2022-10-09
Forse c’è un Trattato da rivedere
Mario Draghi ed Emmanuel Macron (Ansa)
A cosa serve la cooperazione Italia-Francia? Dai terroristi rossi all’accordo con Berlino, dalla Libia all’Egitto, Parigi ha fatto sempre i propri interessi. E sull’unione bancaria...A novembre e dicembre dello scorso anno questo giornale, in compagnia esclusivamente di ItaliaOggi, era impegnato in una progressiva denuncia sui rischi insiti al Trattato del Quirinale. Dalla scarsa trasparenza, allo sbilanciamento a favore di Parigi e al rischio di creare una cupola di potere dentro la Ue al vertice della quale si sarebbe potuta insediare solo la Francia. Tutti gli altri giornali si sono guardati bene dall’affrontare il tema fino a pochi giorni prima, quando erano sicuri di non disturbare in alcun modo il manovratore. Nei due mesi precedenti ci fu una accelerazione e gli sherpa andavano avanti e indietro da Roma e Parigi. Lo stesso discorso vale per tutti i partiti di maggioranza che hanno evitato anche solo di avvicinarsi al tema. Il rischio era di scottarsi - magari solo per una parola fuori posto - con Mario Draghi o con Sergio Mattarella, i due veri candidati a fine gennaio a insediarsi (o rimanere) al Colle. Così, nel silenzio dei media, il 26 novembre 2021 fu firmato a Roma il Trattato. Il governo non ebbe nemmeno la correttezza di inviarlo alle Camere. Solo dopo e a cose fatte fu spedita la missiva e deputati e senatori, seguendo la routine, alla fine misero il bollino verde sopra il Trattato che ora è definitivamente ratificato. Il solo partito che votò contro, a parte qualche rappresentante del gruppo Misto, è stato Fratelli d’Italia. Così i media e i partiti che all’epoca si giravano dall’altra parte adesso fanno lezioni di sovranità e corsi di tutela degli interessi nazionali agli unici che si erano opposti o avevano esercitato il diritto di critica. Per carità, così va il mondo. La cosa grave è che chi adesso mostra interesse non lo fa sui contenuti, ma solo per sostenere una partita esclusivamente interna. Per fare da alfiere ai futuri equilibri di potere tra il prossimo governo e il Quirinale. Tutto qui. Nulla di più. Ecco perché è il caso di tirare fuori dalla naftalina tutti gli interrogativi e le preoccupazioni che il Trattato ha generato e continua a generare. Innanzitutto c’è il tema degli aspetti pratici. Non sappiamo se i comitati che dovrebbero condividere informazioni sui diversi temi e capitoli del Trattato siano riuniti oppure no. Nonostante questo, nei due casi in cui la carta sarebbe servita a qualcosa, Parigi l’ha bellamente stracciata. Il testo prevede collaborazione tra i ministeri della Giustizia e scambio di informazioni su inchieste transfrontaliere o vecchie pendenze penali. Ecco, a giugno la Corte d’appello di Parigi ci ha negato l’estradizione di Giorgio Pietrostefani e degli altri nove terroristi rossi. Uno dei capitoli più delicati del Trattato riguarda, inoltre, la collaborazione delle rispettive industrie energetiche, oltre l’impegno nello sviluppare strategie comuni per fare in modo che gli approvvigionamenti siano equilibrati e sinergici. Appena è stato possibile (meno di un mese fa) Emmanuel Macron, alla faccia dell’Europa unita e dello stesso Trattato, sigla con Berlino un bilaterale sul gas. I giornali lo chiamano il «Patto Luce-Gas». Non è chiarissimo che cosa sia, ma è certo che per noi non è nulla di buono. Infatti mentre il governo a Roma invoca un tetto al prezzo dell’oro azzurro, è costretto a riempire gli stoccaggi a un prezzo quasi cinque volte superiore a quello registrato nel 2021. Da parte nostra nessuno stupore. La politica francese mostra una incredibile coerenza. A partire dal 2011 quando Nicolas Sarkozy con l’aiuto di Barack Obama e la scusa delle primavere arabe detronizzò Muhammar Gheddafi , fino a Emmanuel Macron che invita a Parigi il leader egiziano Abd al-Fattah al-Sisi per incassare la Legion d’onore. Tutte mosse che hanno causato un diretto detrimento alla nostra economia. Sulla Libia non serve spiegare, sull’Egitto basti pensare a tutte le forniture militari.A questo punto viene da chiedersi perché il Trattato debba esistere, e come possa nuocerci in futuro. Ad esempio, il comparto finanziario. Al punto 5.1 del documento si legge che i due Paesi si impegnano a sostenere la creazione di nuove risorse proprie. Che forse significa un sistema sostenibile in modo indipendente dai fondi comunitari. O almeno ipotizziamo, visto il passaggio sibillino. Poi però basta scorrere per comprendere che Italia e Francia si muovono per creare una nuova politica monetaria, un nuovo sistema di garanzia dei depositi bancari, un’unione bancaria che abbatta le barriere nazionali e poli produttivi congiunti (batterie, sanità, cloud, farmaceutica). Al tempo stesso Roma e Parigi (ultimo paragrafo dell’articolo 3) si impegnano a «spingere per un ricorso più esteso della maggioranza qualificata per le decisioni del Consiglio Ue». Il passaggio sembra quasi buttato lì a caso, ma in realtà è decisivo. Un’unione bancaria su modello francese significa lasciare spazio ai loro istituti affinché acquisiscano sempre più quote del nostro risparmio gestito (la ricchezza degli italiani) e poi possano usare i valori per patrimonializzare le holding in patria. Inutile dire che sarebbe un doppio pericolo. Chi gestisce i soldi gestisce l’allocazione e il potere che ne deriva. Questo è l’esempio più impellente. A cui il prossimo governo dovrà prestare la massima attenzione.
Jose Mourinho (Getty Images)