallidi sì ma senza un tremito, a testa alta, con quel passo lieve e fermissimo che nei tempi antichi si diceva appartenesse agli eroi e che oggi sembra completamente dimenticato (…)
Non li hanno dimenticati, a oltre mezzo secolo di distanza, gli uomini della Folgore di oggi, che hanno commemorato i caduti di quella che è nota come la «tragedia della Meloria» con una cerimonia che ha coinvolto, oltre alle autorità, anche i parenti delle vittime.
La commemorazione si è conclusa con la deposizione di una corona in mare, nel punto esatto del tragico impatto, effettuata a bordo di un battello in segno di eterno ricordo e di continuità tra passato e presente.
Nelle prime ore del 9 novembre 1971, i parà del 187° Reggimento Folgore si imbarcarono sui Lockheed C-130 della Raf per partecipare ad una missione di addestramento Nato, dove avrebbero dovuto effettuare un «lancio tattico» sulla Sardegna. La tragedia si consumò poco dopo il decollo dall’aeroporto militare di Pisa-San Giusto, da dove in sequenza si stavano alzando 10 velivoli denominati convenzionalmente «Gesso». Fu uno di essi, «Gesso 5» a lanciare l’allarme dopo avere visto una fiammata sulla superficie del mare. L’aereo che lo precedeva, «Gesso 4» non rispose alla chiamata radio poiché istanti prima aveva impattato sulle acque a poca distanza dalle Secche della Meloria, circa 6 km a Nordovest di Livorno. Le operazioni di recupero dei corpi furono difficili e lunghissime, durante le quali vi fu un’altra vittima, un esperto sabotatore subacqueo del «Col Moschin», deceduto durante le operazioni. Le cause della sciagura non furono mai esattamente definite, anche se le indagini furono molto approfondite e una nave pontone di recupero rimase sul posto fino al febbraio del 1972. Si ipotizzò che l’aereo avesse colpito con la coda la superficie del mare per un errore di quota che, per le caratteristiche dell’esercitazione, doveva rimanere inizialmente molto bassa.
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Teresa Ribera (Ansa)
Il capo del Mef: «All’Ecofin faremo la guerra sulla tassazione del gas naturale». Appello congiunto di Confindustria con le omologhe di Francia e Germania.
Chiusa l’intesa al Consiglio europeo dell’Ambiente, resta il tempo per i bilanci. Il dato oggettivo è che la lentezza della macchina burocratica europea non riesce in alcun modo a stare al passo con i competitor mondiali.
Chiarissimo il concetto espresso dal ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti: «Vorrei chiarire il criterio ispiratore di questo tipo di politica, partendo dal presupposto che noi non siamo una grande potenza, e non abbiamo nemmeno la bacchetta magica per dire alla Ue cosa fare in termini di politica industriale. Ritengo, ad esempio, che sulla politica commerciale, se stiamo ad aspettare cosa accade nel globo, l’industria in Europa nel giro di cinque anni rischia di scomparire». L’intervento avviene in Aula, il contesto è la manovra di bilancio, ma il senso è chiaro. Le piccole conquiste ottenute nell’accordo sul clima non sono sufficienti e nei due anni che bisogna aspettare per la nuova revisione può succedere di tutto.
Maurizio Landini
Dopo i rinnovi da 140 euro lordi in media per 3,5 milioni di lavoratori della Pa, sono in partenza le trattative per il triennio 2025-27. Stanziate già le risorse: a inizio 2026 si può chiudere. Maurizio Landini è rimasto solo ad opporsi.
Sta per finire quella che tra il serio e il faceto nelle stanze di Palazzo Vidoni, ministero della Pa, è stata definita come la settimana delle firme. Lunedì è toccato ai 430.000 dipendenti di Comuni, Regioni e Province che grazie al rinnovo del contratto di categoria vedranno le buste paga gonfiarsi con più di 150 euro lordi al mese. Mercoledì è stata la volta dei lavoratori della scuola, 1 milione e 260.000 lavoratori (850.000 sono docenti) che oltre agli aumenti di cui sopra porteranno a casa arretrati da 1.640 euro per gli insegnanti e 1.400 euro per il personale Ata (amministrativi tecnici e ausiliari). E il giorno prima, in questo caso l’accordo era stato già siglato qualche mese fa, la Uil aveva deciso di sottoscrivere un altro contratto, quello delle funzioni centrali (chi presta opera nei ministeri o nell’Agenzia delle Entrate), circa 180.000 persone, per avere poi la possibilità di sedersi al tavolo dell’integrativo.










