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2022-10-06
Cinquant’anni di Front national: il partito che ha cambiato la politica francese
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Jean-Marie Le Pen nel 1972 (Getty Images)
Esattamente 50 anni fa, il 5 ottobre 1972, alla salle des Horticulteurs, in rue de Grenelle, a Parigi, nasceva il Front national pour l'unité française, presto denominato semplicemente Front national, ovvero quello che poi sarebbe diventato il principale partito d’opposizione identitaria in Francia, oggi ribattezzato Rassemblement national. La riunione inaugurale, alla presenza di una settantina di persone, avviene sotto gli auspici del movimento Ordre nouveau, organismo di natura militante che cercava un proprio strumento elettorale.
Come simbolo del neonato movimento viene mutuata la fiamma tricolore del Movimento sociale italiano, che proprio nel maggio del 1972 aveva ottenuto il suo maggior risultato elettorale di sempre, con l’8,7% alla Camera e il 9,2% al Senato. Alla guida c’è un triumvirato composto da Jean-Marie Le Pen, François Brigneau (tendenza On) e Guy Ribeaud (sodale dell’ex gollista Georges Bidault). Quest’ultimo, tuttavia, lascerà quasi subito, lasciando un vuoto che sarà riempito appunto da Le Pen.
Nato il 20 giugno 1928 a Trinité sur Mer, nel Morbihan, Jean-Marie Le Pen è figlio di Jean Le Pen, un armatore, e di Anne-Marie Hervé, di famiglia contadina. Egli è “pupillo della nazione”, termine che in Francia designa i figli delle vittime di guerra. Il peschereccio del padre, infatti, salterà su una mina, causando la morte dell’uomo. Nel novembre del 1944, a 16 anni, chiede di poter partecipare alla resistenza, ma viene respinto. Si laurea in scienze politiche, dopodiché svolge i più svariati mestieri, dal pescatore al minatore. Durante la guerra d’Indocina si arruola nel 1° Battaglione paracadutisti. Nel 1955 diventa delegato generale dell’Union de Défense de la jeunesse française di Pierre Poujade, il movimento anti-fisco simile al nostro qualunquismo. In quell’anno diventa il primo uomo politico francese a far eleggere un francese di religione musulmana, tale Ahmed Djebbour. Per difendere quest’ultimo in una rissa, nel 1958, prende un colpo all’occhio sinistro, del quale perderà progressivamente l’uso nel corso degli anni. Quanto a lui, eletto a 27 anni, diventa il più giovane parlamentare eletto all’Assemblée nationale. Nonostante la precoce e già brillante carriera politica, lascia i banchi parlamentari per andare a volontario nella guerra d’Algeria. Partecipa anche allo sbarco delle forze franco-britanniche a Suez. Decorato con la Croce al valore militare, dopo la guerra si impegna nella battaglia per l’Algeria francese. Dal suo primo matrimonio con Pierrette Lalanne (da cui divorzierà nel 1985) egli ha tre figli: Marie-Caroline, Yann, Marine, che a loro volta gli danno nove nipoti (tra questi, figlia di Yann, figura anche la futura deputata Marion Maréchal-Le Pen). Le Pen si risposa nel 1991 con Jeanne-Marie Paschos, detta Jany.
Gli obbiettivi che Le Pen e gli altri si pongono fondando il Front national sono comunque ambiziosi: si punta almeno al 3% nelle elezioni legislative del 1973. Le Pen annuncia 400 candidati ma alla fine riesce a presentarne solo 105. Il risultato delle urne è deludente: il partito ottiene 108.000 voti, pari all’1,3%. Anche il risultato alle presidenziali del 1974 è devastante: Le Pen ottiene appena lo 0,75% dei suffragi. Per il secondo turno, inviterà a votare Valéry Giscard d’Estaing. Alle legislative del 1978 non va meglio, dato che il Fn ottiene lo 0,33 %. Alle presidenziali del 1981 il Fn non riesce neanche a presentare le firme, mentre alle politiche ottiene lo 0,18%. Il momento è nerissimo, ma la riscossa è più vicina di quanto sembri. Alle cantonali del 1982 si resta ancora nell’ambito dello zero virgola (0,20%) ma con alcune importanti eccezioni: il 12,62% a Dreux-Ouest, il 13,30% a Grande-Synthe. L’anno successivo arriva il boom: alle comunali Le Pen ottiene l’11,3% nel 20° arrondissement di Parigi. Alle comunali di Dreux Jean-Pierre Stirbois ottiene il 16,7%.
Dopo aver fatto irruzione sulla scena politica francese, non resta che capitalizzare l’effetto novità. Il 13 febbraio 1984 Le Pen viene invitato per la prima volta alla popolare trasmissione televisiva L’Heure de vérité. La Francia scopre un politico nuovo, brillante e controcorrente. Appena dopo l’exploit televisivo, le intenzioni di voto per il Fn passano dal 3,5 al 7%. Alle Europee di quell’anno il partito ottiene il 10,95% dei voti, il che significa più di due milioni di suffragi e 10 candidati eletti. Da lì, la strada è in discesa. Presidenziali 1988: 14,38%; politiche 1988: 9,66%; europee 1989: 11,73%; politiche 1993: 12,42%; europee 1994: 10,52%; presidenziali 1995: 15% politiche 1997: 14,94%. Il successo, però, crea anche divisioni e mire personali. Nel 1998, Bruno Mégret fonda il Mouvement national républicain, che però scompare quasi subito. Il Front national, invece, ottiene il 16.86% dei voti alla presidenziali del 2002 e Le Pen e va al ballottaggio contro Jacques Chirac (19,88%), che si assicurerà i voti della sinistra e stravincerà. Ma ormai il dado è tratto.
L’ascesa dell’aggressivo Nicolas Sarkozy, tuttavia, porta a un risultato non brillante nelle presidenziali del 2007. Le Pen raccoglie solo il 10,54%. Pochi mesi dopo, alle politiche, il Fn prende appena il 5%. Intanto, però, l’astro di Marine Le Pen sta sorgendo. Al congresso di Tous del gennaio 2011, Marine viene eletta presidente del partito con il 67,65% dei voti dei militanti. Alle presidenziali del 2012, la nuova leader del partito ottiene il 17,80%, il miglior risultato nelle elezioni per l’Eliseo, che tuttavia non gli valgono l’accesso al secondo turno. Ci arriverà nel 2017 e, dopo aver cambiato il nome del partito in Rassemblement national nel 2018, nel 2022, in entrambi i casi battuta al ballottaggio da Emmanuel Macron.
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Il 5 ottobre 1972 nasceva a Parigi il partito di Jean-Marie Le Pen, poi passato alla figlia Marine e oggi ribattezzato Rassemblement national, il più importante movimento identitario europeo.Esattamente 50 anni fa, il 5 ottobre 1972, alla salle des Horticulteurs, in rue de Grenelle, a Parigi, nasceva il Front national pour l'unité française, presto denominato semplicemente Front national, ovvero quello che poi sarebbe diventato il principale partito d’opposizione identitaria in Francia, oggi ribattezzato Rassemblement national. La riunione inaugurale, alla presenza di una settantina di persone, avviene sotto gli auspici del movimento Ordre nouveau, organismo di natura militante che cercava un proprio strumento elettorale.Come simbolo del neonato movimento viene mutuata la fiamma tricolore del Movimento sociale italiano, che proprio nel maggio del 1972 aveva ottenuto il suo maggior risultato elettorale di sempre, con l’8,7% alla Camera e il 9,2% al Senato. Alla guida c’è un triumvirato composto da Jean-Marie Le Pen, François Brigneau (tendenza On) e Guy Ribeaud (sodale dell’ex gollista Georges Bidault). Quest’ultimo, tuttavia, lascerà quasi subito, lasciando un vuoto che sarà riempito appunto da Le Pen. Nato il 20 giugno 1928 a Trinité sur Mer, nel Morbihan, Jean-Marie Le Pen è figlio di Jean Le Pen, un armatore, e di Anne-Marie Hervé, di famiglia contadina. Egli è “pupillo della nazione”, termine che in Francia designa i figli delle vittime di guerra. Il peschereccio del padre, infatti, salterà su una mina, causando la morte dell’uomo. Nel novembre del 1944, a 16 anni, chiede di poter partecipare alla resistenza, ma viene respinto. Si laurea in scienze politiche, dopodiché svolge i più svariati mestieri, dal pescatore al minatore. Durante la guerra d’Indocina si arruola nel 1° Battaglione paracadutisti. Nel 1955 diventa delegato generale dell’Union de Défense de la jeunesse française di Pierre Poujade, il movimento anti-fisco simile al nostro qualunquismo. In quell’anno diventa il primo uomo politico francese a far eleggere un francese di religione musulmana, tale Ahmed Djebbour. Per difendere quest’ultimo in una rissa, nel 1958, prende un colpo all’occhio sinistro, del quale perderà progressivamente l’uso nel corso degli anni. Quanto a lui, eletto a 27 anni, diventa il più giovane parlamentare eletto all’Assemblée nationale. Nonostante la precoce e già brillante carriera politica, lascia i banchi parlamentari per andare a volontario nella guerra d’Algeria. Partecipa anche allo sbarco delle forze franco-britanniche a Suez. Decorato con la Croce al valore militare, dopo la guerra si impegna nella battaglia per l’Algeria francese. Dal suo primo matrimonio con Pierrette Lalanne (da cui divorzierà nel 1985) egli ha tre figli: Marie-Caroline, Yann, Marine, che a loro volta gli danno nove nipoti (tra questi, figlia di Yann, figura anche la futura deputata Marion Maréchal-Le Pen). Le Pen si risposa nel 1991 con Jeanne-Marie Paschos, detta Jany. Gli obbiettivi che Le Pen e gli altri si pongono fondando il Front national sono comunque ambiziosi: si punta almeno al 3% nelle elezioni legislative del 1973. Le Pen annuncia 400 candidati ma alla fine riesce a presentarne solo 105. Il risultato delle urne è deludente: il partito ottiene 108.000 voti, pari all’1,3%. Anche il risultato alle presidenziali del 1974 è devastante: Le Pen ottiene appena lo 0,75% dei suffragi. Per il secondo turno, inviterà a votare Valéry Giscard d’Estaing. Alle legislative del 1978 non va meglio, dato che il Fn ottiene lo 0,33 %. Alle presidenziali del 1981 il Fn non riesce neanche a presentare le firme, mentre alle politiche ottiene lo 0,18%. Il momento è nerissimo, ma la riscossa è più vicina di quanto sembri. Alle cantonali del 1982 si resta ancora nell’ambito dello zero virgola (0,20%) ma con alcune importanti eccezioni: il 12,62% a Dreux-Ouest, il 13,30% a Grande-Synthe. L’anno successivo arriva il boom: alle comunali Le Pen ottiene l’11,3% nel 20° arrondissement di Parigi. Alle comunali di Dreux Jean-Pierre Stirbois ottiene il 16,7%. Dopo aver fatto irruzione sulla scena politica francese, non resta che capitalizzare l’effetto novità. Il 13 febbraio 1984 Le Pen viene invitato per la prima volta alla popolare trasmissione televisiva L’Heure de vérité. La Francia scopre un politico nuovo, brillante e controcorrente. Appena dopo l’exploit televisivo, le intenzioni di voto per il Fn passano dal 3,5 al 7%. Alle Europee di quell’anno il partito ottiene il 10,95% dei voti, il che significa più di due milioni di suffragi e 10 candidati eletti. Da lì, la strada è in discesa. Presidenziali 1988: 14,38%; politiche 1988: 9,66%; europee 1989: 11,73%; politiche 1993: 12,42%; europee 1994: 10,52%; presidenziali 1995: 15% politiche 1997: 14,94%. Il successo, però, crea anche divisioni e mire personali. Nel 1998, Bruno Mégret fonda il Mouvement national républicain, che però scompare quasi subito. Il Front national, invece, ottiene il 16.86% dei voti alla presidenziali del 2002 e Le Pen e va al ballottaggio contro Jacques Chirac (19,88%), che si assicurerà i voti della sinistra e stravincerà. Ma ormai il dado è tratto.L’ascesa dell’aggressivo Nicolas Sarkozy, tuttavia, porta a un risultato non brillante nelle presidenziali del 2007. Le Pen raccoglie solo il 10,54%. Pochi mesi dopo, alle politiche, il Fn prende appena il 5%. Intanto, però, l’astro di Marine Le Pen sta sorgendo. Al congresso di Tous del gennaio 2011, Marine viene eletta presidente del partito con il 67,65% dei voti dei militanti. Alle presidenziali del 2012, la nuova leader del partito ottiene il 17,80%, il miglior risultato nelle elezioni per l’Eliseo, che tuttavia non gli valgono l’accesso al secondo turno. Ci arriverà nel 2017 e, dopo aver cambiato il nome del partito in Rassemblement national nel 2018, nel 2022, in entrambi i casi battuta al ballottaggio da Emmanuel Macron.
Orazio Schillaci (Ansa)
Stiamo parlando della Cceps, la commissione centrale esercenti professioni sanitarie che funziona come una sorta di Corte d’Appello. Due giorni fa doveva svolgersi a Roma l’udienza, fissata a ridosso del Natale per esaminare i ricorsi di almeno 25 medici radiati dall’Ordine. Nemmeno il tempo di aprire la seduta, e subito è stata rinviata con data da destinarsi.
Il 18 sera, infatti, l’indipendenza e imparzialità dei componenti della Cceps è stata messa in discussione dalle istanze di ricusazione di uno dei legali dei medici radiati, l’avvocato Mauro Sandri. La presidente e il suo vice, così pure diversi membri dell’organo del ministero della Salute che esercita il giudizio di secondo grado, si sono già espressi contro le critiche nei confronti del vaccino Covid. In alcuni casi, anche contro gli stessi dottori che hanno presentato ricorso, si legge nella memoria di ricusazione.
Una cosa inaudita, che vanificherebbe qualsiasi conclusione della commissione. Non attiva da anni, la Cceps era stata ricostituita lo scorso ottobre dal ministro Schillaci su pressione di Filippo Anelli, presidente Fnomceo, la Federazione nazionale degli Ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri. A marzo, il capo dei medici si lamentava perché il ricorso «di fatto vanifica l’azione sanzionatoria degli Ordini, facendo sì che medici sospesi o addirittura radiati continuino a esercitare».
Così, per liquidare in fretta la questione, in un’udienza fissata per trattare i soli procedimenti dei medici radiati (in violazione del normale calendario), tutte le memorie scritte dei difensori dovevano essere presentate nella stessa mattinata del 19 e «date in pasto» a medici, a magistrati che il loro giudizio già l’hanno formulato.
Le istanze di ricusazione presentate dall’avvocato Sandri sono state nei confronti della presidente della Cceps, Giulia Ferrari, in quanto come componente del Consiglio di Stato ha partecipato alla stesura di numerose sentenze nelle quali ha «sempre respinto le domande di illegittimità delle sospensioni dal lavoro avanzate da pubblici dipendenti».
E nei confronti del vice presidente Oscar Marongiu «che ha partecipato a decisioni di contenuto analogo quale componente del Tar di Cagliari». Ma non è finita. La maggior parte dei componenti la Cceps per quanto riguarda i ricorsi dei medici sono professionisti che hanno fatto parte di Consigli dell'Ordine, che hanno emesso provvedimenti di radiazione e che hanno espresso, prima del processo, opinioni che fanno già chiaramente trasparire la posizione che avranno nel giudizio di secondo grado.
Tra questi c’è Giovanni Leoni, presidente dell’Ordine dei medici chirurghi e odontoiatri della Provincia di Venezia e vice presidente nazionale Fnomceo. Il presidente a luglio 2022 si era opposto all’idea dell’allora governatore Luca Zaia di reintegrare i medici sospesi perché non vaccinati: «Sarebbe un pessimo messaggio», disse. E che aveva definito l’abolizione della sanzione ai no vax «un premio ai furbetti. Questa scelta non è un messaggio educativo alla popolazione sul rispetto delle regole». Qualcuno ha dei dubbi su come Leoni giudicherà il ricorso di medici quali Ennio Caggiano, Barbara Balanzoni, Fabio Milani, Riccardo Szumski? Sono solo alcuni dei dottori stimati, amati dai loro pazienti, però presi di mira dagli Ordini professionali perché osavano contrastare la non scienza imposta con i dpcm di Speranza e Conte.
Ennio Caggiano di Camponogara, nel Veneziano mandato a processo per aver compilato 16 certificati di esenzione dal vaccino ritenuti falsi dalla Procura di Venezia, è stato assolto da ogni accusa pochi mesi fa. Eppure il 20 maggio del 2022 il presidente dell’Ordine dei medici di Venezia ne firmò la radiazione. Oggi il medico si dice sconcertato di sapere che lo stesso Leoni dovrebbe valutare il suo ricorso. «L’incompatibilità assoluta. Invece di chiudere una vicenda che si trascina da anni, analizzando oggettivamente i fatti, vogliono ribadire che avevano ragione. È una cosa ridicola e tragica nello stesso tempo».
Un periodo, quello della pandemia e dei diktat, segnato anche da brutte storie di delazioni. Fabio Milani, stimato professionista bolognese non vaccinato, nel dicembre del 2021 curò con antibiotico e cortisone una famiglia con polmonite da Covid abbandonata a Tachipirina e vigile attesa dal proprio medico di famiglia. Segnalato dal collega all'Ordine, aveva subìto un lungo processo per esercizio abusivo della professione, conclusosi nel gennaio 2025 perché «il fatto non sussiste». Ma non era finita. Il medico venne radiato nell’agosto 2022 con l’accusa di aver violato il codice deontologico. Con quale imparzialità sarà giudicato in secondo grado da una simile commissione?
«Nessun medico radiato può essere giudicato per avere espresso opinioni critiche sulla gestione dell'emergenza sanitaria», ribadisce l’avvocato Sandri. «Nessuno mi ha denunciato per aver maltrattato un paziente», osserva Riccardo Szumski, il consigliere di Resistere Veneto risultato tra i più eletti alle ultime Regionali, evidenziando l’assurdità di una sanzione così grave. «Mi sembra una commissione non a tutela dei medici e dei pazienti, ma dell’obbedienza a ogni costo. E Schillaci era un collaboratore dell’ex ministro Roberto Speranza. Nella mia radiazione venne citata la frase del presidente Sergio Mattarella “non si invochi la libertà per sottrarsi all’obbligo vaccinale” ma la libertà, secondo me, è un bene assoluto».
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Antonio Filosa (Ansa)
La Commissione sta semplicemente «rinviando» l’obiettivo: l’impianto che aveva portato all’azzeramento delle emissioni allo scarico (e quindi alla fine dei motori termici) viene riformulato con un abbassamento delle emissioni del 90% rispetto al 2021. Il 10% residuo verrebbe coperto tramite strumenti di compensazione lungo la catena del valore: come, ad esempio, prodotti a minore intensità carbonica (acciaio low-carbon) e carburanti sostenibili. Quella voluta dell’Ue è una flessibilità «contabile» più che tecnologica, secondo il manager.
Filosa sostiene che questa architettura rischia di introdurre costi e complessità che i costruttori «di massa» assorbono peggio di quelli premium: «È una misura il cui costo potrebbe non essere alla portata dei costruttori di volume che servono la maggior parte dei cittadini». Tradotto: se la conformità dipende da risorse scarse (acciaio verde, e-fuels/biocarburanti certificati) con prezzi elevati e volatilità, il rischio è che tutti i problemi si scarichino proprio sui segmenti più sensibili al prezzo, comprimendo volumi e margini.
Stellantis segnala che non vede strumenti «ponte» sufficienti per rendere praticabile la transizione, in particolare nei veicoli commerciali, dove la competitività dell’elettrico dipende molto più che nelle auto da infrastrutture di ricarica, costo dell’energia, pianificazione flotte e disponibilità prodotto. Se l’adozione dei motori elettrici resta importante, il blocco al 2035 non genera crescita: può solo spostare i problemi su regole di compensazione e materiali verdi e costosi. La reazione dell’industria è dunque polarizzata: Renault valuta il pacchetto come un tentativo di gestire alcune criticità, mentre l’associazione industriale tedesca Vda lo bolla come «disastroso» per gli ostacoli pratici e di implementazione. La Commissione, invece, nega che si tratti di un arretramento: Stéphane Séjourné, commissario europeo per il mercato interno e i servizi, afferma che l’Europa non mette in discussione gli obiettivi climatici. Un altro funzionario Ue difende l’uso di questi meccanismi perché dovrebbero «creare un mercato di sbocco» per tecnologie e materiali necessari alla transizione.
Nel dibattito, inoltre, c’è anche l’asimmetria regolatoria transatlantica: negli Stati Uniti si osserva una traiettoria più favorevole per ibridi e termici, con revisione di incentivi e standard; non a caso Stellantis ha annunciato un piano di investimenti molto rilevante negli Usa. Il messaggio implicito è che, a parità di vincoli, la stabilità e l’economia della domanda influenzano dove si costruiscono capacità e catena del valore.
La verità è che la partita vera non è lo slogan «stop ai termici sì o no», ma la definizione dei dettagli che porteranno verso una transizione sostenibile: in particolare, si tratta della definizione di carburanti sostenibili e delle regole Mrv (monitoring, reporting, verification, un sistema obbligatorio dell'Unione Europea per il monitoraggio, la comunicazione e la verifica delle emissioni di gas serra) sulle norme industriali e, soprattutto, sulle misure lato domanda/infrastrutture che evitino che la compliance diventi un costo fisso.
Stellantis sostiene che, così com’è, la proposta non crea le sufficienti condizioni per crescere; la Commissione europea, dal canto suo, replica che serve una flessibilità che spinga filiere verdi europee senza abbandonare gli obiettivi industriali.
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