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2022-10-06
Cinquant’anni di Front national: il partito che ha cambiato la politica francese
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Jean-Marie Le Pen nel 1972 (Getty Images)
Esattamente 50 anni fa, il 5 ottobre 1972, alla salle des Horticulteurs, in rue de Grenelle, a Parigi, nasceva il Front national pour l'unité française, presto denominato semplicemente Front national, ovvero quello che poi sarebbe diventato il principale partito d’opposizione identitaria in Francia, oggi ribattezzato Rassemblement national. La riunione inaugurale, alla presenza di una settantina di persone, avviene sotto gli auspici del movimento Ordre nouveau, organismo di natura militante che cercava un proprio strumento elettorale.
Come simbolo del neonato movimento viene mutuata la fiamma tricolore del Movimento sociale italiano, che proprio nel maggio del 1972 aveva ottenuto il suo maggior risultato elettorale di sempre, con l’8,7% alla Camera e il 9,2% al Senato. Alla guida c’è un triumvirato composto da Jean-Marie Le Pen, François Brigneau (tendenza On) e Guy Ribeaud (sodale dell’ex gollista Georges Bidault). Quest’ultimo, tuttavia, lascerà quasi subito, lasciando un vuoto che sarà riempito appunto da Le Pen.
Nato il 20 giugno 1928 a Trinité sur Mer, nel Morbihan, Jean-Marie Le Pen è figlio di Jean Le Pen, un armatore, e di Anne-Marie Hervé, di famiglia contadina. Egli è “pupillo della nazione”, termine che in Francia designa i figli delle vittime di guerra. Il peschereccio del padre, infatti, salterà su una mina, causando la morte dell’uomo. Nel novembre del 1944, a 16 anni, chiede di poter partecipare alla resistenza, ma viene respinto. Si laurea in scienze politiche, dopodiché svolge i più svariati mestieri, dal pescatore al minatore. Durante la guerra d’Indocina si arruola nel 1° Battaglione paracadutisti. Nel 1955 diventa delegato generale dell’Union de Défense de la jeunesse française di Pierre Poujade, il movimento anti-fisco simile al nostro qualunquismo. In quell’anno diventa il primo uomo politico francese a far eleggere un francese di religione musulmana, tale Ahmed Djebbour. Per difendere quest’ultimo in una rissa, nel 1958, prende un colpo all’occhio sinistro, del quale perderà progressivamente l’uso nel corso degli anni. Quanto a lui, eletto a 27 anni, diventa il più giovane parlamentare eletto all’Assemblée nationale. Nonostante la precoce e già brillante carriera politica, lascia i banchi parlamentari per andare a volontario nella guerra d’Algeria. Partecipa anche allo sbarco delle forze franco-britanniche a Suez. Decorato con la Croce al valore militare, dopo la guerra si impegna nella battaglia per l’Algeria francese. Dal suo primo matrimonio con Pierrette Lalanne (da cui divorzierà nel 1985) egli ha tre figli: Marie-Caroline, Yann, Marine, che a loro volta gli danno nove nipoti (tra questi, figlia di Yann, figura anche la futura deputata Marion Maréchal-Le Pen). Le Pen si risposa nel 1991 con Jeanne-Marie Paschos, detta Jany.
Gli obbiettivi che Le Pen e gli altri si pongono fondando il Front national sono comunque ambiziosi: si punta almeno al 3% nelle elezioni legislative del 1973. Le Pen annuncia 400 candidati ma alla fine riesce a presentarne solo 105. Il risultato delle urne è deludente: il partito ottiene 108.000 voti, pari all’1,3%. Anche il risultato alle presidenziali del 1974 è devastante: Le Pen ottiene appena lo 0,75% dei suffragi. Per il secondo turno, inviterà a votare Valéry Giscard d’Estaing. Alle legislative del 1978 non va meglio, dato che il Fn ottiene lo 0,33 %. Alle presidenziali del 1981 il Fn non riesce neanche a presentare le firme, mentre alle politiche ottiene lo 0,18%. Il momento è nerissimo, ma la riscossa è più vicina di quanto sembri. Alle cantonali del 1982 si resta ancora nell’ambito dello zero virgola (0,20%) ma con alcune importanti eccezioni: il 12,62% a Dreux-Ouest, il 13,30% a Grande-Synthe. L’anno successivo arriva il boom: alle comunali Le Pen ottiene l’11,3% nel 20° arrondissement di Parigi. Alle comunali di Dreux Jean-Pierre Stirbois ottiene il 16,7%.
Dopo aver fatto irruzione sulla scena politica francese, non resta che capitalizzare l’effetto novità. Il 13 febbraio 1984 Le Pen viene invitato per la prima volta alla popolare trasmissione televisiva L’Heure de vérité. La Francia scopre un politico nuovo, brillante e controcorrente. Appena dopo l’exploit televisivo, le intenzioni di voto per il Fn passano dal 3,5 al 7%. Alle Europee di quell’anno il partito ottiene il 10,95% dei voti, il che significa più di due milioni di suffragi e 10 candidati eletti. Da lì, la strada è in discesa. Presidenziali 1988: 14,38%; politiche 1988: 9,66%; europee 1989: 11,73%; politiche 1993: 12,42%; europee 1994: 10,52%; presidenziali 1995: 15% politiche 1997: 14,94%. Il successo, però, crea anche divisioni e mire personali. Nel 1998, Bruno Mégret fonda il Mouvement national républicain, che però scompare quasi subito. Il Front national, invece, ottiene il 16.86% dei voti alla presidenziali del 2002 e Le Pen e va al ballottaggio contro Jacques Chirac (19,88%), che si assicurerà i voti della sinistra e stravincerà. Ma ormai il dado è tratto.
L’ascesa dell’aggressivo Nicolas Sarkozy, tuttavia, porta a un risultato non brillante nelle presidenziali del 2007. Le Pen raccoglie solo il 10,54%. Pochi mesi dopo, alle politiche, il Fn prende appena il 5%. Intanto, però, l’astro di Marine Le Pen sta sorgendo. Al congresso di Tous del gennaio 2011, Marine viene eletta presidente del partito con il 67,65% dei voti dei militanti. Alle presidenziali del 2012, la nuova leader del partito ottiene il 17,80%, il miglior risultato nelle elezioni per l’Eliseo, che tuttavia non gli valgono l’accesso al secondo turno. Ci arriverà nel 2017 e, dopo aver cambiato il nome del partito in Rassemblement national nel 2018, nel 2022, in entrambi i casi battuta al ballottaggio da Emmanuel Macron.
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Il 5 ottobre 1972 nasceva a Parigi il partito di Jean-Marie Le Pen, poi passato alla figlia Marine e oggi ribattezzato Rassemblement national, il più importante movimento identitario europeo.Esattamente 50 anni fa, il 5 ottobre 1972, alla salle des Horticulteurs, in rue de Grenelle, a Parigi, nasceva il Front national pour l'unité française, presto denominato semplicemente Front national, ovvero quello che poi sarebbe diventato il principale partito d’opposizione identitaria in Francia, oggi ribattezzato Rassemblement national. La riunione inaugurale, alla presenza di una settantina di persone, avviene sotto gli auspici del movimento Ordre nouveau, organismo di natura militante che cercava un proprio strumento elettorale.Come simbolo del neonato movimento viene mutuata la fiamma tricolore del Movimento sociale italiano, che proprio nel maggio del 1972 aveva ottenuto il suo maggior risultato elettorale di sempre, con l’8,7% alla Camera e il 9,2% al Senato. Alla guida c’è un triumvirato composto da Jean-Marie Le Pen, François Brigneau (tendenza On) e Guy Ribeaud (sodale dell’ex gollista Georges Bidault). Quest’ultimo, tuttavia, lascerà quasi subito, lasciando un vuoto che sarà riempito appunto da Le Pen. Nato il 20 giugno 1928 a Trinité sur Mer, nel Morbihan, Jean-Marie Le Pen è figlio di Jean Le Pen, un armatore, e di Anne-Marie Hervé, di famiglia contadina. Egli è “pupillo della nazione”, termine che in Francia designa i figli delle vittime di guerra. Il peschereccio del padre, infatti, salterà su una mina, causando la morte dell’uomo. Nel novembre del 1944, a 16 anni, chiede di poter partecipare alla resistenza, ma viene respinto. Si laurea in scienze politiche, dopodiché svolge i più svariati mestieri, dal pescatore al minatore. Durante la guerra d’Indocina si arruola nel 1° Battaglione paracadutisti. Nel 1955 diventa delegato generale dell’Union de Défense de la jeunesse française di Pierre Poujade, il movimento anti-fisco simile al nostro qualunquismo. In quell’anno diventa il primo uomo politico francese a far eleggere un francese di religione musulmana, tale Ahmed Djebbour. Per difendere quest’ultimo in una rissa, nel 1958, prende un colpo all’occhio sinistro, del quale perderà progressivamente l’uso nel corso degli anni. Quanto a lui, eletto a 27 anni, diventa il più giovane parlamentare eletto all’Assemblée nationale. Nonostante la precoce e già brillante carriera politica, lascia i banchi parlamentari per andare a volontario nella guerra d’Algeria. Partecipa anche allo sbarco delle forze franco-britanniche a Suez. Decorato con la Croce al valore militare, dopo la guerra si impegna nella battaglia per l’Algeria francese. Dal suo primo matrimonio con Pierrette Lalanne (da cui divorzierà nel 1985) egli ha tre figli: Marie-Caroline, Yann, Marine, che a loro volta gli danno nove nipoti (tra questi, figlia di Yann, figura anche la futura deputata Marion Maréchal-Le Pen). Le Pen si risposa nel 1991 con Jeanne-Marie Paschos, detta Jany. Gli obbiettivi che Le Pen e gli altri si pongono fondando il Front national sono comunque ambiziosi: si punta almeno al 3% nelle elezioni legislative del 1973. Le Pen annuncia 400 candidati ma alla fine riesce a presentarne solo 105. Il risultato delle urne è deludente: il partito ottiene 108.000 voti, pari all’1,3%. Anche il risultato alle presidenziali del 1974 è devastante: Le Pen ottiene appena lo 0,75% dei suffragi. Per il secondo turno, inviterà a votare Valéry Giscard d’Estaing. Alle legislative del 1978 non va meglio, dato che il Fn ottiene lo 0,33 %. Alle presidenziali del 1981 il Fn non riesce neanche a presentare le firme, mentre alle politiche ottiene lo 0,18%. Il momento è nerissimo, ma la riscossa è più vicina di quanto sembri. Alle cantonali del 1982 si resta ancora nell’ambito dello zero virgola (0,20%) ma con alcune importanti eccezioni: il 12,62% a Dreux-Ouest, il 13,30% a Grande-Synthe. L’anno successivo arriva il boom: alle comunali Le Pen ottiene l’11,3% nel 20° arrondissement di Parigi. Alle comunali di Dreux Jean-Pierre Stirbois ottiene il 16,7%. Dopo aver fatto irruzione sulla scena politica francese, non resta che capitalizzare l’effetto novità. Il 13 febbraio 1984 Le Pen viene invitato per la prima volta alla popolare trasmissione televisiva L’Heure de vérité. La Francia scopre un politico nuovo, brillante e controcorrente. Appena dopo l’exploit televisivo, le intenzioni di voto per il Fn passano dal 3,5 al 7%. Alle Europee di quell’anno il partito ottiene il 10,95% dei voti, il che significa più di due milioni di suffragi e 10 candidati eletti. Da lì, la strada è in discesa. Presidenziali 1988: 14,38%; politiche 1988: 9,66%; europee 1989: 11,73%; politiche 1993: 12,42%; europee 1994: 10,52%; presidenziali 1995: 15% politiche 1997: 14,94%. Il successo, però, crea anche divisioni e mire personali. Nel 1998, Bruno Mégret fonda il Mouvement national républicain, che però scompare quasi subito. Il Front national, invece, ottiene il 16.86% dei voti alla presidenziali del 2002 e Le Pen e va al ballottaggio contro Jacques Chirac (19,88%), che si assicurerà i voti della sinistra e stravincerà. Ma ormai il dado è tratto.L’ascesa dell’aggressivo Nicolas Sarkozy, tuttavia, porta a un risultato non brillante nelle presidenziali del 2007. Le Pen raccoglie solo il 10,54%. Pochi mesi dopo, alle politiche, il Fn prende appena il 5%. Intanto, però, l’astro di Marine Le Pen sta sorgendo. Al congresso di Tous del gennaio 2011, Marine viene eletta presidente del partito con il 67,65% dei voti dei militanti. Alle presidenziali del 2012, la nuova leader del partito ottiene il 17,80%, il miglior risultato nelle elezioni per l’Eliseo, che tuttavia non gli valgono l’accesso al secondo turno. Ci arriverà nel 2017 e, dopo aver cambiato il nome del partito in Rassemblement national nel 2018, nel 2022, in entrambi i casi battuta al ballottaggio da Emmanuel Macron.
Da sinistra: Bruno Migale, Ezio Simonelli, Vittorio Pisani, Luigi De Siervo, Diego Parente e Maurizio Improta
Questa mattina la Lega Serie A ha ricevuto il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, insieme ad altri vertici della Polizia, per un incontro dedicato alla sicurezza negli stadi e alla gestione dell’ordine pubblico. Obiettivo comune: sviluppare strumenti e iniziative per un calcio più sicuro, inclusivo e rispettoso.
Oggi, negli uffici milanesi della Lega Calcio Serie A, il mondo del calcio professionistico ha ospitato le istituzioni di pubblica sicurezza per un confronto diretto e costruttivo.
Il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, accompagnato da alcune delle figure chiave del dipartimento - il questore di Milano Bruno Migale, il dirigente generale di P.S. prefetto Diego Parente e il presidente dell’Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive Maurizio Improta - ha incontrato i vertici della Lega, guidati dal presidente Ezio Simonelli, dall’amministratore delegato Luigi De Siervo e dall’head of competitions Andrea Butti.
Al centro dell’incontro, durato circa un’ora, temi di grande rilevanza per il calcio italiano: la sicurezza negli stadi e la gestione dell’ordine pubblico durante le partite di Serie A. Secondo quanto emerso, si è trattato di un momento di dialogo concreto, volto a rafforzare la collaborazione tra istituzioni e club, con l’obiettivo di rendere le competizioni sportive sempre più sicure per tifosi, giocatori e operatori.
Il confronto ha permesso di condividere esperienze, criticità e prospettive future, aprendo la strada a un percorso comune per sviluppare strumenti e iniziative capaci di garantire un ambiente rispettoso e inclusivo. La volontà di entrambe le parti è chiara: non solo prevenire episodi di violenza o disordine, ma anche favorire la cultura del rispetto, elemento indispensabile per la crescita del calcio italiano e per la tutela dei tifosi.
«L’incontro di oggi rappresenta un passo importante nella collaborazione tra Lega e Forze dell’Ordine», si sottolinea nella nota ufficiale diffusa al termine della visita dalla Lega Serie A. L’intenzione condivisa è quella di creare un dialogo costante, capace di tradursi in azioni concrete, procedure aggiornate e interventi mirati negli stadi di tutta Italia.
In un contesto sportivo sempre più complesso, dove la passione dei tifosi può trasformarsi rapidamente in tensione, il dialogo tra Lega e Polizia appare strategico. La sfida, spiegano i partecipanti, è costruire una rete di sicurezza che sia preventiva, reattiva e sostenibile, tutelando chi partecipa agli eventi senza compromettere l’atmosfera che caratterizza il calcio italiano.
L’appuntamento di Milano conferma come la sicurezza negli stadi non sia solo un tema operativo, ma un valore condiviso: la Serie A e le forze dell’ordine intendono camminare insieme, passo dopo passo, verso un calcio sempre più sicuro, inclusivo e rispettoso.
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Due bambini svaniti nel nulla. Mamma e papà non hanno potuto fargli neppure gli auguri di compleanno, qualche giorno fa, quando i due fratellini hanno compiuto 5 e 9 anni in comunità. Eppure una telefonata non si nega neanche al peggior delinquente. Dunque perché a questi genitori viene negato il diritto di vedere e sentire i loro figli? Qual è la grave colpa che avrebbero commesso visto che i bimbi stavano bene?
Un allontanamento che oggi mostra troppi lati oscuri. A partire dal modo in cui quel 16 ottobre i bimbi sono stati portati via con la forza, tra le urla strazianti. Alle ore 11.10, come denunciano le telecamere di sorveglianza della casa, i genitori vengono attirati fuori al cancello da due carabinieri. Alle 11.29 spuntano dal bosco una decina di agenti, armati di tutto punto e col giubbotto antiproiettile. E mentre gridano «Pigliali, pigliali tutti!» fanno irruzione nella casa, dove si trovano, da soli, i bambini. I due fratellini vengono portati fuori dagli agenti, il più piccolo messo a sedere, sulle scale, col pigiamino e senza scarpe. E solo quindici minuti dopo, alle 11,43, come registrano le telecamere, arrivano le assistenti sociali che portano via i bambini tra le urla disperate.
Una procedura al di fuori di ogni regola. Che però ottiene l’appoggio della giudice Nadia Todeschini, del Tribunale dei minori di Firenze. Come riferisce un ispettore ripreso dalle telecamere di sorveglianza della casa: «Ho telefonato alla giudice e le ho detto: “Dottoressa, l’operazione è andata bene. I bambini sono con i carabinieri. E adesso sono arrivati gli assistenti sociali”. E la giudice ha risposto: “Non so come ringraziarvi!”».
Dunque, chi ha dato l’ordine di agire in questo modo? E che trauma è stato inferto a questi bambini? Giriamo la domanda a Marina Terragni, Garante per l’infanzia e l’adolescenza. «Per la nostra Costituzione un bambino non può essere prelevato con la forza», conferma, «per di più se non è in borghese. Ci sono delle sentenze della Cassazione. Queste modalità non sono conformi allo Stato di diritto. Se il bambino non vuole andare, i servizi sociali si debbono fermare. Purtroppo ci stiamo abituando a qualcosa che è fuori legge».
Proviamo a chiedere spiegazioni ai servizi sociali dell’unione Montana dei comuni Valtiberina, ma l’accoglienza non è delle migliori. Prima minacciano di chiamare i carabinieri. Poi, la più giovane ci chiude la porta in faccia con un calcio. È Veronica Savignani, che quella mattina, come mostrano le telecamere, afferra il bimbo come un pacco. E mentre lui scalcia e grida disperato - «Aiuto! Lasciatemi andare» - lei lo rimprovera: «Ma perché urli?». Dopo un po’ i toni cambiano. Esce a parlarci Sara Spaterna. C’era anche lei quel giorno, con la collega Roberta Agostini, per portare via i bambini. Ma l’unica cosa di cui si preoccupa è che «è stata rovinata la sua immagine». E alle nostre domande ripete come una cantilena: «Non posso rispondere». Anche la responsabile dei servizi, Francesca Meazzini, contattata al telefono, si trincera dietro un «non posso dirle nulla».
Al Tribunale dei Minoridi Firenze, invece, parte lo scarica barile. La presidente, Silvia Chiarantini, dice che «l’allontanamento è avvenuto secondo le regole di legge». E ci conferma che i genitori possono vedere i figli in incontri protetti. E allora perché da due mesi a mamma e papà non è stata concessa neppure una telefonata? E chi pagherà per il trauma fatto a questi bambini?
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Il premier: «Il governo ci ha creduto fin dall’inizio, impulso decisivo per nuovi traguardi».
«Il governo ha creduto fin dall’inizio in questa sfida e ha fatto la sua parte per raggiungere questo traguardo. Ringrazio i ministri Lollobrigida e Giuli che hanno seguito il dossier, ma è stata una partita che non abbiamo giocato da soli: abbiamo vinto questa sfida insieme al popolo italiano. Questo riconoscimento imprimerà al sistema Italia un impulso decisivo per raggiungere nuovi traguardi».
Lo ha detto la premier Giorgia Meloni in un videomessaggio celebrando l’entrata della cucina italiana nei patrimoni culturali immateriali dell’umanità. È la prima cucina al mondo a essere riconosciuta nella sua interezza. A deliberarlo, all’unanimità, è stato il Comitato intergovernativo dell’Unesco, riunito a New Delhi, in India.
Ansa
I vaccini a Rna messaggero contro il Covid favoriscono e velocizzano, se a dosi ripetute, la crescita di piccoli tumori già presenti nell’organismo e velocizzano la crescita di metastasi. È quanto emerge dalla letteratura scientifica e, in particolare, dagli esperimenti fatti in vitro sulle cellule e quelli sui topi, così come viene esposto nello studio pubblicato lo scorso 2 dicembre sulla rivista Mdpi da Ciro Isidoro, biologo, medico, patologo e oncologo sperimentale, nonché professore ordinario di patologia generale all’Università del Piemonte orientale di Novara. Lo studio è una review, ovvero una sintesi critica dei lavori scientifici pubblicati finora sull’argomento, e le conclusioni a cui arriva sono assai preoccupanti. Dai dati scientifici emerge che sia il vaccino a mRna contro il Covid sia lo stesso virus possono favorire la crescita di tumori e metastasi già esistenti. Inoltre, alla luce dei dati clinici a disposizione, emerge sempre più chiaramente che a questo rischio di tumori e metastasi «accelerati» appaiono più esposti i vaccinati con più dosi. Fa notare Isidoro: «Proprio a causa delle ripetute vaccinazioni i vaccinati sono più soggetti a contagiarsi e dunque - sebbene sia vero che il vaccino li protegge, ma temporaneamente, dal Covid grave - queste persone si ritrovano nella condizione di poter subire contemporaneamente i rischi oncologici provocati da vaccino e virus naturale messi insieme».
Sono diversi i meccanismi cellulari attraverso cui il vaccino può velocizzare l’andamento del cancro analizzati negli studi citati nella review di Isidoro, intitolata «Sars-Cov2 e vaccini anti-Covid-19 a mRna: Esiste un plausibile legame meccanicistico con il cancro?». Tra questi studi, alcuni rilevano che, in conseguenza della vaccinazione anti-Covid a mRna - e anche in conseguenza del Covid -, «si riduce Ace 2», enzima convertitore di una molecola chiamata angiotensina II, favorendo il permanere di questa molecola che favorisce a sua volta la proliferazione dei tumori. Altri dati analizzati nella review dimostrano inoltre che sia il virus che i vaccini di nuova generazione portano ad attivazione di geni e dunque all’attivazione di cellule tumorali. Altri dati ancora mostrano come sia il virus che il vaccino inibiscano l’espressione di proteine che proteggono dalle mutazioni del Dna.
Insomma, il vaccino anti-Covid, così come il virus, interferisce nei meccanismi cellulari di protezione dal cancro esponendo a maggiori rischi chi ha già una predisposizione genetica alla formazione di cellule tumorali e i malati oncologici con tumori dormienti, spiega Isidoro, facendo notare come i vaccinati con tre o più dosi si sono rivelati più esposti al contagio «perché il sistema immunitario in qualche modo viene ingannato e si adatta alla spike e dunque rende queste persone più suscettibili ad infettarsi».
Nella review anche alcune conferme agli esperimenti in vitro che arrivano dal mondo reale, come uno studio retrospettivo basato su un’ampia coorte di individui non vaccinati (595.007) e vaccinati (2.380.028) a Seul, che ha rilevato un’associazione tra vaccinazione e aumento del rischio di cancro alla tiroide, allo stomaco, al colon-retto, al polmone, al seno e alla prostata. «Questi dati se considerati nel loro insieme», spiega Isidoro, «convergono alla stessa conclusione: dovrebbero suscitare sospetti e stimolare una discussione nella comunità scientifica».
D’altra parte, anche Katalin Karikó, la biochimica vincitrice nel 2023 del Nobel per la Medicina proprio in virtù dei suoi studi sull’Rna applicati ai vaccini anti Covid, aveva parlato di questi possibili effetti collaterali di «acceleratore di tumori già esistenti». In particolare, in un’intervista rilasciata a Die Welt lo scorso gennaio, la ricercatrice ungherese aveva riferito della conversazione con una donna sulla quale, due giorni dopo l’inoculazione, era comparso «un grosso nodulo al seno». La signora aveva attribuito l’insorgenza del cancro al vaccino, mentre la scienziata lo escludeva ma tuttavia forniva una spiegazione del fenomeno: «Il cancro c’era già», spiegava Karikó, «e la vaccinazione ha dato una spinta in più al sistema immunitario, così che le cellule di difesa immunitaria si sono precipitate in gran numero sul nemico», sostenendo, infine, che il vaccino avrebbe consentito alla malcapitata di «scoprire più velocemente il cancro», affermazione che ha lasciato e ancor di più oggi lascia - alla luce di questo studio di Isidoro - irrisolti tanti interrogativi, soprattutto di fronte all’incremento in numero dei cosiddetti turbo-cancri e alla riattivazione di metastasi in malati oncologici, tutti eventi che si sono manifestati post vaccinazione anti- Covid e non hanno trovato altro tipo di plausibilità biologica diversa da una possibile correlazione con i preparati a mRna.
«Marginale il gabinetto di Speranza»
Mentre eravamo chiusi in casa durante il lockdown, il più lungo di tutti i Paesi occidentali, ognuno di noi era certo in cuor suo che i decisori che apparecchiavano ogni giorno alle 18 il tragico rito della lettura dei contagi e dei decessi sapessero ciò che stavano facendo. In realtà, al netto di un accettabile margine di impreparazione vista l’emergenza del tutto nuova, nelle tante stanze dei bottoni che il governo Pd-M5S di allora, guidato da Giuseppe Conte, aveva istituito, andavano tutti in ordine sparso. E l’audizione in commissione Covid del proctologo del San Raffaele Pierpaolo Sileri, allora viceministro alla Salute in quota 5 stelle, ha reso ancor più tangibile il livello d’improvvisazione e sciatteria di chi allora prese le decisioni e oggi è impegnato in tripli salti carpiati pur di rinnegarne la paternità. È il caso, ad esempio, del senatore Francesco Boccia del Pd, che ieri è intervenuto con zelante sollecitudine rivolgendo a Sileri alcune domande che son suonate più come ingannevoli asseverazioni. Una per tutte: «Io penso che il gabinetto del ministero della salute (guidato da Roberto Speranza, ndr) fosse assolutamente marginale, decidevano Protezione civile e coordinamento dei ministri». Il senso dell’intervento di Boccia non è difficile da cogliere: minimizzare le responsabilità del primo imputato della malagestione pandemica, Speranza, collega di partito di Boccia, e rovesciare gli oneri ora sul Cts, ora sulla Protezione civile, eventualmente sul governo ma in senso collegiale. «Puoi chiarire questi aspetti così li mettiamo a verbale?», ha chiesto Boccia a Sileri. L’ex sottosegretario alla salute, però, non ha dato la risposta desiderata: «Il mio ruolo era marginale», ha dichiarato Sileri, impegnato a sua volta a liberarsi del peso degli errori e delle omissioni in nome di un malcelato «io non c’ero, e se c’ero dormivo», «il Cts faceva la valutazione scientifica e la dava alla politica. Era il governo che poi decideva». Quello stesso governo dove Speranza, per forza di cose, allora era il componente più rilevante. Sileri ha dichiarato di essere stato isolato dai funzionari del ministero: «Alle riunioni non credo aver preso parte se non una volta» e «i Dpcm li ricevevo direttamente in aula, non ne avevo nemmeno una copia». Che questo racconto sia funzionale all’obiettivo di scaricare le responsabilità su altri, è un dato di fatto, ma l’immagine che ne esce è quella di decisori «inadeguati e tragicomici», come ebbe già ad ammettere l’altro sottosegretario Sandra Zampa (Pd).Anche sull’adozione dell’antiscientifica «terapia» a base di paracetamolo (Tachipirina) e vigile attesa, Sileri ha dichiarato di essere totalmente estraneo alla decisione: «Non so chi ha redatto la circolare del 30 novembre 2020 che dava agli antinfiammatori un ruolo marginale, ne ho scoperto l’esistenza soltanto dopo che era già uscita». Certo, ha ammesso, a novembre poteva essere dato maggiore spazio ai Fans perché «da marzo avevamo capito che non erano poi così malvagi». Bontà sua. Per Alice Buonguerrieri (Fdi) «è la conferma che la gestione del Covid affogasse nella confusione più assoluta». Boccia è tornato all’attacco anche sul piano pandemico: «Alcuni virologi hanno ribadito che era scientificamente impossibile averlo su Sars Cov-2, confermi?». «L'impatto era inatteso, ma ovviamente avere un piano pandemico aggiornato avrebbe fatto grosse differenze», ha replicato Sileri, che nel corso dell’audizione ha anche preso le distanze dalle misure suggerite dall’Oms che «aveva un grosso peso politico da parte dalla Cina». «I burocrati nominati da Speranza sono stati lasciati spadroneggiare per coprire le scelte errate dei vertici politici», è il commento di Antonella Zedda, vicepresidente dei senatori di Fratelli d’Italia, alla «chicca» emersa in commissione: un messaggio di fuoco che l’allora capo di gabinetto del ministero Goffredo Zaccardi indirizzò a Sileri («Stai buono o tiro fuori i dossier che ho nel cassetto», avrebbe scritto).In che mani siamo stati.
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