2025-04-22
Forza Italia contro Palazzo Chigi su Unicredit
Giancarlo Giorgetti e Antonio Tajani (Ansa)
Tajani ribadisce il no alle condizioni imposte sulla scalata a Bpm: «Sbagliato usare il golden power, lo Stato non deve intervenire». La banca guidata da Orcel pronta a presentare ricorso ma non esclude un passo indietro dopo i paletti e l’offerta su Anima.Il dibattito sul golden power infiamma i rapporti all’interno del governo e riaccende i riflettori sull’Ops lanciata da Unicredit su Banco Bpm. A far deflagrare il caso sono le parole nette e cariche di implicazioni politiche del vicepremier e ministro degli Esteri, Antonio Tajani, che ha apertamente criticato la gestione da parte di Palazzo Chigi dei poteri speciali esercitati nei confronti di Unicredit attraverso il golden power. «Serve chiarezza e trasparenza», ha detto il ministro, «perché non possiamo permettere che ci siano due pesi e due misure. Le regole devono valere per tutti, senza favoritismi né penalizzazioni». Una dichiarazione che, pur senza citare esplicitamente singoli casi, è apparsa come una presa di posizione diretta contro l’atteggiamento del governo nei confronti della banca guidata da Andrea Orcel. Tanto più squilibrata, lascia intendere il ministro considerato che le Ops di Montepaschi su Mediobanca e quella di Bper su Popolare Sondrio sono state approvate senza nessuna prescrizione.Il ministro, leader di Forza Italia, ha sottolineato come l’utilizzo del golden power - lo strumento che consente al governo di bloccare o condizionare operazioni ritenute strategiche per l’interesse nazionale - debba avvenire con criteri oggettivi, condivisi e in un quadro istituzionale chiaro. «A decidere», dice, «deve essere il mercato non l’esecutivo».Il riferimento implicito è alla procedura aperta da Palazzo Chigi su Unicredit, in relazione ad alcune operazioni con potenziale impatto sulla governance finanziaria e su settori considerati sensibili, come la gestione del risparmio (Anima), l’esposizione internazionale (Russia) e la tenuta degli equilibri tra raccolta e impieghi.Secondo quanto trapela da ambienti vicini a Unicredit, il gruppo mantiene una posizione di apertura e dialogo, ma non intende accettare imposizioni unilaterali. In particolare viene contestato l’obbligo di mantenere per cinque anni gli investimenti di Anima in Btp. Una scelta giudicata troppo dirigista che toglie libertà al gestore e penalizza la clientela. Che fare se sul mercato arriva un’offerta più remunerativa del Btp? Il gestore non potrebbe cogliere l’opportunità e al sottoscrittore verrebbe meno un rendimento più interessante. Non molto diversa l’obiezione per quanto riguarda l’obbligo di uscire dalla Russia entro gennaio. Da Piazza Aulenti fanno notare che l’attività a Mosca è stata ridotta del 90% e per settembre sarà azzerata. Tuttavia è impossibile dettare i tempi di uscita visto che l’ultima parola spetta al governo russo che, al momento, ha cose ben più importanti cui pensare che non il destino della filiale di una banca italiana. Infine l’obbligo di mantenere inalterato il rapporto fra raccolta e impieghi. Anche in questo caso, viene osservato si tratta di dinamiche di mercato che non possono essere imposte con un diktat. È la famosa teoria del «cavallo che non beve»: se dovesse arrivare un rallentamento dell’economia è chiaro che i parametri dovrebbero essere adeguati alle regole della finanza e non agli obblighi burocratici. «Tutte le opzioni restano sul tavolo» sarebbe il messaggio fatto filtrare da fonti interne. La banca sarebbe pronta a riaprire il confronto con il governo, anche rinegoziando i termini della golden power, ma senza accettare vincoli che rischino di comprometterne la competitività dell’operazione. In questo quadro di incertezza normativa e politica, prende corpo l’ipotesi di un disimpegno dall’offerta pubblica di scambio su Banco Bpm. A motivarla, più ancora che le prescrizioni di Palazzo Chigi, sarebbero ragioni di mercato. In particolare l’acquisizione di Anima. L’operazione, infatti, si è chiusa in assenza del cosiddetto «Danish compromise», cioè senza un bilanciamento tra acquisizione e rafforzamento patrimoniale, rendendo per Unicredit meno appetibile l’Ops sull’istituto guidato da Giuseppe Castagna A rendere ancora più incandescente la situazione è il contesto generale del settore finanziario italiano. Giovedì, a Trieste, Generali riunirà la propria assemblea dei soci: un appuntamento che potrebbe avere ripercussioni dirette sull’alleanza con Natixis. Un affare che secondo l’intervista rilasciata da Francesco Gaetano Caltagirone a Il “Sole 24 Ore” di fatto smantellerebbe Generali. Gli ha risposto, ovviamente indirettamente in un lungo colloquio con il nostro direttore Maurizio Belpietro, l’amministratore delegato del gruppo assicurativo Philippe Donnet dicendo che l’unione è indispensabile per dare alla compagnia triestina una dimensione adeguata sul piano internazionale per quanto riguarda le attività del risparmio gestito. A queste dichiarazioni si aggiunge un altro elemento. Nelle risposte scritte alle domande degli azionisti, Generali fa sapere che se l’operazione dovesse essere bloccata, il gruppo assicurativo dovrebbe pagare una penale da 50 milioni di euro al gruppo francese. Una cifra significativa, che testimonia l’elevata posta in gioco e il livello di pressione con cui si stanno muovendo i principali attori del sistema finanziario europeo. Il vertice di Generali aggiunge di non aver ricevuto alcuna richiesta di maggiori informazioni dall’Ivass (gli sceriffi delle assicurazioni) cui comunque fino a ora non ha inviato alcuna comunicazione riguardante il matrimonio con Natixis.
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