2022-04-15
Pure Galli si fa il libro e sfida Pregliasco: «Io adoro le cravatte ne ho centinaia»
Il collega disse che veicolano i germi, lui dissente: «Le usavo anche alle riunioni del Movimento studentesco con Capanna».Avviso alla nazione: è in corso quella che si presenta a tutti gli effetti come la più grande disputa fra virologi che la storia ricordi. A ben vedere, si tratta del maggiore contributo alla scienza fornito dalle virostar italiane da quando la pandemia di Covid è iniziata. Il tema è talmente pregnante che già si scavano fra gli studiosi feroci divisioni, ma siamo certi che lo scoppiettante dibattito cambierà per sempre il nostro modo di affrontare il virus. Signore e signori, siamo alle prese con la «disfida della cravatta»Il primo a fornire un autorevole parere sul tema è stato Fabrizio Pregliasco, uno dei più celebri medici catodici d’Italia. Partecipando a Un giorno da pecora, ha fornito una determinante indicazione: «La cravatta? Oggi non la porto e c’è un motivo: la cravatta raccoglie germi ed è vettore di possibili infezioni, in luoghi come gli ospedali in questo periodo non andrebbe usata. E poi la cravatta appartiene ad uno stile vecchio, ormai superato».Siamo certi che gli imprenditori del settore, in particolare i comaschi noti nel mondo per la qualità dei loro prodotti, non aspettavano altro - onde affrontare al meglio la crisi - che una uscita di questo tipo, sicuramente utile agli affari. A noi invece è sorto repentino un sospetto: che dopo i no vax, i nuovi untori siano i bellimbusti incravattati? Ma, come sempre accaduto in questi mesi, «Lascienzah» non si manifesta come un blocco monolitico. Ecco infatti emergere la clamorosa spaccatura fra No Crav e Sì Crav. Per un Pregliasco che sconsiglia l’utilizzo del mefitico accessorio (e temiamo che Roberto Speranza possa prenderlo sul serio, lasciando la mascherina obbligatoria e vietando la cravatta), c’è un Massimo Galli che la vede in maniera opposta. «Ebbene sì, lo confesso. Ho da sempre un debole per le cravatte», racconta il professore milanese. «Da ragazzo la mettevo anche alle riunioni del Movimento studentesco. Per informazione di sottoprodotto del giornalismo nazionale che, ragionando per categorie ristrette, mi ha definito il virologo con l’eskimo, quel tipo di indumento non l’ho mai portato». Clamoroso davvero. E non è mica finita, perché Galli ha altro da svelare: «Gino Strada, l’ho già riferito, questo vezzo della cravatta me lo ha ricordato anche in tempi recenti. Lui che, nella sua vita, credo ne abbia messe pochissime. Io invece ne ho qualche centinaio, tra quelle che metto e quelle che conservo in ricordo di momenti del passato. Me le compro rigorosamente da solo, più spesso durante le attese agli aeroporti. È raro che riesca a mettermi quelle che mi regalano, con un’unica eccezione: quelle scelte da Angelica Lupo, una delle mie collaboratrici “storiche” al Sacco e cara amica, mi piacciono sempre. Che vada invece a comprarmi dei vestiti è abbastanza un evento».Non stiamo inventando nulla: le affermazioni di Galli provengono da un robusto testo appena pubblicato dall’editore Vallecchi e sobriamente intitolato Gallipedia, firmato dal sempre modesto professore assieme a Lorella Bertoglio, che ha avuto la pensata. Spiega infatti il luminare che il titolo «non è farina del mio sacco ma un’idea della mia coautrice. Alla fine ho ceduto, l’ho trovato divertente e anche un po’ autoironico. Del resto, paideia in greco antico significava educazione, formazione - ohibò, ho fatto il classico, certe cose le so! - e ho passato tutta la mia vita professionale a insegnare e formare giovani». Beh, forte della sua formazione classica Galli adesso dovrà spiegare a Pregliasco per quale motivo possieda così tante cravatte. Non una, non due, non dieci: centinaia! Pensate a quanti contagi potrebbe aver causato! Se crediamo alla teoria di Pregliasco (non è facile, lo comprendiamo, ma credere a Galli non è certo più semplice), si spiegano tante cose. Ad esempio il motivo per cui - nonostante le ripetute dosi di vaccino - il malcapitato professor Massimo abbia ripreso il Covid durante una cena festiva tra pochi intimi. Ricordate? In quell’occasione fu curato tramite monoclonali, e quando il nostro giornale lo rivelò lui non la prese benissimo. Tanto che, nel libro, ha deciso di ritornare polemicamente sull’argomento. A Galli fu somministrato - su insistenza dei colleghi - il Sotrovimab. «Ma - apriti o cielo - i soliti noti si sono scatenati accusandomi di ricevere trattamenti privilegiati», sbuffa il luminare. «Uno che ha lavorato più di quarant’anni in malattie infettive e che ha direttamente partecipato alla sperimentazione dei monoclonali, ha di sicuro più relazioni e conoscenze tecniche in questo campo della media dei cittadini. Se l’accusa è questa, mi dichiaro colpevole. Però, tra questo e il dichiararmi privilegiato, o peggio ancora, reo di aver sottratto un trattamento prezioso ad altri, perdonatemi, ce ne passa. Mi tocca ricordare che i monoclonali anti Sars-Cov-2 non curano la malattia avanzata, ma sono utili solo nel prevenire un’evoluzione grave dell’infezione nelle persone che presentano fattori di rischio e solo se vengono usati entro sette giorni dalla comparsa dei sintomi». Tutto vero: uno che ha lavorato per decenni in ospedale ad alto livello ha sicuramente moltissime «relazioni». Peccato per gli altri che non le hanno. Ma poco importa. Non ci aspettiamo che le virostar, nei loro libri, cerchino di esaminare criticamente (o autocriticamente) questi anni di emergenza. È molto più interessante l’autocelebrazione, no? Grazie a Gallipedia, ad esempio, scopriamo che Massimo ha un «fan club femminile» molto focoso. «L’uomo ideale delle mie coetanee? Quando me l’hanno detto ci ho riso sopra per mezz’ora», si schermisce. «Ma non è necessario mettermi sotto tortura per farmi ammettere che la cosa, vera o fantasiosa che sia, mi diverte molto. E mi aiuta a far emergere quella parte più allegra e anche un po’ gigiona del mio carattere che è stata sommersa, in questi anni, dalla tetraggine della situazione e del ruolo che mi è toccato». Chissà, forse a far presa sulle donne è la mescolanza esplosiva di scienza e politica. E che politica! Galli ricorda con trasporto il suo passato militante: «Il Movimento studentesco si è rivelato ben presto una dura scuola di vita, in cui non era permesso a nessuno di ricoprire funzioni e ruoli dirigenti senza le capacità e la dedizione necessarie», racconta. E, in effetti, qui qualche lampo revisionista s’intravvede: «Anni fa mi è scappato detto che l’ego di ognuno di quei ragazzi, me compreso, bastava a riempire una sala di riunione, per quanto grande fosse, senza lasciare più spazio a quello degli altri». Quelli della militanza rossa, per Galli, furono anni formidabili: «Ricordo di aver studiato molto, rimandando gli esami che avrei dovuto sostenere in quel periodo, e di essere andato in giro per l’Italia con Mario Capanna, il leader del Movimento, a parlarne in assemblee popolari, anche in aree ritenute a rischio ecologico. Per me ragazzino, una grande scuola per sviluppare le capacità oratorie». I tempi sono cambiati, ma sembra che a Galli l’idea di condurre una missione salvifica un po’ sia rimasta: «Il mio andare in tv o comparire sui giornali ha sempre avuto il solo scopo di poter parlare a tutti, portando posizioni basate su dati scientifici che bilanciassero un’informazione prona a dare spazio a notizie fasulle, spesso portate in malafede a sostegno di interessi di parte». Splendido: dopo il Galli rivoluzionario e il Galli seduttore, ora anche il Galli debunker. Non è stato un compito facile, a giudicare da quel che scrive: «Per quanto mi chiami Galli, non sono mai stato a mio agio nel pollaio dei talk show, in cui mi si interpella su temi tutt’altro che scientifici e mi si costringe al confronto con persone prive di qualsiasi competenza sui temi che pretendono di discutere, motivate da interessi con cui non ho e non voglio avere nulla a che fare». Pensate, lui veniva invitato perché faceva crescere gli ascolti («Mi è stato più volte dichiarato apertis verbis che la mia presenza in trasmissione era richiesta proprio per quel motivo»), ma poi doveva discutere con inferiori poco che si permettevano persino di contraddirlo: «Le esigenze dello share implicano una pericolosa coabitazione, in certe trasmissioni, con personaggi improponibili», sospira. Lo capiamo: qualche volta si è trovato a dover rendere conto delle sue mille capriole retoriche, e questo gli ha fatto perdere energie e tempo prezioso. Tempo che avrebbe potuto dedicare a discutere di cravatte con Pregliasco. Il povero professore, però, non dovrebbe prendersela troppo. La vita è così, una continua delusione. Lo stesso Galli ce ne fornisce una prova nel libro, parlando di quando era un giovane intellettuale e attivista comunista: «Noi volevamo e dovevamo studiare», scrive, «perché la società non poteva permettersi medici cialtroni». Non volevano medici cialtroni, e invece guardate come è andata a finire…