2024-08-09
«Suono fin da bambino ma poteva restare un hobby. Ho studiato da medico»
Il cantante Alberto Fortis: «Mi iscrissero al collegio, dove ho imparato il senso del rispetto e l’etica. Con “Tra demonio e santità” ho strizzato l’occhio all’immoralità dei compromessi».Giunto quasi sull’orlo dell’esasperazione per la sequenza di rifiuti incassati dalle case discografiche, Alberto Fortis, nel 1979, vide premiata la sua tenacia. I suoi testi di eccellente qualità furono pubblicati nel primo album. E allora diede sfogo alla sua giustificata collera. Milano e Vincenzo diventò un classico. «Vincenzo, io ti ammazzerò / sei troppo stupido per vivere. / Vincenzo io ti ammazzerò perché / perché non sai decidere». Vincenzo era il noto discografico Vincenzo Micocci. Il cantautore, nato a Domodossola il 3 giugno 1955, rincarò la dose con A voi romani, sonetto al cianuro dove estese il suo risentimento per chi lo ignorò. Anche queste due canzoni furono inserite nel long-playing. Le vendite decollarono. Poi altre creazioni, spesso enigmatiche e di vena espressionista, tra le quali Demonio e santità, Fragole infinite, Do l’anima, fino al nuovo singolo Maharaja. Il musicista tiene a ricordare anche Venezia, Niente da dire, Mambo, tango e cha cha, «sempre testi con un sano j’accuse», dove spicca come regista dei video. Frequentò per 8 anni l’Istituto «Rosmini» di Domodossola. Cose positive?«Il collegio, a quel tempo, era tra i più accreditati in Italia. Grande gratitudine per l’insegnamento etico-morale, il rispetto degli altri, il senso del sano dovere, la dignità, che poi diventa anche professionale. E per la lezione di Rosmini che, secondo gli esperti, pare abbia toccato, in Delle cinque piaghe, vette anche più alte di Immanuel Kant, ma, essendo inviso ad alcune sfere di potere, è un po’ taciuto». E quelle negative? «Beh, pensando alla mole di lavoro davvero esorbitante data da fare in pochissimi giorni a dei ragazzini, passavamo la giornata a studiare… Se volevi stare in collegio, questo era… Ma la nostra formazione è provata. C’era la formula del college anglosassone, con forum su arte, sport. Nella nostra band, ero batterista. Il pianista e organista era Umberto Benedetti Michelangeli, nipote del grande Arturo Benedetti Michelangeli». S’iscrisse, poi, a Medicina a Genova. Quanto influì suo padre, noto medico chirurgo?«Influì molto, perché vengo da una famiglia di medici, fra cui un cugino, il professor Angelo De Gasperis, e altri cugini, tutti medici. Questo mio percorso sembrava un po’ segnato. Facevo musica sin da bambino, ma si pensava restasse un hobby parallelo. Poi è successo quel che è successo, per fortuna dei miei potenziali pazienti. Mi sarebbe piaciuto l’indirizzo psichiatrico. Persi mia madre in tenera età. Invece mio padre ha avuto la fortuna di essere qui fino a quasi 92 anni e in buona salute. Veniva sempre ai miei concerti e, prima di andare sul palco al Palazzetto di Milano con 7.000 persone, mi bloccava dicendomi: «Hai preso i ricostituenti?»». Come descriverebbe la sua personalità di quando era bambino? «Ero molto estroverso, eclettico, curioso. Più introspettivo nell’adolescenza, anche per la perdita di mia madre, e ciò mi ha portato anche a scrivere molte canzoni. Vince in me questo lato un po’ pirotecnico e, comunque, di azione. Bisogna crederci anche quando ti sbattono le porte in faccia».L’enigmatica Nuda e senza seno. «E insieme al seno tuo ci voglio fare / un’insalata con un po’ di fieno». Che intendeva dire? «Qui c’è la forza terapeutica dell’arte. Questa canzone, che diventa quasi un Gran Guignol alla Tarantino, nasce dall’esperienza molto triste di aver perso mamma. Nello scrivere, mi sono medicato dal trauma con questa trasformazione sardonica». Si ritiene un arrabbiato o un contemplatore?«Pur essendo stato anche arrabbiato e contestatore, a oggi la bilancia pende sul contemplatore, anche per il mio percorso in alcune discipline spirituali che mi hanno portato a essere ambasciatore Unicef per le popolazioni native americane e ad adottare a distanza un bambino in India, scoprendo le similitudini tra le varie dottrine religiose e il fatto che il dogma rovina tutto e crea l’assurdo, cioè che la religione diventa la madre delle guerre».È pensabile una convivenza tra cosmologie cristiana e buddista?«Possono certamente convivere. Ho esplorato diverse forme di pensiero religioso. Sono cattolico-cristiano e Cristo, si pensi come figlio di Dio, figura speciale o profeta, è stato l’unico a dividere il tempo nella storia del nostro pianeta, prima e dopo di lui. C’è un meraviglioso libro di Osho - sono stato una settimana nel suo ashram in India - Disquisizioni sul Tao, dove si capisce la similitudine nei pensieri di Cristo, Budda, Maometto. Ti danno questo primo comandamento: celebrare la nostra esistenza, nel rispetto personale e altrui. Oggi, non la celebriamo». Siamo piuttosto lontani dal messaggio cristiano.«Sì. Ai vertici del sistema è riuscito un meccanismo di neo-feudalesimo con una spaccatura sempre più evidente l’alto e basso che fa nascere demotivazione e rassegnazione di belle voci dal basso. Speriamo che questo sistema faccia tilt». Quello con Vincenzo Micocci fu un rapporto tormentato. «Negli anni si è ribaltato. Titolò la sua autobiografia Vincenzo io ti ammazzerò. Gli ho scritto la prefazione e sono diventato amico con i figli. In Rca, pare non fosse stato solo lui a volere questo, ma tutto il gotha. Poi ho fatto una questua di case discografiche ma nessuno, tranne Mara Maionchi, allora direttore artistico della Ricordi, voleva pubblicare l’album. Lei l’avrebbe pubblicato per la Ricordi, ma il grande capo di allora disse no. Poi Mara e il marito Alberto Salerno, dicono «forse c’è Polygram», ora Universal. Ne incontro il presidente, un parigino, quarantenne, laureato alla Sorbona. Sente il mio materiale e mi propone un contratto di 5 anni. Vedi quanto è importante la differenza della persona con cui t’imbatti?». Poco dopo la dipartita di Micocci, nel 2010, quella canzone, per una sera, divenne Vincenzo io ti abbraccerò.«M’invitò Carlo Conti, in prima serata su Rai 1. Fu molto toccante. La cantai in questa versione che partiva come l’originale e poi sfociava in un gospel, con davanti tutta la famiglia Micocci e un picco di ascolti».Come faceva il verso pacificatore? «Vincenzo io ti abbraccerò / ora che tu sei in alto a vivere / Vincenzo io ti abbraccerò / perché adesso è tempo per amare». Milano e Vincenzo faceva il paio con A voi romani. «E vi odio voi romani / (…) siete falsi / E vivete ancora adesso avanti Cristo».«Quella canzone nasce innanzitutto contro la discografia romana, in particolare la Rca. Mi mette sotto contratto e mi blocca per due anni e mezzo con la promessa, di settimana in settimana, di cominciare la lavorazione dell’album. Nelle audizioni al Cenacolo non ne potevo più e così nascono Milano e Vincenzo e A voi romani. Lo stato maggiore della Rca mi chiede: «Ha qualcosa di nuovo?». Dissi: «È una cosa un po’ forte». «Ci piacciono le cose un po’ forti». E, col coraggio dei 20 anni, canto in faccia a tutti loro A voi romani. L’unico che si alzò ad applaudire fu il dottor Davini, un fiorentino. Mi spiacque che i miei coetanei di allora mi avessero messo in croce per quella canzone, ma nel resto d’Italia me la chiedevano». Quell’album contiene anche La sedia di lillà, celebre. Finiva nel dramma di un impiccamento. «È una storia vera e ho esagerato il finale. Questo mio primo zio materno, cui ero molto affezionato, sportivo, aveva la barca a vela, in un week end in villeggiatura sta cogliendo pesche sulla scala, scivola, cade, e rimane in condizioni di tetraplegia. Pensi alla forza, alla tempra di quell’uomo, che poi ha vissuto ancora 20 anni. Andò in un centro vicino a Londra, riprendendo qualche piccolo movimento e, dalla carrozzina dove stava - ecco cos’era la sedia di lillà - era riuscito ad alzarsi un pochino dopo un calvario di 13-14 anni. Quando si sfogava, diceva certe cose, quelle che mi hanno fatto scrivere quel finale. In realtà zio è stato un esempio di forza per tutti noi».Un verso di Tra demonio e santità, suo concept album del 1980: «La tua fede è marcia / puzza e va bruciata / è una pianta senza semi». «Qui siamo nel momento della tentazione di strizzare l’occhio all’aspetto immorale, della non dignità, di cedere a compromessi forti prima di arrivare al risultato, cosa che non sono mai riuscito a fare perché non mi sento me stesso. Spesso gli altri sono quotidianamente assatanati». Quale storia racconta nella sua ultima canzone, Maharaja? «La considero una Milano e Vincenzo del 2024. Maharaja è una figura di potere non della discografia ma, in una stanza dei bottoni dello scenario di oggi, una guerra mondiale a pezzi non esplicitata o ufficializzata. Gli dico di tutto, per poi chiedergli di salvarmi».Vive a Milano? «Vivo a Milano dal ’79, sempre nello stesso posto, ma ho ancora la casa paterna a Domodossola. È un magma e un vortice di stimoli. La considero la cuginetta di New York, dove ho vissuto tanto».Sposato? Una compagna?«No, attualmente libero cittadino».Le anime tra qui e l’oltre e nell’oltre comunicano?«Rispondo sì e posso anche fare una sorta di atto di fede. Nella mia vita ho avuto due episodi che mi hanno molto positivamente scioccato - e non è autosuggestione - dandomi la prova che una forma di vita aleggia tra noi. La comunicazione tra le due dimensioni esiste».Cos’è cambiato nel settore discografico? «Oggi si è ribaltato tutto. Non c’è più l’assetto piramidale di un tempo, dove c’era un direttore artistico che selezionava e proponeva alla presidenza. Oggi è tutto sul telefonino, streaming... Ciò ha portato un tonfo sull’analisi di qualità, sulla volontà di premiare artisti capaci, e, tranne rari casi, si tratta di un supermercato usa e getta. Si arriva all’istigazione della violenza sessuale perché fa mercato. Questo mi fa arrabbiare».
«Murdaugh: Morte in famiglia» (Disney+)
In Murdaugh: Morte in famiglia, Patricia Arquette guida il racconto di una saga reale di potere e tragedia. La serie Disney+ ricostruisce il crollo della famiglia che per generazioni ha dominato la giustizia nel Sud Carolina, fino all’omicidio e al processo mediatico.