2019-07-03
Francesca, l’attivista condannata per cui la sinistra non piagnucola
Aiutò 8 persone ad attraversare il confine francese. Accusata di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina, ha preso 6 mesi in Appello. Ma a Parigi non c'è la Lega e perciò il Pd sta zitto e non s'indigna.Stessa età, stessi jeans strappati, stessi pullover, stessi ideali no border, più o meno stessi reati, se non fosse che finire addosso a una motovedetta della Guardia di finanza complica un filo le cose. Le uniche differenze evidenti fra la capitana dei migranti Carola Rackete e l'interprete dei disperati Francesca Peirotti sono la cittadinanza (tedesca la prima, italiana la seconda) e l'amara constatazione che a oggi non c'è uno straccio di parlamentare del Pd che si sia filato - neppure con una dichiarazione di maniera - la causa della connazionale piemontese.Francesca Peirotti ha 31 anni, è nata a Cuneo ma vive a Marsiglia, conosce quattro lingue, si definisce animatrice socioculturale, di fatto lavora per le Onlus che si occupano dei migranti (soprattutto per la Habitat et citoyennété di Nizza) e un anno fa è stata condannata a sei mesi di carcere, con sospensione condizionale della pena, dalla corte d'Appello di Aix en Provence per un reato che pensavamo non esistesse, visti i continui moniti di Emmanuel Macron contro i barbari governativi italiani: «Favoreggiamento dell'immigrazione clandestina in territorio francese». Ad un controllo presso Mentone, nel novembre 2016 la Peirotti era stata trovata alla guida di un furgoncino con otto profughi a bordo, fatti entrare in territorio francese dalla frontiera che non esiste, quella di Ventimiglia. Erano originari di Ciad ed Eritrea, e con loro c'era un neonato. Arrestata e tenuta in carcere alcuni giorni, Francesca davanti al tribunale di Nizza si era difesa esattamente come Carola Rackete davanti alla legge italiana: «La solidarietà non può essere un reato, sono pronta rifare tutto». In primo grado fu condannata a pagare solo un'ammenda di mille euro. Ma lei non si è arresa e ha voluto far valere le proprie ragioni umanitarie anche in Appello, dove ha trovato un giudice meno accomodante. Sei mesi di carcere definiti dall'italiana «una sentenza politica». «Avevo fatto ricorso perché non mi ero macchiata di nessun reato. Non sono un passeur né una trafficante, ho solo aiutato delle persone in difficoltà e le avrei portare a casa mia. Ma la solidarietà è considerata un crimine. Avevo deciso di fare ricorso anche perché una condanna per un simile motivo era inaccettabile. Lo è ancora meno la sentenza di Appello, quindi vado in Cassazione e se necessario fino alla Corte europea dei diritti umani. Non mi aspettavo che la condanna sarebbe stata innalzata, credevo che al massimo avrebbero confermato la multa, ma evidentemente hanno voluto mostrare i muscoli. Ai francesi dà fastidio sentir dire che il confine di Ventimiglia non esiste. Da bambina lo attraversavo per andare al mare con la mia pelle chiara e i documenti italiani, e nessuno mi diceva niente».È davvero singolare notare come il presidente francese Macron predichi bene e razzoli male. È il primo ad alzare la voce contro l'Italia quando pretende di applicare leggi da Paese sovrano e al tempo stesso usa in casa sua gli stessi metodi (peraltro del tutto legittimi) che disprezza in casa d'altri. Ipocrisia in purezza. Esattamente come quella dei deputati dem - Graziano Delrio, Matteo Orfini, Nicola Fratoianni - che si sono precipitati a Lampedusa per evidenti scopi politici a fare scudo davanti a una piratessa tedesca, ma non hanno mai neppure ipotizzato di trascinarsi fino a Mentone o a Nizza a disturbare i gendarmi di Macron in azione contro un'italiana. Dov'era Gad Lerner, a vendemmiare il vino tardivo? E Michele Serra, addormentato sull'amaca? Peccato perché il suo giornale, La Repubblica, un paio di ottimi servizi nell'edizione piemontese li aveva pubblicati.La regola della sinistra italiana è chiara: no Salvini, no party. Così Francesca si è presa sei mesi ed è possibile che a Parigi, in Cassazione, la sua ostinazione a inventarsi leggi morali da sacrestia la conduca verso una stangata ancora più dolorosa. Se dovesse perdere, rischierebbe infatti l'espulsione. Ovvero il divieto per cinque anni di vivere nella regione delle Alpi Marittime, come da codice penale. «La cosa non mi spaventa, a Marsiglia ho il lavoro e la famiglia. Non credo che sarà tanto facile mandarmi via. I giudici lo sanno e stanno cercando di convincermi a mollare, ma io non mi fermo».Anche in fotografia Francesca sembra solo una Carola più morbida, meno teutonica. Per il resto, la protervia d'essere al di sopra delle regole è la stessa. Come quasi identico è il curriculum, visto che l'italiana ha messo in un cassetto il master in Economia per consacrare il suo tempo alla cooperazione internazionale. È stata in Etiopia dove ha imparato l'arabo, ha vissuto sei mesi nell'inferno della Jungle di Calais, il campo di concentramento inventato dai democratici francesi, e non si rende conto che la dolce Francia del Camembert ha modificato da 20 anni il suo statuto morale, sostituendo sulla bandiera la parola fratérnité con sécurité. Ma senza farlo sapere a nessuno. Ora Francesca si avvia in solitudine al nuovo processo, avvolta nella nobile frase da corteo «la loro libertà è anche la nostra». Poiché il governo francese sta sul lato illuminato del marciapiede e la colpa non è di Matteo Salvini, la sinistra italiana non muove un dito. Per gli indignados di Capalbio l'idealista di Cuneo potrebbe anche marcire in prigione.