2025-05-12
«Il doppiaggio artificiale mi fa paura»
La voce dello 007 di Daniel Craig e di altri divi, Francesco Prando: «Mi chiesero di vendere il mio parlato a una macchina. Ho detto di no, le emozioni non si possono riprodurre. L’attore che mi piace più interpretare? Matthew McConaughey».La sua è la voce italiana del James Bond, l’agente 007, interpretato da Daniel Craig in Casino Royale, di Nicolas Cage in La città degli angeli, di Tom Hanks in Salvate il soldato Ryan. Francesco Prando, romano, classe 1960, oltre ad essere anche attore, è tra i più quotati doppiatori italiani. Com’è nata la tua carriera di doppiatore? «Vengo da una famiglia di artisti, perché mio nonno, Checco Durante, è stato un attore abbastanza noto a Roma nel teatro dialettale, con tutta la famiglia. Parto da là e poi tutta la famiglia ha abbracciato le varie branche della recitazione. Mio padre e mio zio erano direttori di doppiaggio… Diciamo che è stata quasi una conclusione logica. Io ho cominciato a 17 anni, non come molti miei colleghi magari a 5-6 anni, da piccoli. Volevo fare altro. Poi è capitata l’occasione ed è andata bene così».E la prima esperienza di doppiaggio? «Solitamente quando si è giovani si fanno piccolissime parti, le classiche battute tipo “il pranzo è servito” e cose di questo genere, o s’incomincia dai cartoni. Il mio primo impegno vero e proprio è stato una serie di cartoni animati che si chiama Don Chuck il Castoro. Stiamo parlando del 1975-76».Le cose più difficili della professione? «Tra le cose più difficili c’è il “sinc”, cioè il sincronismo del movimento della bocca dell’attore che stai doppiando con le battute che devi dire tu, con l’interpretazione giusta. Noi recitiamo, ma con i tempi di un’altra persona. La difficoltà vera sta lì, cercare di rendere fluida la recitazione, credibile, senza con questo alterare o andare contro i movimenti. Quindi il lavoro che c’è alle spalle, che è quello che adatta le battute italiane ai movimenti della bocca dell’attore, se è fatto bene e rispettato, ecco, questa è forse la parte più complicata. Diventa un po’ come quando vedi un meccanico che smonta una macchina in mille pezzi e, come se niente fosse, la rimonta. Per noi il “sinc” diventa un’abitudine, una cosa talmente automatica che è l’ultimo dei nostri pensieri. Il pensiero vero è quello di recitare e dire le battute nella maniera giusta e di trasmettere le emozioni, le sensazioni, gli stati d’animo. Questo, in fondo, è quello che facciamo. I traduttori».Due esempi classici sono Alberto Sordi che doppiò Oliver Hardy e Ferruccio Amendola, Robert De Niro. Come si sceglie una voce da dare a un attore? «Soprattutto per gli attori più importanti inizialmente si fanno dei provini. Quindi la cosa fondamentale è che ci sia una corrispondenza di età e soprattutto di voce, non troppo leggera per un omone di magari di 150 chili, e altri dettagli. Il provino è importante perché sta alla bravura dell’attore cercare di immedesimarsi e di trovare una chiave giusta per interpretarlo. Poi magari quando un doppiatore ha fatto un attore due o tre volte subentra quello che una volta si chiamava il voce-volto, cioè dare sempre allo stesso volto la stessa voce. Solitamente a noi capita che quando doppi 4-5 volte lo stesso attore, può accadere ma è difficile che poi te lo tolgano. Se hai visto il mio curriculum io ho attori che ho fatto venticinque volte».Certo. Può anche accadere che un doppiatore venga a mancare e l’attore doppiato appaia in nuovi film. Con l’Intelligenza artificiale (Ia) una macchina può riprodurre la voce di un doppiatore. Che ne pensi?«Per noi è un grosso pericolo. Io credo che l’Ia riesca a riprodurre molto bene le voci degli attori e queste cose qui. Ma bisogna vedere, a livello interpretativo, quanta rispondenza ci può essere, nel senso che una cosa automatica e meccanica come l’Ia non può avere emozioni e sensazioni. La differenza sta lì. Il problema è che si rischia di far diventare tutto molto automatico, molto freddo, poco artistico diciamo. Diventa sicuramente una comodità, può esserci una rispondenza perfetta della voce, perché la voce è quella. In pratica si rifà la voce dell’attore cambiando solamente lingua, si possono adattare i labiali. Quindi diventa tutto molto pericoloso per noi. Ma non so fino a che punto si potrà replicare la capacità empatica e l’emozione». Far ricorso all’Ia nel doppiaggio può essere legato al fatto di contenere i costi? «Sai, è tutto molto complesso. È vero che alcuni di noi sono stati chiamati con la richiesta di vendere la nostra voce e di metterla a disposizione dell’Ia. Io ho sentito già qualche anno fa delle cose fatte con l’Ia e devo dire che erano abbastanza impressionanti. Quando me le hanno fatte sentire, ero convinto che fosse davvero la voce di quel mio collega e invece mi è stato detto che era la macchina. Un po’ mi sono spaventato. Però, allo stesso tempo, avevo anche sentito qualcosa di strano, e mi ero detto che forse non si sentiva bene. Cercavo giustificazioni a queste sensazioni che avevo. Riprodurre perfettamente una voce non si può. Credo che, ad esempio per un documentario, più freddo e nozionistico, ci sarà magari più possibilità di usare l’Ia. In un film, dove bisogna recitare, dare qualcosa di più di una traduzione parlata, credo che sarà molto difficile. Il problema è che se prendono una voce e su quella voce s’interviene anche leggermente e la si modifica, codificare da un punto di vista legale è una situazione difficilissima, perché come lo controlli? Con l’influenza della voce originaria e dell’uomo che ci ha messo le mani per cambiarla un po’? Capito? Diventa complicato».Quindi ti hanno chiesto personalmente di vendere la tua voce per utilizzarla mediante l’Ia?«Sì. Questo è capitato, se non mi sbaglio, poco prima del Covid». E la tua risposta?«Io ho risposto assolutamente no».Qualora un doppiatore dicesse di sì?«Bisognerebbe chiederlo a chi accetta. Non ne ho la più pallida idea. La cosa non mi piaceva perché avrebbe avuto un’influenza terribile su tutto l’ambiente, su tutte le figure professionali, gli assistenti al doppiaggio, i montatori, i sincronizzatori. Sarebbe stata una rivoluzione talmente… Ho detto no, non ho nemmeno approfondito».Sono proposte cifre sostanziose a chi accettasse?«Inizialmente si parlava di cifre che potevano essere interessanti».E per le voci di cartoon il discorso potrebbe cambiare?«Tra l’umano e il cartone animato ormai c’è poca differenza. Forse sul cartone, in determinate lavorazioni, la parte empatica e la parte artistica sarebbero meno importanti. Ma ormai anche i cartoni sono quasi degli umani, hanno espressioni precise. È anche più facile doppiarli, perché una volta i cartoni avevano una faccia assolutamente ferma».Quanto tempo medio complessivo e giornaliero è necessario per doppiare un film?«Noi lavoriamo a turni di tre ore. Possono essere necessari da una a tre-quattro settimane. Dipende dall’importanza del film, dalla lunghezza e da un po’ di parametri da considerare. Per film importanti, dove c’è una grande attenzione da parte dei distributori, ci vogliono almeno tre settimane, una trentina di turni. Per film normali, con 10-12 turni si può fare».Come ti senti quando vai al cinema e senti la tua voce diventata quella di noti attori?«Diciamo che ormai è già una cosa sdoganata. A me quasi non fa effetto. Ci vado. Vado a vedere quello che ho combinato, cercando di essere obiettivo e anche di analizzare in maniera estremamente distaccata il lavoro per vedere anche dove, magari, lo potevo fare meglio. Io cerco di essere il meno indulgente possibile nei miei confronti per cercare di migliorare sempre di più».Viene da pensare che per voi la voce debba essere sempre perfetta. Particolare attenzione nell’evitare raffreddori e colpi d’aria, come fanno ad esempio i cantanti lirici… «C’è chi è più fortunato e fra questi mi ci metto anch’io, che non ho mai avuto problemi, almeno fino ad adesso, tocchiamo ferro e tutto quello che c’è da toccare, e quindi raramente… Un raffreddore fortissimo che magari non ti altera la gola ma ti chiude talmente il naso che non puoi lavorare… Può succedere. Per chi è un po’ più delicato, quando reciti devi un po’ dosare la tua voce, sapere come usarla. Bisogna stare attenti, ad esempio, a non prendere freddo…». Potete fumare?«Il fumo rende la voce ancora più bella, più profonda, più affascinante. Ma fa male. Io per tanti anni ho fumato, ma sono una decina d’anni che non fumo più, ho smesso. Credo sia una cosa che ha fatto il 99% dei doppiatori. Ormai è difficile trovare, in questo mestiere, qualcuno che fumi. Noi mangiamo con la nostra voce».Un doppiatore è pagato adeguatamente e ci sono diversi livelli di doppiatori?«Sicuramente ci sono doppiatori di livelli differenti, quelli di punta, poi fasce minori che fanno personaggi diciamo “meno importanti”. E il guadagno ne risente». C’è un attore che hai doppiato che consideri particolarmente stimolante, professionalmente parlando?«Quello che mi piace di più fare adesso è Matthew McConaughey, che fa scelte piuttosto particolari e quindi non è sempre lo stesso genere di film, interpreta personaggi molto diversi. È impegnativo da questo punto di vista, ma a me le cose impegnative piacciono. Sono sfide».Siamo sicuri che la professione di doppiatore abbia un futuro?«Non è sicuro che abbia un futuro. Io la mia carriera l’ho fatta abbondantemente, ma per i giovani lo vedo un po’ più complicato perché con le nuove tecnologie e l’Ia c’è il rischio che questo mestiere non dico che vada a morire, ma diventi sempre più di nicchia, e questo fatto bisogna considerarlo…».
Il segretario della Uil Pierpaolo Bombardieri (Ansa)
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