
Il direttore Luciano Fontana si difende con una mail ai colleghi: «Forse si voleva raccontare il mondo immaginario delle feste sul balcone».«Quel silenzio era inaudito». In via Solferino a Milano oggi è un altro giorno, ma non un giorno come un altro. L'eco della lettera del corrispondente da Bruxelles, Ivo Caizzi, contro la direzione del Corriere della Sera con l'aspra critica del titolo «Deficit, pronta la procedura Ue», percorre corridoi in penombra e stanze immerse nel lavoro quotidiano. Ma sottovoce non si parla che della vicenda nota fin dal 1° gennaio, sulla quale sembrava già sceso l'oblio. «Con il silenzio non si risolve nulla, quel clima di non detto era insopportabile», commenta un corrierista di lungo corso. «È un bene che la faccenda sia esplosa perché nel nostro mestiere, di questi tempi, il confronto è indispensabile. In qualunque altro giornale ci sarebbe stato casino dopo cinque minuti con richieste immediate di assemblea».Qui la traversata del deserto è durata una settimana, fino alla pubblicazione del j'accuse sul sito di Senza Bavaglio. Alla fine, nel santuario laico dell'informazione, il mantra curiale «silenzio e preghiera» non ha funzionato. Ieri mattina il direttore Luciano Fontana ha deciso di rispondere al suo giornalista e a chi gli ha fatto notare che un simile titolo sulla procedura d'infrazione senza ancoraggi certi - che il 1° novembre non potevano tecnicamente esserci - avrebbe potuto condizionare mercati, Borsa e spread. E avrebbe fatto scendere nell'agone politico il Corrierone con tutti e due i piedi.«Cari colleghi, una lettera interna finita su un'altra testata mi spinge a scrivervi per chiarire alcuni punti e per evitare che interpretazioni senza fondamento del nostro lavoro danneggino il nostro giornale», comincia la missiva di Fontana, che di fatto mette per iscritto le argomentazioni date al comitato di redazione il 2 gennaio. La componente sindacale, composta a Milano da Isidoro Trovato, Wladimir Calvisi e Nino Luca, si era mossa subito per fare chiarezza sulla vicenda e aveva ricevuto parole rassicuranti. «Il Corriere ha raccontato con rispetto dei fatti sia le minacce di procedura che la trattativa», prosegue la lettera del direttore, «come dimostrano gli articoli pubblicati in apertura di pagina e dedicati all'iniziativa di dialogo di Mario Centeno, presidente dell'Eurogruppo. È davvero inverosimile che si giudichi il risultato finale (l'accordo tra Italia e Ue) per dire che i passi iniziali verso la procedura d'infrazione non fossero veri. È evidente quello che è accaduto tra Italia, Commissione e altri Paesi della Ue. La manovra italiana presentata con un deficit al 2,4% è stata respinta categoricamente e in tutte le sedi è stata giudicata passibile di procedura d'infrazione».A supporto delle sue argomentazioni, Fontana cita un'intervista del presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, a Panorama in cui il premier rivela che «il momento più critico della trattativa è stato quando siamo andati a cena a Bruxelles. Ho chiamato Jean Claude Juncker per l'appuntamento e, dietro un tono che formalmente era impeccabile, ho avvertito la certezza che c'era una decisione presa e che consideravano l'Italia fuori». Poi sottolinea che gli stessi fatti sono stati «raccontati da tutti i giornali del mondo e respinti all'inizio dal nostro governo che affermava non avrebbe mai cambiato il numerino del 2,4%». I due capisaldi creano nuove perplessità perché il racconto di Conte riconduce a una sensazione personale forte, non a un fatto. E chi è minimamente avvezzo di giornali sa che la narrazione di cose italiane da parte dei corrispondenti esteri non prescinde quasi mai da ciò che scrivono gli stessi quotidiani italiani, Corriere della Sera in testa.La lettera si chiude con una granitica conferma: «Abbiamo raccontato l'intero percorso con oggettività». E con una punta di sarcasmo nei confronti dei critici, primo fra tutti il suo corrispondente Ivo Caizzi che aveva sollevato il vespaio: «Forse si voleva invece raccontare il mondo immaginario delle feste sul balcone e dei numerini che non sarebbero cambiati mai. Ma questo al Corriere non è mai accaduto e mai accadrà». Sul mai accaduto potrebbe chiedere lumi a Paolo Mieli che nel periodo d'oro - con l'endorsement per Romano Prodi e contro Silvio Berlusconi - perse 100.000 copie in una notte.Il comitato di redazione ritiene che si sia trattato di una decisione editoriale e di un percorso giornalistico del tutto legittimi. Spiega Trovato: «La scelta editoriale è stata fatta con cognizione di causa ed è stata confermata dai fatti. L'iter di pubblicazione è stato corretto. Quanto all'ipotesi di avere condizionato i mercati, non è compito nostro approfondirla, ma eventualmente della magistratura». Rimangono sospesi l'accusa di Caizzi e quel titolo dell'articolo del vicedirettore Federico Fubini (membro della task forse contro le fake news voluta da Bruxelles) che «tecnicamente era impossibile in quella data».La polemica è finita sul Blog delle Stelle, organo ufficiale grillino, con un post intitolato «Corriere della Sera smascherato dal suo corrispondente: le balle sul governo». Svolgimento: «Caizzi ha sollevato il problema fondamentale dell'attendibilità dell'informazione. La richiesta di chiarimenti richiama il rispetto dei principi tradizionali del Corriere come simbolo italiano dell'informazione indipendente di qualità, in un contesto dove gli interessi di parte sembrano troppo spesso prevalere sul valore intrinseco delle notizie». Tutto il resto è di nuovo silenzio.
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Il leader colombiano Petro, che sullo scandalo delle armi non collabora, attacca l’azienda: «Mi offende, faccio causa».
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Il giudice De Moraes revoca i domiciliari all’ex leader: «Pericolo di fuga durante la veglia di preghiera organizzata dal figlio». Atteso il ricorso sul tentato golpe.
Bruxelles ha stanziato 11 miliardi ai Paesi sub-sahariani: fondi finiti a chi non aveva bisogno. Corte dei Conti: «Zero controlli».
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C’era una volta l’Italia pecora nera dell’Europa. Era il tempo in cui Parigi e Berlino si ergevano a garanti della stabilità economica europea, arrivando al punto di condizionare la vita di un governo e «consigliare» un cambio della guardia a Palazzo Chigi (come fu la staffetta tra Berlusconi e Monti con lo spread ai massimi). Sembra preistoria se si guarda alla situazione attuale con la premier Giorgia Meloni che riceve l’endorsement di organi di stampa, come l’Economist, anni luce distante ideologicamente dal centro destra e mai tenero con l’Italia e, più recente, la promozione delle agenzie di rating.





