2021-10-06
Fisco e catasto, Draghi tira dritto. La Lega strappa e si sfila dal Cdm
Il premier fa approvare il testo della legge delega, il Carroccio non gradisce e diserta la riunione dei ministri. Poi l'ex banchiere rassicura: «Per i contribuenti non cambia nulla». E su Matteo Salvini dice: «Spieghi lui».Il meccanismo concede pochi giorni per la discussione: se il parere sui singoli decreti non arriverà in tempo, il governo potrà andare avanti. Camere sempre più in un angolo.Lo speciale contiene due articoli.Rapido, è stato certamente tutto rapido. Politicamente, non è stato però indolore. In una manciata di ore, Mario Draghi ha portato a termine il suo blitz sulla riforma del catasto, dando corpo alle paure di chi temeva che la mediocre performance dei candidati di centrodestra nelle grandi città potesse indurre l'ala più filo-tasse della maggioranza a forzare la mano su un tema così delicato e che riguarda milioni di italiani possessori di un immobile. Eppure, i segni premonitori dell'escalation c'erano tutti: a partire dall'intenzione, resa nota lunedì da Draghi un istante dopo la chiusura dei seggi, di voler procedere in rapida sequenza nella giornata di ieri alla riunione della cabina di regia e del Consiglio dei ministri sulla delega alla riforma del fisco, con tempi che ne sarebbero risultati inevitabilmente compressi. Tanto da suscitare l'irritazione dei leghisti, che da settimane chiedevano un supplemento di consultazione. Così, quando verso l'ora di pranzo ha cominciato a circolare una bozza della delega nei fatti inemendabile, gli esponenti della Lega sono passati alle vie di fatto, sfilandosi prima col ministro del Turismo Massimo Garavaglia, il quale ha abbandonato la riunione preparatoria della cabina di regia, poi con tutta la delegazione del Carroccio al governo, che non ha preso parte alla riunione dell'esecutivo. Ma i soli 45 minuti concessi loro per studiare la delega fiscale non sono stato l'unico - seppur grave - motivo di rimostranza: accanto a questo, le note perplessità su una riforma del catasto a forte rischio stangata e quelle, meno note, sulle coperture del provvedimento. Nel caso del catasto, è verosimile che le parole spese dallo stesso Draghi per motivare la riforma non abbiano fugato lo scetticismo leghista, visto che lex numero 1 della Bce ha illustrato un meccanismo (mirabile se confermato nei fatti) per cui il catasto verrà riformato, gli estimi saranno aggiornati ai correnti valori di mercato, ma questo non comporterà alcun aggravio fiscale per i proprietari di immobili. Viene da chiedersi dove sia il trucco (o la fregatura, per dirla un po' più grossière) eppure questo è stato in soldoni quanto garantito dal premier, nel corso di una conferenza stampa tenuta subito dopo il Cdm, assieme al ministro dell'Economia Daniele Franco e alla quale il premier non ha voluto rinunciare a dispetto dei tempi ulteriormente contingentati dall'incombere del Consiglio europeo informale. Incalzato dai giornalisti, il presidente del Consiglio non ha potuto sottrarsi dal commentare quanto accaduto in Cdm, rilevando che la defezione dei leghisti «certamente è un gesto serio, ma su quali siano le sue implicazioni bisognerà aspettare cosa dice la Lega stessa al riguardo». In modo più diretto, Draghi ha poi affermato che il gesto dei ministri del Carroccio «lo spiegherà l'onorevole Salvini, ma gli scambi avvenuti in cabina di regia e nelle conversazioni avevano dato sufficienti elementi per valutare la legge delega». Inevitabile, nondimeno, una domanda sull'esito del primo turno delle Comunali, in cui molti hanno voluto vedere un rafforzamento del suo esecutivo. Qui Draghi ha sfoggiato il suo proverbiale understatement, affermando di aver letto «tanti articoli sui giornali che dicono che il governo esce vincitore da questa tornata elettorale», ma allo stesso tempo di voler «capire bene la logica di questo». «Non mi sembra comunque», ha aggiunto con una lieve vena di compiacimento, «che sia stato indebolito». All'insegna dell'understatement (e forse un po' dell'illusionismo) anche l'illustrazione del merito della riforma del catasto contenuta nella delega, definita in realtà una «riformulazione»: «Il contribuente medio», ha asserito il premier, «non si accorgerà di nulla», rassicurando sul fatto che «resterà tutto come prima». Questo perché, ha proseguito Draghi, «le rendite catastali restano invariate: è un'operazione di trasparenza ma non cambia assolutamente l'imposizione fiscale sulle case e sui terreni. È molto importante dirlo, perchè nei giorni scorsi si è teso a confondere». E visto che era in vena di chiarimenti, Draghi ha voluto rassicurare i contribuenti su tutto l'impianto del provvedimento, perché «la revisione del sistema cui si mira non intende aumentare il gettito complessivo ma diminuirlo, visto che è fuori linea, in quanto l'Italia paga di più rispetto ad altri Paesi europei e ha aliquote più alte». Anche da questo punto di vista, toni rassicuranti per i contribuenti ma soprattutto per i leghisti, quando ha sottolineato che si tratta di una delega molto larga, «una scatola» che quindi potrà essere modulata dal Parlamento con grande autonomia, con l'unico paletto del non aumento della pressione fiscale. «Una legge generale», ha detto rivolgendosi indirettamente al partito di Matteo Salvini, «che poi andrà riempita da contenuti con un ulteriore momento di confronto» ma che, secondi il premier «si ispira a certi principi che ritengo siano condivisi ampiamente anche dalla Lega».<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/fisco-catasto-draghi-lega-strappa-2655224984.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="le-commissioni-finiscono-declassate" data-post-id="2655224984" data-published-at="1633479622" data-use-pagination="False"> Le commissioni finiscono declassate La legge delega per sua natura, come già spiegato nei giorni scorsi dalla Verità (e come ribadito ieri anche da Matteo Salvini), di fatto lascia le mani libere al governo, relegando in un angolo il Parlamento. Una volta che le Camere approvano il testo che contiene i principi generali, spetta infatti all'esecutivo scrivere i singoli decreti attuativi. L'Aula non può poi bocciarli, ma solo dare un parere. All'articolo uno del testo approvato ieri in cdm si disciplina proprio questo percorso, inserendo pure una serie di vincoli temporali che ridurranno anche la possibilità delle commissioni di discutere le proposte di Palazzo Chigi. Ancora una volta, dopo l'esperienza del Conte bis che è andato avanti a colpi di dpcm, il Parlamento è destinato a finire in secondo piano. In particolare, il comma 2 stabilisce che le commissioni avranno solo 30 giorni per esprimere un parere sugli schemi dei decreti legislativi, con al massimo una proroga di 20 giorni «qualora ciò si renda necessario per la complessità della materia o per il numero dei decreti legislativi». E se ci dovesse essere un ritardo? Il governo potrà tirare dritto perché, recita il testo, «il decreto può essere comunque adottato». Al comma successivo, viene spiegato cosa succederà qualora il governo «non intenda conformarsi ai pareri parlamentari». In questo caso, sarà sufficiente trasmettere di nuovi i testi alla Camere, corredati da osservazioni ed «eventuali modificazioni». Le commissione avranno dieci giorni per dare un parere dopodiché anche in questo caso «i decreti possono essere comunque adottati». Insomma, la discussione dovrà procedere a tappe forzate e finirà per essere compromessa. Uno schiaffo, soprattutto se si pensa che le commissioni Finanze di Camera e Senato hanno lavorato per mesi per produrre un documento di sintesi approvato da tutti i partiti della maggioranza per indirizzare l'esecutivo sulla riforma fiscale. Documento che non conteneva traccia della riforma del catasto, inserita invece nella legge delega, e che ora potrebbero essere costrette ad accettare senza poter fare nulla. Sempre l'articolo 1 della legge delega contiene un altro passaggio sui tempi della riforma che merita attenzione. Al comma 1, si legge: «Il governo è delegato a emanare, entro 18 mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi recanti la revisione del sistema fiscale». Il termine dei 18 mesi, ben oltre la scadenza del mandato di Sergio Mattarella il 31 gennaio 2022, si può leggere come un modo per indebolire qualsiasi ipotesi di scegliere Mario Draghi come nuove presidente della Repubblica per poi tornare al voto, circolata in diversi retroscena e rilanciata lunedì dopo il voto delle amministrative da Giorgia Meloni. L'ipotesi, se non di andare alla urne quantomeno di mandare il premier al Colle, era già stata sponsorizzata anche dal ministro Renato Brunetta: «Tutti vogliono giocare al “gioco" del Pnrr ma se facciamo sul serio non dico che abbiamo bisogno di cinque anni, neanche di sei. Abbiamo bisogno di sette anni esattamente la durata in carica del nuovo presidente della Repubblica nella figura di Mario Draghi».
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