2024-09-10
        Ecco come l’asse Italia-Germania può cambiare il futuro dell’auto
    
 
Il governo e i liberali tedeschi (Fdp) sono stati i primi a sdoganare il no al divieto sui mezzi a combustione. Parte il pressing in Europa per definire i dettagli degli e-fuel e calcolare le emissioni sulla vita dei veicoli.La realtà si affaccia a Bruxelles e, improvvisamente, il bando de facto dei motori a combustione al 2035 nell’Unione europea non è più un dogma intangibile. Approvato solo 18 mesi fa, con la sola opposizione in Consiglio della Polonia e l’Italia astenuta, il nuovo regolamento europeo sulle emissioni nei trasporti per mezzo di veicoli leggeri prevede che dal 2035 le emissioni misurate allo scarico delle automobili siano pari a zero. Il che significa, di fatto, un obbligo di auto elettrica, essendo al momento inesistenti combustibili alternativi in grado di rispettare quella regolamentazione. O meglio, tali combustibili esistono, ma non dal punto di vista commerciale, per gli alti costi e la limitatezza della produzione.Nell’ultima settimana però le acque si sono agitate parecchio in Germania. Prima le elezioni in Sassonia e Turingia, dove Alternative für Deutschland ha superato il 30% dei voti e Sahra Wagenknecht ha raccolto tra il 12 e il 15% dei consensi. Poi l’annuncio choc dell’amministratore delegato di Volkswagen sulla possibile chiusura di uno o due stabilimenti in Germania, evento che ha lasciato una traccia profonda nell’opinione pubblica.Le difficoltà tedesche sono sia di consenso politico alla transizione, man mano che questa appare nella sua natura creatrice di diseguaglianze e di costi pesanti, sia industriali. La difficoltà della transizione verso l’auto elettrica è stata abbondantemente sottovalutata da tutti gli attori. Chi nella politica ha fatto i regolamenti ha stretto su tempi e tecnologia obbligata, mentre chi nell’industria si è lanciato a corpo morto sulla tecnologia si è scontrato con i costi, il controllo delle materie prime, la rapida obsolescenza tecnologica, la mancanza di una rete di rifornimenti (ciò vale soprattutto per le case tedesche). Chi nei media ha glorificato la nuova frontiera dell’auto «pulita» ha sottovalutato il fatto che un prodotto si vende se piace a chi lo deve comprare, e se questi può permetterselo.Ora però qualcuno a Berlino ha cominciato a preoccuparsi sul serio, tanto che i parlamentari del partito liberale Fdp, che assieme ai socialdemocratici e ai verdi sostengono il governo del cancelliere Olaf Scholz, hanno deciso di chiedere al governo di impegnarsi presso la Commissione europea per revocare il bando dei motori endotermici al 2035. Una proposta inaspettata, figlia della situazione tedesca, contro la quale è possibile che i verdi alzeranno le barricate. Pare però possibile che la proposta incontri un certo successo.In Italia a fare eco al Fdp tedesco è stata immediatamente la Lega di Matteo Salvini: «La Lega è pronta a chiedere la revoca del bando dei motori benzina e diesel dal 2035», si legge in una nota del partito. «Lo stop alla loro produzione sta già creando gravissimi danni all’economia europea, senza alcuna certezza di ottenere miglioramenti significativi dal punto di vista ambientale. Non a caso, la revoca del bando è tema di dibattito anche in Germania».A stretto giro, il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, durante il Workshop di Cernobbio di pochi giorni fa, ha annunciato che il 25 settembre ad un evento in Ungheria chiederà ai Paesi Ue di anticipare alla prima parte del 2025 la revisione della normativa. La clausola di revisione è già prevista dalla norma per la fine del 2026, ma a questo punto, visti anche i pessimi dati sulle immatricolazioni mensili in Europa e la situazione di crisi produttiva conclamata, fare chiarezza sulle intenzioni dell’Unione su questo settore è necessario. È importante notare che l’iniziativa del governo italiano è relativa appunto solo ad anticipare la revisione, visto che una revoca del regolamento deve formalmente passare proprio attraverso tale revisione.La strada per una revoca concreta del regolamento è ancora lunga e la partita è apertissima, dunque. Non è detto che la revisione porti al ritiro del bando dei motori a combustione interna. Soprattutto, sul tavolo a quel punto torneranno molti temi: la Commissione non ha ancora fatto quello che doveva fare, ovvero definire i dettagli sugli e-fuel e, come abbiamo spiegato su La Verità nei mesi scorsi, definire una metodologia condivisa per il Lca (Life cycle assessment), cioè il metodo ufficiale con cui calcolare le emissioni dell’automobile dalla nascita alla rottamazione.Sono questi due gli elementi tecnici su cui si giocherà la partita tecnologica. Entrano in gioco qui gli interessi tedeschi legati agli e-fuel e quelli italiani legati ai biocarburanti, che senza dubbio il governo italiano ha ben presenti. Non è escluso a questo punto un asse italo tedesco sul tema dei combustibili alternativi, che consentirebbe più tempo e più respiro per uno sviluppo del mercato di tali combustibili. L’incognita è rappresentata dalle case automobilistiche: è possibile gettare a mare miliardi di investimenti in nuovi modelli, gigafactory, batterie e quant’altro senza fare una piega? Difficile. Su tutto grava lo spettro dell’avanzata dell’auto cinese, non solo quella elettrica.Il fattore di novità è di ieri e riguarda la presentazione del rapporto di Mario Draghi sulla competitività. A parte la necessità di sviluppare «un piano per il settore dell’automobile» (un altro piano, in effetti mancava), Draghi invoca la neutralità tecnologica nella revisione della regolazione sulle emissioni delle automobili. Un aggancio importante, vista l’autorevolezza di chi lo propone.
        Container in arrivo al Port Jersey Container Terminal di New York (Getty Images)
    
        La maxi operazione nella favela di Rio de Janeiro. Nel riquadro, Gaetano Trivelli (Ansa)
    
        Nicolas Maduro e Hugo Chavez nel 2012. Maduro è stato ministro degli Esteri dal 2006 al 2013 (Ansa)
    
        Un disegno che ricostruisce i 16 mulini in serie del sito industriale di Barbegal, nel Sud della Francia (Getty Images)
    
Situato a circa 8 km a nord di Arelate (odierna Arles), il sito archeologico di Barbegal ha riportato alla luce una fabbrica per la macinazione del grano che, secondo gli studiosi, era in grado di servire una popolazione di circa 25.000 persone. Ma la vera meraviglia è la tecnica applicata allo stabilimento, dove le macine erano mosse da 16 mulini ad acqua in serie. Il sito di Barbegal, costruito si ritiene attorno al 2° secolo dC, si trova ai piedi di una collina rocciosa piuttosto ripida, con un gradiente del 30% circa. Le grandi ruote erano disposte all’esterno degli edifici di fabbrica centrali, 8 per lato. Erano alimentate da due acquedotti che convergevano in un canale la cui portata era regolata da chiuse che permettevano di controllare il flusso idraulico. 
Gli studi sui resti degli edifici, i cui muri perimetrali sono oggi ben visibili, hanno stabilito che l’impianto ha funzionato per almeno un secolo. La datazione è stata resa possibile dall’analisi dei resti delle ruote e dei canali di legno che portavano l’acqua alle pale. Anche questi ultimi erano stati perfettamente studiati, con la possibilità di regolarne l’inclinazione per ottimizzare la forza idraulica sulle ruote. La fabbrica era lunga 61 metri e larga 20, con una scala di passaggio tra un mulino e l’altro che la attraversava nel mezzo. Secondo le ipotesi a cui gli archeologi sono giunti studiando i resti dei mulini, il complesso di Barbegal avrebbe funzionato ciclicamente, con un’interruzione tra la fine dell’estate e l’autunno. Il fatto che questo periodo coincidesse con le partenze delle navi mercantili, ha fatto ritenere possibile che la produzione dei 16 mulini fosse dedicata alle derrate alimentari per i naviganti, che in quel periodo rifornivano le navi con scorte di pane a lunga conservazione per affrontare i lunghi mesi della navigazione commerciale.
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